La stupidità al potere (Parte seconda)

LA STUPIDITA’ AL POTERE
(Parte seconda)

LA STUPIDITA’ AL POTERE

(Parte seconda)

Vedo che il prof. Pier Franco Lisorini, docente livornese di Filosofia in pensione ma tutt’altro che a riposo (almeno per quel che riguarda l’impegno profuso nel combattere la sua vana, finora, battaglia eticopolitica contro l’attuale esecutivo giallo-rosso guidato da un Presidente del Consiglio che lui gratifica con l’appellativo di “Cicisbeo”, e contro i “compagni” che, sotto mentite spoglie, sono ancora quelli, ma più ignoranti, del vecchio Partito comunista italiano) ha ripreso nel suo ultimo articolo uscito su queste pagine online l’argomento della stupidità in generale e di quella del potere in particolare, argomento già trattato dal sottoscritto su queste stesse pagine non più tardi di tre settimane fa. 

 


 

Il prof. Lisorini, che evidentemente non legge (o finge di non leggere) i miei articoli su argomenti affini a quelli da lui trattati, invece di far riferimento al capitolo sul potere della stupidità nel libro di Gianrico Carofiglio Della gentilezza e del coraggio, da me citato – e la cui lettura, detto per inciso, gli consiglio vivamente – prende lo spunto da un editoriale di Marcello Veneziani (non dice su quale giornale; il prof. Lisorini è restio a precisare le sue fonti, lasciando al lettore il compito di rintracciarle) dichiarandone però subito la debolezza argomentativa: “Marcello Veneziani è uno scrittore colto, lieve e brioso, una gemma rara (!) fra i sepolcri imbiancati del giornalismo italiano ma il suo ultimo editoriale sulla stupidità al potere è un vero e proprio boomerang. Intanto il fatto di puntellare con 13 (tredici) citazioni le sue argomentazioni piuttosto che rafforzarle le indebolisce: chi è convinto di quello che scrive non ha bisogno di tutori per sostenerle; in secondo luogo prendersela con la stupidità è pericoloso perché si corre il rischio di finirci dentro”. Fine del riferimento a Veneziani; il quale, per la verità, proprio per evitare il rischio che la stupidità gli ritorni indietro come un boomerang, dopo aver tratteggiato la figura dell’ “idiota globale” che si è ultimamente aggiunto al vecchio, innocuo e familiare idiota del villaggio, furbescamente ammette l’insufficienza della sua disamina del concetto di stupidità: “Abbiamo girato intorno alla stupidità ma senza definirla. Trattandosi di una carenza proviamo a definirla a rovescio, parlando del suo contrario.  


Marcello Veneziani

 

Se l’intelligenza è la capacità di leggere dentro le cose (intus legere), di collegarle e di trascenderle, è l’eccedenza del possibile sul reale, la stupidità è l’incapacità di leggere dentro le cose, di collegarle e di trascenderle, è la prevalenza dello stereotipo rigido sulla realtà e sulle possibilità. La pazzia, al contrario, è la prevalenza dell’impossibile sul reale, stabilendo nessi che non corrispondono alla realtà”. E infine l’ultima citazione per negare l’essenza ontologica della stupidità e affermarne invece la contingenza: “L’ala della stupidità colpisce a volte anche le menti più acute, notava Baudelaire; a volte il genio è un imbecille discontinuo, eccelle in un campo o nell’intuizione ma è stupido nel resto delle cose, di solito quelle pratiche. Stupidi siamo un po’ tutti seppure in gradi diversi. Chi di passaggio, chi in prevalenza, chi in permanenza. Si tratta di stabilire la modica quantità e la brevità della sosta” (da “La Verità” del 29 /11/ 2020). Come dire: nessuno è immune dal virus della stupidità, ma c’è chi ne guarisce presto, chi più lentamente e chi muore stupido come il don Ferrante manzoniano (citazione mia) prototipo degli odierni negazionisti della pandemia, prendendosela con le stelle. Ma, per tornare al “breviario” o manuale di educazione civica e politica di Carofiglio (e che dovrebbe essere letto con la matita in mano dai nostri politici così di maggioranza come di opposizione) né Lisorini né Veneziani accennano a quel tipo di stupidità “caratteristica del messaggio populistico che si concilia perfettamente con la chiusura mentale di cui ci stiamo occupando, cioè quell’attitudine individuale e collettiva che Zygmunt Bauman ha chiamato ‘retrotopia’.  

 


 

Essa è il contrario dell’utopia, o per essere precisi, un’utopia rivolta all’indietro. Vale a dire la nostra frequente tendenza a collocare nel passato – e non più nel futuro o in un luogo leggendario – il sogno, la fantasia di una società e di un mondo migliore. Il cambiamento non viene più immaginato , da tanti, come un viaggio verso l’avvenire, ma come un passo all’indietro, verso un tempo noto, rassicurante e insieme mitico”. La retrotopia si basa, dunque, sul presupposto che la storia umana sia un continuo decadere, secondo la mitologia classica, da una mitica e felice età dell’oro (Saturnia regna), a cui subentra un’età dell’argento, alla quale succede una prosaica età del bronzo fino all’ultima feroce e guerriera età del ferro, cioè la nostra. A questo proposito verrebbe fatto di dire: niente di nuovo sotto il sole. Anche nell’Antico Testamento troviamo la concezione della storia umana come decadenza da un tempo felice all’infelicità del presente, dal Paradiso terrestre al Diluvio universale, da un’età in cui tutto era a portata di mano al duro lavoro per la sopravvivenza, storia simbolicamente rappresentata dal sogno di Nabucodonosor di Babilonia che leggiamo in Daniele (2, 1:40): “Nabucodonosor una notte sognò una statua gigantesca costruita con materiali diversi: la testa era d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro, mentre i piedi erano stati forgiati con ferro e argilla. La statua si ergeva maestosa sul paesaggio; sennonché all’improvviso un sassolino si staccò da una montagna lì vicino, rotolando prese velocità, colpì i piedi della statua che si frantumarono in mille pezzi.  

