L’erba da tagliare

L’erba da tagliare

Nella vecchia cascina non ci abitiamo più. La teniamo in ordine, pulita, pitturata, coi fiori e la stradina ben tracciata. L’intonaco è bianco, rifatto recentemente, come i serramenti scuri, le persiane, le porte d’accesso. 

L’erba da tagliare

Nella vecchia cascina non ci abitiamo più. La teniamo in ordine, pulita, pitturata, coi fiori e la stradina ben tracciata. L’intonaco è bianco, rifatto recentemente, come i serramenti scuri, le persiane, le porte d’accesso. D’estate è bello venirci, passarci una domenica cogli amici, anche i bambini.

E poi è comoda per quando vuoi festeggiare un battesimo, una comunione in famiglia. L’antica enorme casa sarebbe irriconoscibile se venisse al mondo chi l’ha costruita ed abitata forse per qualche centinaio d’anni. Chissà se sarebbero contenti nel vederla così pulita e linda, simile ad una casa da signori. Certo si stupirebbero nel vedere la stalla “vuota”, cioè senza bestie, come il fienile senza fieno e il pollaio senza galline. E i campi intorno alla casa lasciati a prato. Sarebbero perlomeno sconcertati.


Quest’anno ci sarà un battesimo, occorre riordinare tutto per accogliere gli ospiti. Taglieremo anche un po’ di fieno del campo, quello confinante con la stradina asfaltata, per far parcheggiare le auto. Solo che il fieno tagliato dove lo mettiamo? Chi fa il contadino oggi non si muove neppure per un paio di quintali di erba verde. E allora? Vuoi gettarlo nel fiume? In qualche burrone? Aspettare che secchi e poi bruciarlo? Io e mio fratello esitiamo, nessuna di queste soluzioni ci pare corretta. “Ci sarebbe Mario” dice mia madre. Ci sarebbe? Voglio dire c’è ancora? Ma va?! Mario abita a un chilometro da qui. Ha una settantina d’anni, vive da solo. Ha fatto l’operaio e il contadino, poi ha perso i genitori, i parenti, e lui ha continuato a vivere come cent’anni fa: l’orto davanti casa a sinistra, la stalla con la pila del letame a destra. Non ha trattori, falciatrici, mezzi agricoli. È socievole, chiacchiera volentieri con tutti, ma non cerca nessuno. Se ne sta per conto suo, in casa sua, con le sue bestie e le sue abitudini. I villeggianti che passano la bella stagione fra queste colline lo conoscono, hanno imparato che da lui si può comprare a buon prezzo galline, conigli, uova, latte, patate, fagioli, talvolta burro, talvolta castagne, talvolta funghi. Arrivano nel cortile sterrato con le loro macchine lucide, strombazzano, Mario spunta dalla porta sbilenca. Guarda chi è, poi torna dentro a mettersi il baschetto scuro e la cicca in bocca, unica concessione alla modernità: una volta fumava trinciato, ora non più, ora sigarette belle e pronte. Sorride a labbra serrate ed ascolta le necessità dei villeggianti, li serve e loro lo pagano. I soldi bastano per mettere un po’ di benzina nell’utilitaria, per le sigarette, il caffè, l’olio, quattro cose. In casa non ha acqua corrente, non ha TV.


Bene, allora l’erba vada a Mario. Vado a prendere un rastrello per ammucchiarla, poi lo vado a chiamare e gli porto questa benedetta erba per le sue bestie.

Arrivo nel cortile con furgoncino, strombazzo. Lui esce.

“Ho tagliato un po’ d’erba lì sulla strada. La vuoi? Te la porto?”

“Si, grazie, mi farebbe comodo”.

“Però non ho neanche un rastrello, credevo di averlo e invece non ho più niente”.

“Eh, capita. Io ne ho due, delle volte se ne rompesse uno…”

E io penso: prima lezione, tieni in ordine ed efficienti gli strumenti che ti servono.

Ora siamo nel prato, Mario, mio fratello ed io. I primi due ammucchiano col rastrello, io col forcone carico sul furgoncino. Stipo per bene l’erba come ricordo facevano i miei vecchi sul carro da buoi, dandogli un verso preciso, alzando sempre i bordi esterni.


