L’innalzamento del tetto al debito: McCarthy ricatta Biden e il Paese?

Se vogliono discutere il bilancio dell’anno prossimo allora si tratta di una richiesta legittima” ma non ci “dovrebbero essere negoziati sulla questione di pagare i nostri debiti”. Così la senatrice democratica Debbie Stabenow (Michigan), una dei leader del suo partito alla Camera Alta, mentre spiegava l’assoluta necessità di innalzare il tetto al debito pubblico.

Biden e McCarthy

La senatrice rispondeva con queste parole alle richieste di Kevin McCarthy, parlamentare repubblicano e speaker della Camera, di negoziare sull’approvazione dell’innalzamento al debito pubblico nel suo incontro con il presidente Joe Biden. Anche l’inquilino della Casa Bianca aveva espresso la stessa idea di Stabenow ma McCarthy ha cercato nel suo colloquio di estrarre concessioni per tagliare le spese. Non si sanno dettagli poiché le trattative sono ancora in corso e nulla è trapelato fino al momento.

L’innalzamento del tetto al debito pubblico è necessario perché il governo spende più di quello che ricevono le casse del tesoro. Non aumenta le spese ma serve solo a potere pagare le obbligazioni già approvate dal Congresso. Il limite dei prestiti concessi al governo è stabilito dalla costituzione secondo cui il Congresso deve autorizzare i prestiti. Il tetto fu stabilito agli inizi del secolo scorso onde permettere al Dipartimento del Tesoro di prendere prestiti senza dovere chiedere in continuazione permesso al Congresso.

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Innalzare il tetto del debito non aumenta il deficit né il debito federale. Attualmente il debito federale si aggira sui 31 trilioni di dollari, spese causate da ambedue i partiti anche se non esiste accordo su chi sia responsabile. I repubblicani cercano di affibbiare la colpa al 1,9 trilione di dollari approvati da Biden e i democratici per affrontare la pandemia. I democratici controbattono, non senza ragione, additando ai tagli fiscali concessi dai repubblicani agli ultraricchi durante l’amministrazione di Donald Trump. Da aggiungere anche i tagli fiscali durante l’amministrazione di George W. Bush figlio e i trilioni spesi nelle guerre in Iraq e Afghanistan. Tutto sommato l’innalzamento del tetto alle spese è avvenuto più di 100 volte, 3 delle quali durante l’amministrazione di Trump per i quali i repubblicani non hanno obiettato.

McCarthy sta cercando di ottenere concessioni da Biden ricattandolo di non approvare l’aumento dell’innalzamento al tetto del debito come occorse nel 2011 durante l’amministrazione di Barack Obama. In quella situazione l’allora speaker John Boehner riuscì a convincere Obama a una riduzione di spese ma poi alla fine non fu capace di mantenere la sua promessa di mettere in atto riforme che i due avevano negoziato. Biden, l’allora vicepresidente, ricorda molto bene la situazione e dunque ha dato chiari segnali che non è avverso a considerare una valutazione del bilancio senza però legarlo all’innalzamento del tetto al debito.

Biden si trova in una situazione vantaggiosa in comparazione ad Obama nel 2011. I repubblicani con Boehner controllavano la Camera con un’ampia maggioranza (242  a 193). McCarthy invece ha una maggioranza risicata (222 vs 212) e quindi si può solo permettere di perdere una manciata di voti del suo partito in ogni proposta di legge. La precaria situazione di McCarthy, confermata anche dal fatto che è stato eletto speaker solo dopo 15 lunghissime votazioni, non gli concede molti spazi per negoziare nemmeno con il folto numero di parlamentari ricalcitranti del suo partito. Dovrà fare sforzi per ottenere concessioni da Biden per cercare di soddisfare i membri più estremisti del suo partito. In caso contrario potrebbe mettere in pericolo la sua leadership di speaker. Biden lo sa benissimo ed infatti ha detto pubblicamente che McCarthy per farsi eleggere speaker ha “fatto degli impegni completamente fuori posto”.

La scadenza per l’approvazione del tetto al debito avverrà nel mese di giugno. In caso di mancato accordo le conseguenze per il Paese sarebbero molto gravi. Si potrebbe arrivare vicinissimi al default come avvenne nel 2011 quando l’agenzia di rating Standard and Poor (S&P) declassò il debito da AAA a AA+. Causò un crollo della borsa suggerendo agli investitori che comprare buoni del tesoro americano non fosse completamente sicuro. Si prevedono perdite al valore delle pensioni investite nella borsa oltre che una chiusura temporanea dei servizi governativi non essenziali. Tutto sommato il fallimento di innalzare il tetto del debito rifletterebbe una maniera inefficace di governare.

La storia ci dice che quando i repubblicani cercano di ricattare un presidente democratico usando la minaccia di non innalzare il tetto del debito ne escono perdenti. Nel 1995 quando Newt Gingrich, l’allora speaker della Camera, minacciò di non aumentare il tetto con Bill Clinton alla Casa Bianca, ne uscì male con la rielezione del presidente democratico l’anno dopo. La stessa cosa successe con Obama dopo il fiasco del 2011 con il tetto del debito che vide il 44esimo presidente rieletto l’anno dopo per il suo secondo mandato.

I repubblicani potranno minacciare ma quando poi gli viene chiesto dove vogliono tagliare le spese non hanno risposte. La stragrande maggioranza del bilancio è intoccabile. Tagliare la difesa non interessa né i democratici né i repubblicani. Tagli al Social Security (la previdenza sociale) e al Medicare (la sanità per anziani) sono anche impossibili politicamente. Trump ha infatti riconosciuto il pericolo di questo tipo di azione alle prossime elezioni ed ha avvertito i vertici del Partito Repubblicano. Rimangono le spese sociali ma bisognerebbe tagliarle dell’85 percento per avere qualche effetto. I repubblicani però non hanno intenzione di dare precisazioni per i tagli. Il senatore Ron Johnson, repubblicano del Wisconsin, rispondendo che cosa taglierebbe, ha detto che al momento “non vuole spiegare”. Parlare in generale usando i soliti cliché sulla necessità di apportare tagli al bilancio va bene per quanto riguarda la costante campagna politica. Governare però richiede venire allo scoperto, un luogo che ai repubblicani fa paura perché continuano a pensare alle prossime elezioni presidenziali.

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.
Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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