La società nichilista e annichilente

LA SOCIETÁ NICHILISTICA
E ANNICHILENTE

LA SOCIETÁ NICHILISTICA E ANNICHILENTE

 Domenica scorsa, durante la presentazione a Finale del suo ultimo libro “Metafisica tradita?”, l’autore, Giorgio Girard, ha rinvigorito il suo pensiero attraverso una summa orale di riflessioni maturate in special modo dal 2000, anno di pubblicazione di “Psicologia debole”.

Girard è entrato quest’anno nel suo novantesimo genetliaco ed ha metaforicamente diviso  la sua vita in due parti: la prima sotto l’egida della metafisica, termine con cui egli denota una società che accetta le regole esistenti e non si pone domande, accettando per valide le risposte già date, in sostanza la società del credere acritico; la seconda, che Girard qualifica come “nichilista”, prende corpo all’incirca negli anni ’70, quando i precedenti credi vengono messi in discussione, alla ricerca delle motivazioni che ne sono la sottesa e indichiarata causa. 

 


Nel volgere di mezzo secolo il nichilismo ha fatto piazza pulita dei vecchi credi, laici e religiosi, per trasbordarci nel limbo del sospetto disgregante “a prescindere” 

 

Chi ha superato gli ottant’anni, come io stesso, condivide questa impostazione, per cui ha vissuto circa metà della sua esistenza nell’ancient regime, fatto di fede e fiducia nelle istituzioni, religiose e laiche, e l’altra metà nel suo esatto contrario, in un clima ben definito dal termine “dietrologia”.

Coloro che condividono la nostra età hanno quindi potuto sperimentare il passaggio, o meglio il capovolgimento, da un modo di vivere e di pensare alla sua negazione. In mezzo secolo abbiamo avuto modo di rinnegare noi stessi nel segno di quella che è stata promossa come un’evoluzione positiva, un trionfo del progresso, baconianamente inteso, seppur criticato da alcuni filosofi e pensatori, non certo dalla truppa dei giornalisti, ossia da coloro che sono condizionati dai propri editori a magnificare l’ineluttabilità di un divenire fine a se stesso, senza traguardi che non siano quelli di un continuo superamento dei limiti.  


 

Il titolo pone l’interrogativo chiave: si stava meglio ieri, o oggi? La risposta corale è: oggi; dimentichi che c’è qualcuno che ha pagato e paga i nostri maggiori agi: la natura; cui aggiungerei il nostro equilibrio mentale 

 

Diciamo che io, Girard e i nostri coetanei dovremmo essere la personificazione della schizofrenia, cioè della convivenza nella stessa persona di due visioni del mondo antitetiche. Questa nostra condizione non viene minimamente condivisa, né compresa, dalle generazioni a noi successive, che hanno assorbito sin dalla nascita il corrente stile di vita e di pensiero, dandolo per scontato, anche se sono proprio loro a pagarne il prezzo più alto. 

La reazione individuale dei più anziani a questa subita dicotomia è naturalmente diversa, a seconda dell’indole e del proprio vissuto. 

Di questa accelerata trasformazione del mondo io ebbi contezza attraverso la metamorfosi dell’ambiente e quindi sviluppai un riflusso verso i valori della conservazione degli equilibri pregressi. Di qui l’accusa di essere reazionario, comune a tutti gli ambientalisti. Senonché, i miei Verdi compagni di viaggio, se afferrarono il nesso tra industrialismo e degrado ambientale, non lo estesero al monetarismo e a quello che Luciano Gallino chiama “finanzcapitalismo”; e su temi come identità, signoraggio, senso del patrio suolo e sua difesa da indiscriminati ingressi illegali, più molto altro, ci fu un reciproco allontanamento. A proposito di confini, non vedo perché dovrei dare il benvenuto alle flotte ONG il cui dichiarato scopo è quello di perlustrare il Mediterraneo per raccogliere e scaricare sul nostro suolo masse di naufraghi volontari; per tacere di quando tale compito non venga addirittura svolto da navi della nostra Guardia Costiera o di Finanza. 

