La questione salariale

In un’economia di mercato, ci sarebbero in questa materia soprattutto due indicatori da tener in primo piano: l’andamento del pil e quello della produttività. Solo lavorando su questi fattori, non certo imponendo salari per legge, avremo risultati.

La questione dei salari italiani troppo bassi, addirittura diminuiti negli ultimi decenni, unico caso in Europa, è ormai stabilmente in primo piano. Va affrontata, anche perchè Istat avverte che quest’anno le retribuzioni perderanno un altro 5% del potere di acquisto, causa inflazione.
Ne hanno esplicitamente parlato Ministri come Colao, che ha esortato le imprese ad assumere di più e pagare di più, tenendo però presente che il tema non si risolve né alla maniera di Landini (tasse) né del Ministro Orlando alzando i salari (per legge?) e tanti saluti. Occorre una visione complessiva, e non servono mosse demagogiche sul salario minimo, in stile pentastellato, ma valutare il salario medio. In 30anni è sceso del 2,9%, mentre in Francia è salito del 31%, in Germania del 33,7%, in Spagna comunque del 6,2%. La “liberista” Irlanda segna un +85,5%. In busta paga, la differenza fa 22 mila euro circa in Italia contro i 29 mila in Germania e i quasi 25 mila in Francia.

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E il salario medio è il frutto di un rapporto che in basso è concorrenziale con il reddito di cittadinanza (il turismo non trova addetti stagionali), e in alto vale due/tre mensilità in meno che nei Paesi nostri simili.
La questione è insomma da risolvere in chiave totalmente politica, perchè chiama in causa fisco, pensioni, giovani, scuola, competitività, fuga dei cervelli, demografia. Va al di là della stessa dialettica imprese-sindacati e richiede un incontro a 3, col Governo a capotavola.
Non a caso, il presidente di Confindustria ha ufficialmente rinunciato al “patto per l’Italia”. Il tema ormai coinvolge l’intera politica economica, e solo muovendo la leva fiscale si possono trovare le risorse necessarie.
Ma qui occorre star attenti a non fare passi indietro, verso utopie sessantottine. Sono stati duramente smentiti dai fatti gli slogan sul salario variabile indipendente, ed è degli anni 80 la sconfitta dell’inseguimento prezzi-salari, evocata con preoccupazione dalla recente relazione del Governatore di Bankitalia Visco, che ha espresso un non convincente favore per i bonus tampone, probabilmente dovuta alla speranza che la situazione migliori. L’inflazione si è già mangiata i miliardi degli interventi di emergenza.
La via fisiologica resta quella dei rinnovi contrattuali, a meno che si voglia fare come in Germania ed erogare dei consistenti una tantum aspettando la caduta inflattiva e/o dal taglio netto del cuneo fiscale che chiedono gli industriali, con un costo però di 16 miliardi.
Draghi vuole affrontare il problema e ne sentiremo presto delle belle dai sostenitori degli aumenti senza corrispettivo.
In un’economia di mercato, ci sarebbero in questa materia soprattutto due indicatori da tener in primo piano: l’andamento del pil e quello della produttività. Solo lavorando su questi fattori, non certo imponendo salari per legge, avremo risultati.
Ma aumento del Pil e della produttività dipendono da un’infinità di andamenti interni e oggi ancor più internazionali: efficienza e dimensioni del capitale impiegato, qualità dei servizi pubblici, costo del denaro, funzionamento del mercato, dimensioni d’impresa, concorrenza, innovazione, stabilità delle regole.
Sono proprio i problemi su cui da decenni è impantanata l’economia italiana, e quindi ci sarebbe da disperarsi. Se dipende da questo un salario più equo e più attrattivo, campa cavallo. Ma c’è un fatto nuovo. Questi temi e tanti altri dipendono dal grande libro del Pnrr, e dagli investimenti correlati. E’ la nostra ultima spiaggia, lascito positivo della tragedia Covid.
Quando è arrivato l’aiuto europeo, il nuovo Marshall, abbiamo tutti esultato, accettando a parole lo scambio tra riforme e miliardi. Poi è subito cominciato il balletto dei distinguo, e i casi dei balneari e del catasto non sono affatto risolti. Quando la sera al TG sentite un politico che difende i balneari perché “espropriati”, già sapete che il Pnrr traballa.
Dunque, anche un problema sistemico come quello dei salari dipende da quella piccola cosa che è la serietà della classe politica. E dalla disponibilità degli elettori, beninteso, a distinguere tra le patacche procura voti e la voglia di pensare davvero al futuro di questo Paese.

Beppe Facchetti  da PENSALIBERO

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