Le piccole patrie

Il profeta dell’autonomismo fu Umberto Bossi che già nel 1982 pubblicava un periodico che si chiamava Lombardia autonomista.
Esistono diversi movimenti politici che annoverano il regionalismo lombardo sia nell’accezione autonomista che indipendentista, come proprio tratto identitario. Tra questi il più importante a livello storico resta la Lega Lombarda, in passato partito autonomo, ma ora divenuto semplice articolazione locale del partito nazionalista Lega per Salvini Premier. Prima di federarsi nella Lega Nord, la Lega Lombarda riuscì a conquistare due parlamentari alle elezioni politiche del 1987.
Il pensiero autonomista degli anni 90 tradotto in soldoni è il fenomeno politico caratterizzato dalla rivendicazione, da parte degli abitanti di una data località, ad ottenere maggiore potere decisionale rispetto alla sovranità statale, cui comunque rimane sottoposto il territorio; è anche la tendenza di uno Stato a realizzare il decentramento o l’autonomia.

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Pensiero principalmente basato su un concetto, ovvero tenere in Lombardia il massimo dei proventi derivanti dalle tasse.
Il divario tra Nord e Sud, negli ultimi mesi, è tornato d’attualità. Studi economici si rincorrono per capire quanto il Nord e il Sud danno e ricevono in termini di versamenti fiscali e di spesa pubblica, il cosiddetto residuo fiscale.
Analizzeremo il residuo fiscale attraverso i dati disponibili raccolti da una ricerca di Europolis, l’istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione della Lombardia (che dal 2018 fa parte di Polis) La Lombardia è la regione che versa più tasse allo Stato ricevendo, in cambio, meno trasferimenti in termini di spesa pubblica. In questi anni, infatti, il residuo fiscale della Lombardia ha raggiunto la cifra record di 54 miliardi.
Questa lunga premessa per dimostrare come l’autonomismo lombardo sia basato prevalentemente sul fattore economico.
Nel mio articolo di oggi vorrei affrontare l’argomento dal punto di vista politico e sociale.
Gli Stati nazionali si stanno disgregando, la prova di quanto dico è La Francia, la patria del centralismo è oggetto di proteste e sommosse quasi quotidiane.
Il motivo è facilmente intuitivo, lo Stato centralista non è più in grado di garantire una vita normale ovvero, senza privazioni, rinunce, non è più in grado di garantire una sanità pubblica, servizi e viabilità. Per cui si ritorna a parlare di autonomia in risposta alla crisi irreversibile dello stato centrale che, attenzione, non è la legge farlocca sulle autonomie differenziate di Calderoli, che di fatto cambia poco o nulla mantenendo quanto previsto dall’articolo quinto della costituzione.
L’articolo quinto vuole accertare l’indivisibilità dello Stato italiano in più Stati e quindi l’impossibilità da parte di una singola regione di rendersi indipendente. In pieno contrasto con un concetto chiaro che è quello delle; «piccole patrie»: una rete di molecole territoriali ricche di identità che convergono gradualmente in forme innovative di organizzazione.
Può non piacere ad alcuni ma sarà questa la ripartenza dopo l’inevitabile fallimento degli Stati centralisti.
L’attributo che individua una località o un territorio come «piccola patria» è la peculiare fisionomia culturale, ovvero il sentirsi comunità: un sentimento divenuto forte in risposta alle dinamiche perverse della globalizzazione e alla tirannide degli Stati centralisti.
Roberto Paolino

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