 


 

Naviglio ONG e Guardia Costiera, alleate nei salvataggi di quanti si gettano in mare diventando ipso facto naufraghi e quindi aventi diritti di salvataggio. In prospettiva: nuove bocche da sfamare

 

E proprio qui inizia la mia deviazione dalla visione indicata da Girard nel suo “Nichilismo bifronte”, dove, accanto ai contro dello sgretolamento del mondo del credere, ne ravvede anche i pro, nonostante la palmare evidenza di quanto i pro siano in perenne decrescita rispetto alla tumultuosa avanzata dei contro. Non a caso sono a favore dell’incosciente crescita illimitata tutti i grandi gruppi di interessi transnazionali, i fautori del globalismo, della mescolanza di razze, della confluenza di ogni civiltà nel crogiuolo del sistema finanziario uber alles

Quando apro il giornale (la mia TV ormai è diventata un soprammobile in disuso) e leggo di piani di espansione, fusioni, scalate, propugnati da CEO di grandi aziende, mi chiedo se costoro non si accorgano che stanno remando insieme allo scioglimento dei ghiacciai, all’avanzata dei deserti, agli incendi ormai perenni di foreste tropicali e artiche, alla “plastificazione” del pianeta. Ma dove vivono costoro? Non respirano, non bevono, non mangiano?

Purtroppo, tutti coloro che lavorano devono rendere conto, in ultima analisi, a persone di tal fatta; e se osano dissentire perdono il posto e quindi i fondi per campare. In una catena che attraversa tutti i livelli gerarchici, siamo tutti succubi dei voleri dei vertici, che condizionano non solo il mondo del lavoro, ma anche le scelte politiche, qualunque sia il partito al governo.

 

 


 

Non sazi dei saccheggi sinora compiuti nelle aree del mondo più temperate, si punta ora, complice l’effetto serra, a trattare in pari modo la delicata zona artica [VEDI] e [VEDI]

 

Eppure, è proprio la “vecchia guardia” ai vertici che dovrebbe far tesoro della sua educazione giovanile per gridare ai quattro venti che questa impostazione dell’economia è malata; e non può esserci salute per nessuno in un pianeta malato. Il massimo che invece è disposta a fare è creare  fondazioni “filantropiche” per lavarsi la coscienza e finanziarle attingendo all’ambiente, ossia al finanziatore ultimo, ormai in marcia a passo accelerato verso il crollo sistemico.

Siamo cresciuti esponenzialmente come numero e come pretese, che l’ambiente sarebbe delegato a soddisfare. Ma la moltiplicazione degli umani e delle sue esigenze avviene a spese della vita di tutti gli altri esseri viventi e dei cicli naturali, organici e inorganici.

Non contenti di permetterci un’auto a testa, di volerla sempre più grossa e pesante (ormai circolano più SUV di veicoli “normali”), di riempirci di gadget elettronici, di aderire ad un igienismo e salutismo eccessivi (pulire noi, la nostra biancheria e le nostre case accumulando il corrispondente sporco nell’ambiente di tutti; ricorrere a farmaci per ogni minimo disturbo, intolleranti di ogni grado di dolore, diventando pillole-dipendenti), abbiamo esteso la nostra famiglia a cani e gatti, ormai un plotone di consumatori di cibo e accessori simili ai nostri, accrescendo il bisogno di energia e di cibo reperito alla fine disboscando e incendiando vaste aree del pianeta, per ricavarne carne e carburanti. 

Sì, sono un ecologista atipico: oltre a non tollerare confini e porti aperti a chiunque, sono pure un anti-animalista, naturalmente per quanto concerne gli animali domestici, i pet

 


Cuccioli di leopardo delle nevi. Habitat diventati inospitali, per loro e tanti altri animali selvatici, ne causano la progressiva estinzione… 

 


…mentre si moltiplicano cani e gatti e il business che ruota attorno a loro, con i relativi consumi in crescita, in aggiunta a quelli di un’umanità fuori controllo 

 

Quando li vedo penso a quante premure vengono loro riservate, mentre centinaia di altri animali selvatici si spengono sotto i colpi di bracconieri o anche semplicemente per l’invivibilità dei loro habitat a causa dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo. Amo pensare alla bellezza selvaggia e solitaria del leopardo delle nevi, prossimo all’estinzione, mentre da noi si moltiplicano i nostri “amici a quattro zampe”, in un’ideale compensazione.  La nostra usurpazione dello spazio altrui, la leggerezza con cui devastiamo persino le aree protette, sia locali che globali, per il diffondersi dei nostri crescenti prodotti di scarto, sono un mio costante assillo; ma non vedo la determinazione di porvi fine, se non a parole, con piani di ravvedimento spostati in là di decenni. 

