L’ISOLA CHE C’È

 
L’ISOLA CHE C’È  *
[Questo articolo è il  seguito di “L’isola che non c’è”]

 L’ISOLA CHE C’È *

[Questo articolo è il  seguito di “L’isola che non c’è] 

 Studente 3: Sembra quasi che la conclusione della sua ultima lezione sia stata profetica: da allora s’è scatenato l’inferno, prima sul Portogallo e l’Irlanda, e poi sull’Italia.

Studente 1: Sembra di assistere ad un tiro al bersaglio, guidato dai verdetti delle agenzie di rating…

Studente 2: …le stesse che continuano ad assegnare AAA, il massimo voto, agli USA, che non se la passano meglio dell’Italia, che a maggio ha toccato un nuovo massimo storico del suo debito pubblico: quasi 1900 miliardi! Quasi 7 miliardi in più in un solo mese.

 

Prof: Bruscoli, per i 13 trilioni di dollari degli USA. Ma il 2 agosto arriverà anche per loro il giorno del giudizio universale, col rischio concreto di andare in default, come il Minnesota, che è già in bancarotta. E altri Stati sono lì lì. Solo il North Dakota ha i conti pubblici a posto, e, guarda caso, è anche l’unico ad avere la banca centrale pubblica.

Studente 3: Ma com’è possibile, prof, che tutti i Paesi del mondo siano in debito? È immaginabile un fallimento globale?

Prof: A dire il vero, non tutti i Paesi sono sull’orlo del crack; la Cina è un grande creditore di mezzo pianeta. Ed è un creditore reale, in quanto ha prodotto ricchezza (anche se facendo il lavoro sporco, inquinando e sfruttando la manodopera) e l’ha venduta in cambio di promesse di pagamento, in maggioranza dollari, poi usati per acquistare Buoni del Tesoro (Treasuries) americani, a braccetto con la loro banca centrale, la Federal Reserve, e cioè la capofila degli altri sedicenti creditori mondiali: le banche centrali (BC).

Studente 1: Quindi si applica a Cina e BC quanto lei ci disse nell’ultima lezione, sottolineando la differenza tra credito pubblico e privato?

Prof: Hai colto nel segno: la Cina equivale a un creditore privato, che ha sudato per produrre merce concreta, venderla e maturare un credito reale. Mentre le BC non hanno fatto nulla per guadagnarsi il credito che poi legalmente, quanto immoralmente, vantano.

Studente 4: In comune hanno solo una cosa, credo: che se i debitori fanno crack il loro credito si risolve in carta straccia. Per cui tutti navigano sulla stessa barca.

Prof: Questo è proprio lo scenario che sta avanzando con crescente probabilità. Oggi i due grandi debitori sovrani confessi sono gli USA ed Eurolandia (più il Giappone). Entrambi, in varia misura, hanno delegato le rispettive BC ad erogare moneta a debito; nel caso degli USA debito pubblico e privato hanno marciato di conserva, mentre in Europa i cittadini sono stati più parchi dei loro governi, in particolare l’Italia, dove il debito pubblico, accumulato da governi inefficienti, corrotti e ingordi, è assai più elevato del debito privato. In altri termini, gli italiani si sono dimostrati ben più virtuosi dei loro governanti, che si sono insediati ai posti di comando solo per arricchirsi a spese dei loro ingenui elettori, con la consegna del silenzio sui veri motivi delle crisi economiche ricorrenti.

Studente 2: Però, se un’azienda fallisce, sparisce dal mercato e i suoi dirigenti se la vedono poi con la giustizia, se hanno commesso abusi. Ma se fallisce uno Stato, in genere i responsabili primi, e cioè i governanti, avendo accumulato soldi all’estero se la cavano dopo aver abbandonato l’intera nazione alla miseria.

Prof: Infatti, non pagano i responsabili, ma i virtuosi. Come la c.d. manovra sta anticipando: sacrifici per chi già ne fa anche troppi, e privilegi indenni per i colpevoli. Che come abbiamo visto non sono solo i politici, bensì soprattutto i veri “mandanti”, ossia l’elite bancaria internazionale, che usa i politici come loro “camerieri”, per usare la qualifica affibbiatagli dal grande Ezra Pound nella sua battaglia contro l’usura.

 

Islanda:
 Rivoluzione & Rinascita

 Studente 5: Tutto ciò si traduce in una condanna senza appello dell’attuale sistema monetario, che lei ci ha insegnato esser nato dagli accordi presi a Bretton Woods nel 1944 dai futuri vincitori del conflitto mondiale e poi rimaneggiato più volte, sempre a favore delle banche. È così?

