La Storia locale (se avanzano i soldi)

La Storia locale (se avanzano i soldi)

Pare che il periodo fascista risvegli un certo interesse, soprattutto in ambito locale

La Storia locale (se avanzano i soldi)

 Pare che il periodo fascista risvegli un certo interesse, soprattutto in ambito locale. In genere, la Resistenza è la pagina più spesso dibattuta, più come campo di applicazione della retorica (tanto di una parte quanto di quell’altra) che non nello studio o nell’approfondimento degli avvenimenti storici locali.

Si noti ad esempio, la breve e intensa polemica, destata dall’atto vandalico seguito dalla ridipintura di una scritta mussoliniana su un muro di Roccavignale.

Se non si studia la Storia e si resta alla superficialità della polemica, non si va da nessuna parte. Si finirà per navigare nei luoghi comuni, frequenti e riprodotti indefinitamente sui social, come nei discorsi da bar: Mussolini ha fatto anche cose buone, come la bonifica dell’Agro Pontino, le pensioni, i treni in orario, l’agricoltura… Non ho neppure voglia (o titolo, non so) per rispondere. Ognuno si dia da fare per studiare la Storia e farsi un’opinione. Se dopo aver studiato coscienziosamente il ventennio, il suo giudizio sull’operato del dittatore e del regime sarà una cosa complessivamente positiva, allora non abbiamo altro da dirci.

 

In ambito locale ci concentriamo molto sui segni evidenti che sarebbero: “Da salvare per tramandare il passato”, ma dimentichiamo volentieri i reperti che andrebbero riportati in luce, studiati a scuola o ricordati pubblicamente. Dimenticare, ignorare, dal punto di vista storico, significa alterare la verità. Spesso anche perpetrare questa alterazione, che si radica fino ad essere convinzione pacifica e diffusa, e a questo punto indiscutibile.

Mi riferisco, ad esempio, al luogo comune secondo cui il fascismo ebbe nei suoi primi anni di affermazione, il sostegno entusiastico di tutti. Parrebbe, secondo alcuni, che fino alla guerra d’Etiopia (ottobre 1935), e all’appoggio alla guerra civile spagnola (dicembre 1936)  Mussolini ed il regime fosse visto semplicemente come la salvezza d’Italia, praticamente da tutti.

Se si prova a sondare il terreno della memoria, alla ricerca della situazione locale, si viene talvolta rassicurati con affermazioni del tipo: “Si, c’erano i fascisti anche qui, ma li conoscevamo, eravamo come dire amici. Si, anche squadristi, ma non è mai successo niente, no, qui in Valle era tutto tranquillo. Si, magari avevano mandato qualcuno al confino, ma era come andare in ferie… Non succedeva niente perché comunisti e socialisti non ce n’era, o ce n’erano pochi e stavano nascosti”.

Il fenomeno dello squadrismo fascista, a livello nazionale, è noto. Dalla smobilitazione della fine della Prima Guerra Mondiale si formano i primi nuclei di ex combattenti, soprattutto volontari, nazionalisti e futuristi, che rivendicano il riconoscimento per il servizio svolto in guerra. Mussolini nel 1919, fonda i “Fasci di combattimento”, nuclei armati, rivoluzionari. I latifondisti e gl’industriali sfruttarono questa animosità e questa volontà organizzativa finanziando e sostenendo la nascita delle squadre di camicie nere come antagoniste violente del movimento operaio socialista e comunista. Le squadre fasciste, in camicia nera, raggiungevano gli obbiettivi su camion militari, distruggevano e bruciavano sedi di partito o di sindacato, bastonavano gli oppositori, li obbligavano a bere l’olio di ricino.

