Le scale di Escher: non portano da nessuna parte

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È questa la sensazione che si prova leggendo la riforma denominata “premierato”, sistema che trova il suo fulcro nell’elezione diretta del presidente del Consiglio.
L’idea di un governo di legislatura ottenuto mediante l’elezione diretta del presidente del Consiglio è antica e fu inseguita anche in Francia prima della Quinta Repubblica e accarezzata in Italia in varie proposte dagli anni Sessanta. Ma mai realizzata. Se non in Israele, con una riforma varata nel 1992, ma dopo tre elezioni abbandonata per il suo palese fallimento, non avendo in nessun modo posto alcun argine alla cronica instabilità della piccola democrazia mediorientale.
Questa proposta che davvero rappresenta il nulla assoluto, viene riproposta ogni qualvolta le destre governano il Paese.
Sono da sempre alla ricerca dell’uomo forte, o della donna forte, forse perché non intendono governare il Paese. Cosa che tra l’altro non fanno, loro vogliono costruire un regime, non c’è niente da fare fa parte del loro DNA.

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Prima osservazione che ci viene in mente è che il premier sarà eletto direttamente, però potrà essere sostituito ed è già una contraddizione in termini: che senso ha l’elezione diretta se non è vincolante? Nonostante l’elezione diretta, inoltre, dovrà chiedere la fiducia del Parlamento e per questo gli si assegna un premio di maggioranza: però se il Parlamento gli nega la fiducia per due volte si rivota, il che è come permettere al Parlamento di esprimersi però con la pistola alla tempia. Pur essendo non più un primus inter pares, come formalmente e solo formalmente ancora è, ma a tutti gli effetti il capo del governo, l’eletto non nomina e non revoca i ministri.
Come detto in premessa questa idea arriva da lontano. Sono passati esattamente quarant’anni da quando Giorgio Almirante motivava a Enzo Biagi le ragioni del proprio sostegno a una revisione della forma di governo in senso presidenzialista. Utilizzando tutta la sua celebre eleganza verbale, il segretario dell’Msi evidenziava dagli studi di Repubblica: Atto II la necessità di liberare il governo dalla “servitù della partitocrazia” facendo in modo che “il presidente del Consiglio non sia tratto fuori dal forcipe della partitocrazia, ma venga nominato direttamente” da un Capo dello Stato eletto a suffragio diretto.
Io che sono un federalista e liberale boccio senza indugio una riforma sbagliata inutile e, diciamolo, fatta male.
Amo la libertà in tutte le sue forme sono per una repubblica parlamentare in uno Stato federalista, in quanto il popolo deve decidere sempre, non solo per eleggere un ducetto con le modalità all’amatriciana, che per altro non ha eguali in nessun paese del mondo perché trattasi di una cialtronata all’italiana che non serve a nulla, se non a distogliere il Popolo dai veri problemi economici sociali. Serve soprattutto distrarre da una certezza che sono un governo di dilettanti, che permettono a due comici di mettere alla berlina la sicurezza dello Stato ma soprattutto di ridicolizzare un premier che con il primo che passa parla di questioni delicatissime.

 

Roberto Paolino

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