Prof: Esattamente. Perlomeno le intenzioni di quegli accordi erano di legare tutte le valute al dollaro e quest’ultimo all’oro, proprio per impedire che le BC si dessero a stampare moneta senza alcun riscontro fisico con la realtà. Finché il presidente francese De Gaulle, decise di mettere alla prova questa corrispondenza tra dollaro e oro, pretendendo che i crediti francesi venissero onorati dagli USA in oro sonante e non in dollari di carta.

 La risposta del presidente americano Nixon fu quanto mai arrogante:  sganciò il dollaro dall’oro; e da allora, agosto 1971, è stata una corsa a stampare dollari a briglia sciolta. Le conseguenze sono drammaticamente attuali e le stiamo vedendo all’opera, elevate al cubo, dall’agosto 2007, quando questa crisi ha avuto inizio.

 

Studente 5: Quindi, perché non tornare al gold standard, onde impedire che le BC stampino fuori controllo e i governi spendano soldi che non hanno, accumulando debiti pubblici e successivi default?

Prof: Sarebbe l’unica garanzia di trasparenza ed equità, ma purtroppo siamo fuori tempo massimo, e di gran lunga.

Studente 5: Cosa intende dire?

Prof: Che tutto l’oro del mondo, agli attuali prezzi basati sui costi di estrazione, raffinazione, conio, sarebbe del tutto insufficiente. A meno di dargli un valore assolutamente irreale, che so, di decine di migliaia di dollari l’oncia, contro gli attuali 1500, o di centinaia o migliaia di euro al grammo, contro gli attuali 35. Infatti, i volumi degli scambi commerciali globali sono di parecchi ordini di grandezza superiori a quelli dei tempi di Bretton Woods. Peraltro, è ben nota l’avversione dei banchieri per l’oro, specchio della verità: sino a tempi recenti non hanno fatto che depauperare le riserve auree e mettere oro sul mercato, per abbatterne il prezzo e privarlo del suo millenario ruolo di garanzia monetaria.

Studente 2: Quindi, siamo senza via d’uscita?

Prof: Sì e no. Sì, in quanto nessuna BC potrà mai disporre di un patrimonio in solido equivalente al denaro che mette in circolazione; e ciò vale anche nel caso le BC divengano di proprietà pubblica, e non privata, come è tutt’oggi. No, in quanto il metro per giudicare la solvibilità di uno Stato sarà la ricchezza che i suoi cittadini producono; e la solidità della sua valuta sarà monitorata dalla bilancia dei pagamenti con l’estero.

Studente 3: Cioè quanto più valore riuscirà ad aggiungere alle materie prime importate…

Studente 4: …esportando merci ad alto valore aggiunto.

Prof: Vedo che le mie lezioni non sono state fiato sprecato. Il valore della moneta di una nazione sarà il solo “voto” riconosciuto a livello internazionale, una volta che lo Stato non dovrà più chiedere prestiti, alle banche o ai cittadini, con l’emissione di BOT e CCT, tremando per i rating delle agenzie americane o per le reazioni dei “mercati” finanziari. Gli unici giudici saranno i mercati reali, attraverso le quotazioni della moneta pubblica, emessa senza debito e in proporzione alla ricchezza prodotta. Cosa che oggi è concessa solo alle monete metalliche, pubbliche e debitesenti.

Studenti in coro: Ma questo è già realtà, qui da noi, in Islanda.

Prof: Sì, ma abbiamo dovuto fare una rivoluzione di popolo per cacciare i banchieri e i governanti con loro collusi.

Studenti: Perché non fanno come noi anche altrove?

Prof: Perché i vari popoli sono tenuti all’oscuro di come funziona il loro sistema monetario e bancario. E l’ignoranza è il miglior alleato della tirannide, militare e finanziaria, che vige nei Paesi in cui i cittadini hanno più paura degli esattori delle imposte e della polizia che dei criminali comuni; quelli in cui l’informazione dice o tace a seconda di quanto prescrive il potere, fungendo così da “arma di distrAzione di massa”, come qualcuno l’ha felicemente chiamata. La Rete è di conseguenza il suo principale bersaglio. 

 

* Ho scoperto che invece quest’isola C’È: è l’Islanda, sulla cui rivoluzione, taciuta dai media, vedi qui  e …qui   

 

Marco Giacinto Pellifroni                 17 luglio 2011 

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