LA SOCIETÁ OMNICLASTICA
Ho coniato questo neologismo poiché ben si applica all’odierna tendenza a distruggere tutto ciò su cui siamo venuti edificando, nei secoli e millenni, l’attuale cultura.
Del passato, non solo remoto, non si salva niente: una damnatio memoriae generalizzata e senza eccezioni. Un crucifige! senza confini di tempo e di luogo.
Se la religione ha subito i primi attacchi contro il clero sin dai primi secoli dello scorso millennio, per poi estendersi all’essenza stessa del credo, a partire dal progressivo affermarsi dell’Illuminismo, anche la nostra stessa storia è venuta esponendosi ad un impietoso revisionismo, giudicandola e condannandola con la sensibilità contemporanea.
Non vengono risparmiate neppure le opere d’arte del passato, lontano e recente, in un ebete vandalismo verniciato di questa o quella ideologia.
Per non dire della letteratura, più intimamente penetrata dello spirito del suo tempo. In puro stile inquisitorio, si vogliono epurare parole, frasi, concetti, considerati contrari alla nostra nuova etica. E scusate su uso questo termine aulico per definire questa paranoia collettiva.
E non miglior sorte si riserva a film, favole, fumetti ed ogni altra forma di comunicazione con fini didattici o di semplice intrattenimento.
Tutto deve diventare consono a quello che giustamente viene definito “pensiero unico”, in quanto non ammette deroghe al suo prontuario.
In un contesto così prossimo ad un mix di soviet e talebanismo, non passa giorno che qualche sopravvivenza del passato non passi sotto le sue forche caudine, alle quali si adeguano i mezzi d’informazione, per scimmiottatura, e le imprese, attraverso la pubblicità, per adeguarsi agli umori del mercato. È l’apoteosi del politically correct, con una (igno)bile gara a chi sa conformarsi di più.
Il condimento ubiquo di questa insalata verbale è l’ipocrisia, che stranamente non compare nella lista dei 7 peccati capitali, pur essendo ben presente in Gesù la sua condanna (vedi Matteo 23), rivolta in particolare a scribi e farisei.
Orbene, quanti scribi e farisei ci sono nell’attuale mondo di perbenismo di facciata, nelle dichiarazioni farisaicamente volte a proteggere gli ultimi della società (o i gruppi meno rappresentati)?
L’attuale scenario è un’iconica conferma che, quando un giudizio inizialmente lodevole, cresce man mano sino a diventare idea fissa, si cade nel grottesco, nell’ossessione patologica.
Gli esempi sono ormai così numerosi che non se ne può nemmeno fare la conta.
Le parole forse più esecrate, e non pronunciabili, sia pure per opposti motivi, sono “negro” e “fascista”. Non ci si accorge che, cambiando negro in nero, si è solo fatto un innocuo cambio nominale, senza minimamente cambiare la sostanza, rimasta ben chiara nei meandri della mente di chi se ne fa corifeo: l’idea cioè che la razza negra sia inferiore alla bianca, se non fisicamente, almeno intellettualmente. Ottimi atleti, ottimi lavoratori di braccia, ma non oltre. Se ne saluta l’arrivo, per quanto illegale: manca manodopera per raccogliere arance e pomodori. E persino un leghista doc come il presidente della regione Veneto, Zaia, sconfessa la politica del suo segretario, per farsi promotore degli immigrati nelle fabbriche venete.
Circa il “fascista”, nel suo significato spregiativo, si adatta perfettamente ai comportamenti della “razza padrona” contemporanea, dove i diritti dei ricchi cannibalizzano giorno per giorno quelli degli “ultimi”, sospinti sempre più verso l’insignificanza e la neo-schiavitù.
Non posso che procedere con l’ultima trovata: il patriarcato. Il femminismo, sorto circa un secolo fa, ha fatto progressi da leone, pardon da leonessa, tanto da spogliare l’uomo dei suoi attributi e delle sue mansioni originali. L’uomo di oggi è una pallida copia di se stesso, sempre sull’orlo di qualche denuncia per stupro o “atti sessuali”, passibili del carcere, estendendo il termine ad una semplice manata sul deretano di una donna.
Il maschio, se ancora può definirsi tale, vive nel timore di fare persino un complimento di troppo, rischiando il ludibrio o peggio, se alla destinataria non risultasse gradito. Per non parlare delle avance amorose. Il limite rispetto al corteggiamento ammesso dall’odierno galateo, o meglio dalle aspettative femminili, è sempre più confuso, finendo col lasciare solo alla donna la facoltà di prendere l’iniziativa. Cosa che, a quanto apprendo, le ragazzine di oggi fanno senza più remore, pretendendo però, incoerentemente, la virilità indispensabile per l’amplesso, ricalcato sui super-eroi, magari “viagrati”, dei film porno.
C’è qualcosa di profondamente connaturato nell’uomo, che gli deriva dalla sua ancestrale mansione di cacciatore e procuratore del cibo, che stava poi alla donna cucinare per l’intera famiglia. Questi due ruoli erano congrui alle capacità e inclinazioni dell’uno e dell’altro sesso.
Poi, le donne hanno giudicato come avvilente accudire alla casa e alla famiglia e sono entrate a grandi passi nel mondo del lavoro esterno, sottraendo sempre più posti all’uomo. Ci sono alcune coppie in cui la moglie guadagna più del marito. E, piaccia o no, questo pesa sull’orgoglio del maschio, che si sente defraudato del titolo di pater familias, alias di patriarca (il caso Meloni-Giambruno è solo un esempio tra tanti).
Se a tutto questo si aggiunge la sempre minor differenza tra i due sessi, fino ai matrimoni omosessuali, con un calo del desiderio proporzionale alla minor distanza tra due amanti, non c’è da stupirsi se dilaga l’impotenza, sia coeundi chegenerandi, e calano le nascite (oltre ovviamente all’incertezza del futuro e il peso economico di ogni nuovo nato).
Termino con un neologismo che credo esista solo in italiano: femminicidio (stranamente ancora sottolineato come errore da Word). Le statistiche parlano di 150 casi all’anno su una popolazione di quasi 60 milioni. I morti per incidenti stradali sono oltre 20.000.
Non voglio assolutamente sminuire il fenomeno, ma soltanto sottolineare che questo genere di delitti cova in maniera sorda dentro il futuro assassino con un lento logorio interno e reciproco, che perlopiù porta la donna a instaurare una relazione parallela e/o al desiderio di troncare la relazione ufficiale. L’essere lasciato o tradito –non saprei cosa sia peggio- lede talmente l’orgoglio del maschio che può condurlo alla decisione di uccidere la partner e –spesso- di uccidere se stesso; come dire che la sua vita senza di lei non ha più alcun senso. Con una mente così obnubilata, mi chiedo a cosa possa servire il tam tam di pubblicità negativa, che tracima da tutti i mezzi d’informazione, con tanto di giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne: il 25 novembre (tra le 365 dedicate a tutto).
Il governo ha varato una nuova legge, inasprendo le pene. L’uomo esasperato dalla volontà della moglie/amante di lasciarlo non guarderà il codice penale prima di compiere l’irreparabile. Con o senza premeditazione.
PS. Questo articolo passerà come fautore del maschilismo. In realtà, sarà forse uno degli ultimi pigolii che sarà consentito a un uomo di emettere, senza finire in tribunale per lesa maestà. E questo in una società che si definisce democratica, tollerante, aperta. A me sembra piuttosto una società che instaura il nuovo a spese del vecchio, anziché fare spazio a entrambi. Come un albero senza radici. Come una città senza centro storico.
Marco Giacinto Pellifroni 3 dicembre 2023