LETTURA DI UN’IMMAGINE: Donna al caffè Olio su tela (1931) Di Antonio Donghi

Donna al caffè Olio su tela (1931) di Antonio Donghi
Ca’ Pesaro, Galleria d’Arte Moderna  – Venezia

Questo mirabile ritratto di donna dipinto dal pittore romano Antonio Donghi (Roma, 1897 – Roma, 1963) è un esempio perfetto dello stile denominato “Realismo magico” dal critico d’arte tedesco Franz Roth nel 1925, per significare come figure e oggetti della vita quotidiana più banale possono essere riprodotti fedelmente in un quadro e nello stesso tempo nascondere qualcosa di misterioso che non appare alla vista ma rimane nascosto dietro la più realistica delle rappresentazioni. Per  lo scrittore Massimo Bontempelli, il realismo magico consiste nella “precisione realistica dei contorni, nella solidità di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la nostra vita si proietta, così che la vita più quotidiana e normale è vista come un avventuroso miracolo. E difatti, se ci fermiamo a guardare attentamente questa Donna al caffè a un certo punto ci pare di entrare in un’altra dimensione spaziale e temporale, siamo come catturati dallo spazio in cui si trova quella figura di donna che non guarda  verso di noi ma piuttosto dentro di sé, ferma, pensierosa, persino severa nella sua sobria eleganza.

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E’ lì sola, seduta un po’ discosta dal tavolo la cui tovaglia ocra contrasta con il verde cupo dell’abito, si tiene le mani una nell’altra, è tranquilla e composta e fissa  qualcosa ma come chi guarda senza vedere, immerso nei propri pensieri.  E’ lì, sola, lievemente triste, in quello spazio geometrico chiuso e disadorno,  e pensa. A che cosa? Forse aspetta qualcuno che non arriverà mai, forse sta ripensando a qualche delusione, a un tradimento subito o alla vanitas vanitatum di cui parla l’Ecclesiaste. Non lo sapremo mai, sappiamo solo che ci troviamo davanti a un mistero che ci affascina e ci inquieta nello stesso tempo. Nel tempo immobile di questa opera d’arte e dell’atteggiamento solipsistico di questa misteriosa figura femminile che, nell’atto di offrirsi al nostro sguardo  ci tiene a distanza, come se dicesse: non sei tu la persona che sto aspettando.

Fulvio Sguerso

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