O forse la intravvedo nelle sempre più coattive misure sanitarie per un Covid che certamente morirà, come la spagnola e la peste, lasciandosi però dietro la giustificazione di una dittatura eco-sanitaria, che sarà molto più dura a morire, se mai morirà. 

Leggo lo struggimento con cui si assiste alla decrescita del Pil a causa della pandemia, nonché l’entusiasmo con cui si afferma che “ricupereremo presto” i miliardi di consumi perduti. Insomma, gli sforzi non sono volti alla diminuzione dei consumi, e quindi dell’inquinamento, ma alla loro “restaurazione”. Ecco, in questa parola, usata in ben altri ambiti, sta il succo del nostro atteggiamento, della nostra ferma volontà di tornare “come prima”, ante-Covid. È questa la vera reazione, non quella ambientalista.

Il Covid ha inferto grave danno all’economia, si lamenta. Che nel pre-Covid si sia assestato un colpo molto più grave alla Terra viene invece rimosso, nel nome della ripresa dei vecchi consumi, della “normalità” divoratrice di risorse. Per colmo d’ironia le misure anti-Covid stanno riempiendo il mondo di una valanga di nuova plastica usa-e-getta: mascherine, guanti, sacchetti, esasperando le precedenti idiozie, tipo quelle della proibizione al riuso di sacchetti e contenitori nei supermercati.
 

Rudolf Clausius e Lord Kelvin, enunciatori del 2° Principio della Termodinamica, basato sul concetto di dissipazione: 1° Principio: nulla si crea né distrugge; 2° principio: tutto si degrada

 

Certo, la normalità sul piano inclinato verso la massima entropia. Il 2° Principio della Termodinamica non è improntato al “pensare positivo” cui oggi tutti –penso agli intrattenitori radiofonici, tra una canzone e un notiziario- invitano, mentre si moltiplicano le occasioni per pensare il contrario. Quel Principio è ferreo e ineludibile; e, per colmo d’ironia, è stato scoperto proprio nel bel mezzo del secolo più ottimista di sempre, l’Ottocento progressista. Per chi non ci avesse mai riflettuto, esso in sostanza afferma che più procedi nel disordinare un sistema ordinato, tanto maggiore sarà l’energia richiesta per riordinarlo, nel tempo stesso creando più disordine fuori del sistema. La via d’uscita è stata sinora proprio quella di trasferire all’esterno del sistema il disordine (inquinamento). Se però il sistema si allarga al globo intero, non c’è modo di confinare il disordine in aree delimitate, poiché i confini geografici solo labili e mobili. E l’inquinamento che pensavano di aver confinato, altrove, magari in Cina, ci ricade in testa, sotto forma di effetto serra, che si somma alla dispersione delle sostanze non biodegradabili (plastiche, medicinali, fitofarmaci, gas di scarico, fumi, ecc.). 

 


Una scienza “strana” perché più qualitativa che quantitativa

 

Sconvolgimenti globali per modesti avanzamenti -ammesso che tali siano per tutti- del nostro stile di vita, sul modello americano. Vale la pena pagarli un prezzo così alto?

Il mondo che ci è stato dato (non chiedetemi da “chi”) è un mondo duro, fatto di sacrifici e lotta per la sopravvivenza, come, a ben guardare, lo è per tutti gli animali selvatici e gli insetti, alla costante ricerca di cibo. L’uomo, con il fatidico gesto nell’Eden, ha acquisito la conoscenza empirica, la capacità progettuale negata agli altri animali e le ha usate per ammorbidire le durezze dell’esistenza. Ma, inseguendo gli agi, ha ignorato il 2° Principio: più agi si procura, più disagi crea intorno a sé e, in ultima analisi, a se stesso. Non c’è scoperta degli ultimi tre secoli che non si sia risolta, a conti fatti, in un danno anche all’intera umanità, che si presumeva esserne la fruitrice esclusiva. Ciò che sembrava risolvere problemi ne ha creato di nuovi e assai più gravi, complice l’etica utilitaristica e umanitaria. 

  

  Marco Giacinto Pellifroni                     6 settembre 2020 

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