 Facciamo più di un viaggio. Mario è contento: il fieno è sì verde, ma ricco di fiori non ancora propriamente sbocciati. Dice che così è buono, da dare alle bestie un po’ per volta. Dice che lo porterà a lenzuolate sul fienile, lo allargherà e lo farà asciugare per bene, al coperto. Se si dovesse bagnare sarebbe da gettar via. Un vero peccato. Torniamo al prato per l’ultimo carico. Ricominciamo ad ammucchiare. Penso a quest’uomo isolato dal mondo, sereno. Che gliene importa di tutto il resto? La televisione non molesta la sua tranquilla esistenza. Isolato dal mondo com’è. Mi sento persino bonariamente più esperto e navigato di lui. Beato sei, amico mio, penso tra me e me, che giammai tedio non provi…

Squilla il cellulare di mio fratello. Il suo lavoro esige da lui una certa reperibilità. Risponde. Io sono tentato di spiegare a Mario l’avvento della telefonia mobile, dei satelliti e di altre splendide invenzioni di cui, a questo punto, mi sento quasi coautore. Mio fratello bestemmia perché non c’è campo. Guarda il display del telefono, lo riavvicina all’orecchio: “Pronto?! Pronto?!… No, non c’è campo!”.

Mario, ridendo: “Ma come? C’è tutto il campo che vuoi! È anche il campo più bello che c’è da queste parti, cosa ti manca?”.

“Ma no… non funziona il telefono… Non riceve…” spiego paterno e paziente.

“Ah, ecco” risponde. Ma mi sembra seccato.


Per riallacciare una certa confidenza metto sul piatto della chiacchera qualche luogo comune: il tempo, la pioggia, il caldo. Poi lo ringrazio perché mi sarebbe dispiaciuto buttar via il fieno. Menomale che c’è ancora qualcuno come lui che non butta via la roba…

“Vedi quelle costiere intorno? Erano tutte fasce, terrazze. Ogni pezzo di terra che non fosse bosco era coltivato, principalmente a cereali. Grano, ma anche segale, biada e orzo. Poi mais. Vicino alle case fagioli e patate. E posto per il fieno non c’era, il fieno costava caro. Si recuperava il poco fieno dov’era, da dare alle bestie. Fin nei fossi, su per le riviere più scoscese, ai bordi delle strade, intorno alle case. Il resto era bosco. Per questo non si è mai potuto fare allevamenti come in Piemonte, come in pianura: non ci sono pascoli. Tant’è vero che ogni tanto portavamo alle bestie qualche fascina di rami nuovi di rovere. Comunque questo vuol dire che una famiglia non riusciva a mantenere più di un paio di bestie. Anche i conigli erano difficili da allevare, tu pensa quanto poco fieno c’era. E intorno avresti visto solo terrazze coltivate. A mano, naturalmente. E alla fine vuol dire che bisogna adattarsi, che finché non sono venute le fabbriche la gente camminava e andava a lavorare lontano”.

Non mi aspettavo un’analisi sociale ed economica, non mi aspettavo tanta attenzione. Vivendo isolato aveva, si vede, tempo per pensare ai suoi ricordi, alle cose raccontate dai suoi genitori…


“Ma adesso che i cereali si usano per fare i biocarburanti, adesso chi li ha cerca di fare speculazioni, di immagazzinarli, di riservarli per sé, perché così controlla il prezzo. E intanto ci sono dei paesi dove il riso, il grano, tutti i cereali sono arrivati a dei prezzi troppo alti e ci sono delle rivolte, in Africa come in sud America. In Asia mangiano principalmente pesce e riso. Il riso costa caro e di pesce non ce n’è quasi più. Cosa dovrebbero mangiare? Ho paura che ci sia tutta un’onda di crisi che potrebbe investirci, e allora torneremo a mettere le patate dappertutto e tenere da conto del fieno. Dicono che il potere d’acquisto dei salari, nel giro di cinque anni, abbia perso circa il 22%. E non accenna a cambiare”.

Io e mio fratello abbiamo smesso di lavorare. Lui continua con la sua buona lena, ad ammucchiare il fieno. Noi siamo immobili e allibiti. Mario sa tutte queste cose? Non ha la TV, non ha il computer, la cosa più tecnologica che possiede (a parte l’auto) è la lampadina da 60 watt in cucina. Non parla quasi mai con nessuno, non viaggia. Come è possibile?

