Lapidi, commemorazioni, minuti di silenzio
Lapidi, commemorazioni, minuti di silenzio
Dopo qualche esitazione mi sento di dire qualcosa anch’io sulla questione della lapide dedicata alla piccola Ghersi, a Noli
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Lapidi, commemorazioni, minuti di silenzio |
Dopo qualche esitazione mi sento di dire qualcosa anch’io sulla questione della lapide dedicata alla piccola Ghersi, a Noli. Cerco di essere breve: dovremmo smettere di commemorare e di celebrare con retorica gli avvenimenti storici in genere e quelli della Seconda Guerra Mondiale in particolare. D’accordo: un fiore, una lapide, un discorso pieno di commiserazione, commozione, di silenzi, è assai comodo, lo capiscono tutti, aiuta persino ad assurgere agli onori delle cronache. Ma è deleterio per la maturità di un popolo. La retorica finisce sempre per essere strumentalizzata, se non oggi, negli anni a venire. Le lapidi, le dediche, le frasi a imperitura memoria non sono mai servite a evitare QUEL tipo di violenza che è stata causa dell’evento che ha generato lapide e cerimonie medesime. Certo la retorica deve far molto comodo ai politici e ai governanti di ogni colore. Non c’è regime (neppure democratico) che non abbia avuto i suoi riti, più o meno popolari: dalle adunate oceaniche con labari e baionette; alle sfilate di soldati impettiti e carri allegorici celebranti operai e contadini sotto le bandiere rosse; fino alle sfilate di uomini in armi più recenti, al cospetto dell’IGNOTO MILES, o di altro monumento ai caduti. È però uno spettacolo che sazia di buoni sentimenti, soddisfa in qualche modo il bisogno di giustizia, semplifica persino le situazioni. E ancor più contribuisce a formare una (o più) identità di popolo. Anni sono passati, da quando Ortega y Gasset aveva scritto: “La retorica è il cimitero delle realtà umane, o nel migliore dei casi ne è l’ospedale degli invalidi”, eppure siamo ancora qui a celebrare, a imbandierare, a rotolarci nelle frasi fatte, alla ricerca di una giustizia o di una pace che non possono altro che essere teoriche. L’unica cosa che si può fare nei confronti di tutte, tutte le vittime della Seconda Guerra Mondiale (come anche di altri periodi o contesti in cui s’è praticata una qualche giustizia sommaria a scapito di molte vittime) è quella di promuovere una seria opera di ricerca storica, negli archivi, nei libri che sono stati scritti, negli articoli, nelle testimonianze orali. Mestiere tutt’altro che facile e privo di insidie, da non affidare al primo panettiere che magari scrive su “Trucioli” (con tutto il rispetto e per i panettieri che scrivono, e per Trucioli), ma da chi conosce metodi e strumenti della ricerca storica. Ecco, magari invece che fare lapidi, gli amministratori potrebbero cominciare a incaricare storici propriamente detti chiedendo loro di proporre un serio progetto di ricerca (non di destra o di sinistra, quelle sono le conclusioni. La ricerca, fatta bene, non ha colore politico) da pubblicare e discutere apertamente. E soprattutto senza retorica piagnona o esaltante. |