 


La statua di Nabucodonosor

 

Di lì a poco tutta la statua crollò a terra.  “Si parla di utopia al contrario, continua Carofiglio, perché il passato felice di questa visione mitologica non è mai esistito, se non nell’esperienza di persone che , invecchiate e infelici, ricordano la propria giovinezza. Non esistono epoche auree la cui (impossibile) ricostituzione potrebbe assicurare una vita migliore, più pacifica, più sicura del presente. La nazione chiusa tipica del passato evocato dai diversi sovranisti, caratterizzata dalla contrapposizione, ottusa e spesso intrinsecamente violenta, tra ‘noi’ e gli ‘altri’ ha prodotto (e produce) discriminazioni, conflitti, guerre. Basti ricordare che l’Europa non ha mai conosciuto un’epoca di pace lunga come quella che, con tutti limiti, gli errori, i difetti, stiamo vivendo dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi”. Questo argomento però non ha valore per chi, come il prof. Lisorini, sostiene che le guerre fanno bene all’umanità e che si deve a loro il progresso delle scienze e della tecnologia, quindi delle macchine (e delle bombe) sempre più intelligenti, come i computer di cui non possiamo più fare a meno e dei robot in grado di svolgere mansioni ripetitive e alienanti per gli esseri umani, aumentando il tempo libero dal lavoro meccanico e manuale da impiegare non solo per lo svago ma soprattutto per prendersi cura della propria anima; ma questa è una mia arbitraria interpretazione del pensiero sulla guerra del docente emerito, il quale, per tornare al tema della stupidità, distingue nettamente questa dall’ignoranza: “Ma com’è che la tentazione di dare dello stupido a chi non ci piace supera quella di dargli dell’ignorante? Il motivo è semplice: la stupidità definisce la persona, la inquadra, o meglio la bolla. L’ignoranza è una condizione, non riguarda la persona o certe sue caratteristiche ma i beni, in questo caso le conoscenze, che ha acquisito”. In questo senso possiamo dire che un contadino analfabeta è ignorante ma non stupido. Giusto.

 

Gianfranco Pasquino

 

Ma possiamo dire altrettanto di un docente universitario, per esempio del professore emerito Gianfranco Pasquino, allievo di Norberto Bobbio e di Giovanni Sartori, che ha insegnato Scienza Politica presso l’Università di Bologna, che è stato  direttore dal 1980 al 1984 della rivista “il Mulino” e, dal 2000 al 2003, condirettore della “Rivista italiana di Scienza Politica” e dal 2010 al 2013 presidente della Società italiana di Scienza Politica; che è autore di numerosi volumi, i più recenti dei quali sono Cittadini senza scettro. Le riforme sbagliate (2015), Bobbio e Sartori. Capire e cambiare la politica (2019) e Italian Democracy. How it Works (2019); che ha condiretto, insieme a Norberto Bobbio e Nicola Matteucci per la Utet il celebre Dizionario di politica (2016, nuova edizione aggiornata) che ha inoltre pubblicato per la Utet La Costituzione in trenta lezioni (2016) e L’Europa  in trenta lezioni (2017); che dal luglio 2005 è socio dell’Accademia dei Lincei? Ebbene, il prof. Lisorini è riuscito a dargli dell’ignorante perché, a suo dire, intervistato nel corso del TG4 avrebbe citato Benedetto Croce come ministro dell’istruzione nel 1949: “Se uno che ha insegnato storia delle dottrine politiche cita Benedetto Croce come ministro dell’istruzione nel 1949 mi sento autorizzato a dargli dell’ignorante, perché evidentemente non conosce la materia che pretende di insegnare, considerato che Croce è stato un protagonista assoluto della cultura e della politica italiana”.  Già, solo che, a supporto di questo suo giudizio, il docente livornese che afferma di non aver bisogno di tutori autorevoli per dire quello che pensa, cita, ma a sproposito, Karl Popper e la sua teoria della falsificabilità: “Il giudizio sull’ignoranza altrui risponde ai requisiti popperiani della falsificabilità ed ha come dire una base ‘scientifica’ “. Ma perché la citazione è sbagliata? Perché la falsificabilità, per Popper, è ciò che distingue la scientificità di un’ipotesi o di una teoria da un’asserzione dogmatica o da opinioni non scientifiche basate su impressioni o percezioni soggettivo non controllabili, come, poniamo, i giudizi su un’opera d’arte, o  valutazioni di ordine morale, o la credenza nello spirito del mondo o nell’esistenza degli angeli. Il criterio della falsificabilità non certifica l’ignoranza ma la scienza. Per confutare un’asserzione falsa basta una verifica fattuale. Attenzione, prof. Lisorini, a non confondere verificabilità con falsificabilità, induzione con deduzione, certezza con verità. Quanto all’errore del professor Pasquino – sempre che lei abbia capito bene – sono propenso a credere che si sia trattato di un lapsus, dal momento che Benedetto Croce fu effettivamente ministro della Pubblica Istruzione, ma nell’ultimo governo Giolitti, per la precisione dal 15 giugno 1920 al 4 luglio 1921. Ad ogni modo un lapsus non fa di una persona colta un ignorante, proprio come una rondine non fa primavera.

 

  FULVIO SGUERSO 

 

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