L’ho riaccompagnato a casa col furgone e con l’ultimo carico di erba verde. I pantaloni sono lisi sulle pieghe, di un colore misterioso, scuro. Gli scarponi hanno conosciuto tutte le stagioni, i cespugli e i ruscelli dei nostri boschi. Anche il baschetto scuro sulla testa, racconta di ragnatele, polvere e sudore impastati in un unico appretto che deve aver reso solida la stoffa. La barba è di ieri. Fuma, aspirando forte. Le gote si infossano ogni volta. Sorride, così, senza motivo.

Scarichiamo l’erba davanti alla sua stalla. Da dentro la bestia ci ha sentiti e muggisce forte per farsi sentire. Fa abbastanza caldo, l’odore del letame mi ricorda violentemente i tempi in cui ero bambino e non era raro trovare il letame davanti a quasi tutte le civili abitazioni.


Terminato di formare il mucchio si appoggia al forcone, mi chiede se può offrirmi un caffè, un bicchier d’acqua. Mi offre dei funghi che ha trovato il giorno prima: gli ultimi per questa tarda primavera.

Lo saluto e me ne vado. Ho provato poi a indagare sulla curiosa competenza di quest’uomo solo. Un amico comune mi ha confidato che in effetti non possiede tv, non ascolta la radio. Legge unicamente due riviste: “Famiglia Cristiana” e “Grand Hotel”, le stesse riviste che leggeva sua madre da tempo immemore.

In effetti “Famiglia Cristiana” può o meno piacere, ma si tratta di una rivista assai completa, documentata, non improvvisata e che si occupa in effetti di questioni da tutto il mondo. Ma “Grand Hotel”? Sono fotoromanzi, se non sbaglio. Cosa mai ci troverà quest’uomo nelle vite fantastiche di attori e attrici bellissimi con carriere sfolgoranti, vicende eroiche ed amori struggenti? Eppure, a quanto pare, queste due riviste sono le uniche vie di comunicazione col mondo esterno alla valle nella quale vive, e sembra pure che funzionino, e bene. Meglio sicuramente di quelle a disposizione di coloro che hanno televisione, satellite, computer con internet, cellulari e fax, biblioteche a portata di mano, eppure vivono appagati di quello che conoscono, sazi di una vera indigestione di informazioni distorte, dannose o insulse. E non sanno più scegliere e non hanno più il gusto della scoperta, dell’indagine, della speculazione filosofica.

Forse se Mario fosse vissuto nell’antica Grecia sarebbe stato tenuto in gran considerazione come fine pensatore. Qui, ora, viene considerato un tipo un po’ strano, pieno di soldi che non sa spendere.

Mario assume tutte le informazioni da quelle due riviste perché deve aver imparato a nutrirsene con senso critico, capacità di giudizio e di scelta. Comprare un giornale, sceglierlo, è già un atto consapevole, volontario, assai differente che seguire un notiziario quando viene trasmesso, in televisione.

E poi anche “Grand Hotel” a saperlo leggere restituisce informazioni utili a capire il mondo. Se questa è la rappresentazione della società desiderata posso immaginare quale sarà la società reale, o quello che non è. Posso immaginare cosa fa la gente per raggiungere quello che desidera, posso capire che nessuno, oltre quel confine, verso la città, conosce il latte, il legno di rovere, le patate, il posto degli ultimi funghi della stagione. Non che sia meglio o peggio, è semplicemente una informazione, un item, una cosa da imparare. E con questa apprendo le misure del mondo: quant’è grande e profondo e colorato. A questo punto posso mettere i numeri, gli spostamenti, la geografia, la politica, i cereali o i pesci.

Il grado di consapevolezza della propria esistenza su questo mondo non è, forse, relativo ai mezzi che si utilizzano per documentarsi, ma allo spirito critico, alla capacità di leggere i segni che il mondo lascia, il saperli interpretare, inserire in un contesto, dar loro un volume e una catalogazione non rigida.

Ripenso spesso a lui, lo vedo nel suo cortile fermo, le mani in tasca mi osserva mentre mi allontano. E io lo guardo rimpicciolirsi nello specchietto. Sorride. Perché non dovrebbe?

ALESSANDRO MARENCO

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