Sembrerebbe che la Val Bormida non abbia nulla da ricordare di quegli anni…

Nella notte tra l’1 e il 2 agosto del 1920, a Millesimo, un gruppo di operai socialisti stava rientrando da un comizio, cantando canzoni “sovversive” ed inneggiando alla rivoluzione. Sulla loro strada incrociarono una pattuglia di carabinieri: da un primo diverbio, si passò allo scontro fisico che costò la vita ad un operaio. L’evento causò il giorno dopo uno sciopero alla SIPE a cui si aggiunsero le maestranze di Savona, concludendosi poi con una manifestazione in piazza Mazzini.


 Il 13 maggio del 1921 un gruppo di comunisti a Cairo cercò di impedire il passaggio di un autocarro di squadristi. Le camicie nere di Millesimo attaccarono la sede comunista di Cairo distruggendo mobili e suppellettili (relazione della prefettura di Genova, 15 maggio 1921).

Nel giugno del 1922 a Carcare un’incursione fascista fu respinta da militanti comunisti e socialisti.

Sempre nel 1922 a San Giuseppe di Cairo, il 21 agosto, un gruppo di fascisti sottrasse la bandiera comunista a un militante, che venne bruciata, dando quindi alle fiamme pubblicazioni ritenute sovversive. Poi si recarono presso il “Circolo Comunista”, lo distrussero e diedero alle fiamme mobili, documenti e tessere. Occuparono infine il palazzo delle scuole comunali.

Questi episodi sono forse i più noti e ci restituiscono evidentemente quale fosse il clima dei primi anni del fascismo, anche a livello locale, negando insomma che l’avvento del regime fosse stato indolore, rassegnato o addirittura accompagnato da un sostegno unanime.

La Storia non può essere salvata solo dal folklore o da iniziative discutibili (come quelle appunto di riverniciare una scritta). Ha bisogno di produzione culturale, che sia da stimolo alla ricerca, allo studio degli archivi, dei documenti, delle memorie, della storiografia prodotta. Fino a pochi anni fa, ad esempio, esisteva in Valle una peculiarità preziosa, una collana di studi storici pubblicata dalla Comunità Montana curata dal professor Giannino Balbis: “I libri dell’olmo. Collana di studi valbormidesi”. Dodici anni, credo dodici volumi di Storia Locale. Autori diversi, diversi argomenti. Per i soliti motivi economici al primo segno di crisi, questa collana (seria, documentata, professionale e ben fatta) è stata subito cassata. Nulla da dire: sono scelte. Però a nessuno è venuto in mente che una collana di Storia locale resta comunque importante, e che con la stampa digitale, oggi, si può spendere veramente poco per avere a disposizione decine o centinaia di copie utili per le biblioteche locali, per riavviare un dibattito serio, un rinnovato interesse per la Storia Locale. Basterebbe che due o tre sindaci chiedessero ufficialmente al professor Balbis di riprendere le redini di quel progetto che era stato così rapidamente cancellato, e proseguirlo. L’identità di un territorio si costruisce anche facendone la Storia, ma in modo serio, professionale.


Davide Montino

Gli episodi che qui ho citato, ad esempio, sono stati riportati da Davide Montino, indimenticato amico e docente universitario (collaboratore di alcuni volumi dei “Libri dell’olmo”), che per primo, io credo, ne aveva dato segnalazione sul numero 3, marzo 2006, del mensile “Alta Val Bormida”, pubblicato, anche questo, dalla Comunità Montana. A conclusione di questa mia breve riflessione cito per esteso la chiusura di quell’articolo, il modo migliore per ricordarlo:
“Questi brevi frammenti meriterebbero scavi archivistici ben più attenti, in grado di illuminare una fase della storia d’Italia che è stata anche la nostra Storia, in modo da delineare nel dettaglio un momento importante come gli anni del dopoguerra, con le loro tensioni, gli scontri, le opzioni politiche in gioco, da cui maturarono poi vent’anni di dittatura. Sarebbe un terreno di riflessione locale, ma in grado di ampliare un nodo essenziale della Valle Bormida in età contemporanea, soprattutto in merito alle dinamiche dei processi industriali di cui è stata teatro importante nel corso del XX secolo” (Davide Montino). 

 Alessandro Marenco

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