La palma delle corbellerie

La palma delle corbellerie

La palma delle corbellerie
Politici e giornalisti ne sparano quotidianamente di tutti i colori ma se dovessi assegnare la palma della più grossa corbelleria sarei in grande difficoltà e dovrei ricorrere alla scappatoia dell’ex aequo. Fino all’altro giorno, infatti, non avevo dubbi. Tragica conferma della attendibilità della fisiognomica e dell’opportunità di ricorrere al buon vecchio QI prima di affidare cariche pubbliche, il cinguettio del “governatore” ligure che sollecitava una disposizione per chiudere in casa gli ultrasettantenni, che tanto cosa girano a fare dal momento che non devono andare a lavorare perché ormai improduttivi. 


Non è certo la prima volta che gli anziani sono oggetto di discriminazione. Nell’antica Roma repubblicana quando con la costituzione varata da Servio Tullio si votava per centurie – i comizi centuriati – il voto era riservato agli uomini arruolabili, che per esprimere il loro voto dovevano passare da un ponticello. Se si presentava un ultrasessantenne veniva buttato giù dal ponte: sexagenari de ponte. Ma, parte i ventisei secoli trascorsi dalla costituzione serviana, lo stato non coincide più con l’esercito e l’esercizio del voto non è legato al servizio militare, cioè alla partecipazione attiva alla difesa, condizione per godere della pienezza dei diritti civili e politici. Ma forse il simpatico governatore, contaminando le reminiscenze scolastiche, intende sostituire al ruolo attivo nella milizia il ruolo attivo nell’economia: chi non produce si goda la pensione e faccia largo ai giovani.  E devo dire che anche dal vertice del grillismo ho sentito nutrire qualche perplessità sul diritto degli anziani a condizionare col loro voto la guida della società della quale loro sono una zavorra. Non è certo quello che intendeva l’uomo del Cambiamo! che si è affrettato a correggere l’incauto cinguettio continuando a cinguettare ma così facendo ha messo una pezza peggiore del buco. I nostri nonni, ha twittato, non vanno chiusi in casa e messi a nanna perché improduttivi ma per tutelare la loro incolumità, perché andandosene a zonzo possono incappare nel covid e alla loro età e con i loro acciacchi ci possono lasciare la buccia (e intanto intasano i pronto soccorso e le terapie intensive).  Facciamolo per i loro bene!


Evidentemente la distanza fra stato etico e democrazia liberale fa presto ad annullarsi anche nella testa di chi della democrazia liberale dovrebbe essere espressione.  Si può sorridere dello scivolone di Toti ma il problema esiste ed è serio. Con tutto l’antifascismo che c’è in giro, con tutta l’esecrazione per i totalitarismi, con tutto l’orrore per la Germania nazista o la Russia sovietica sotto sotto continua a circolare l’idea dello Stato-mamma, che si prende cura di noi, ci guida sulla retta via e pensa al posto nostro, soprattutto se i nostri pensieri rischiano di deviare dal programma. Poi lo stato-mamma guarda al futuro, a una società sana forte e produttiva – e attenta ai conti dell’Inps – e come il caporale con i baffetti un pensierino al miglioramento della razza lo fa, con un occhio all’Africa; del resto, perbacco, si dice che è da lì che veniamo.

Non funziona così: perché possa produrre i suoi frutti migliori la società va lasciata respirare; soffocata dallo Stato inaridisce e si spenge. Darwinismo e vitalismo nicciano hanno prodotto solo capanne di rami impastati col fango, né va meglio col marxismo: la civiltà non è figlia del lavoro ma della liberazione dal lavoro: le arti, la poesia, la scienza, la filosofia nascono dall’otium non dal negotium.

Civiltà è parità di diritti, di dignità e di peso politico, siano donne, anziani o quelli che Nietzsche chiamava “malriusciti”.


Ma c’è un altro aspirante alla palma per la più grossa corbelleria ed è Piero Sansonetti, la voce della sinistra che piace alla destra berlusconiana, che interrogato da Giuseppe Brindisi, lo spilungone che conduce l’edizione serale del telegiornale di rete 4, sul pericolo terrorista che viene dai barconi sbotta: ma che pericolo, fra gli ultimi cinquecentomila clandestini sbarcati a Lampedusa un solo piccolo misero terrorista che vuoi che sia! Come dire che il terrorismo islamico non esiste perché il rapporto fra le poche migliaia di combattenti e martiri e i due miliardi di professanti la fede coranica è trascurabile. Che lo vada a raccontare alle decine di migliaia di vittime della furia jihadista – in gran parte fra gli stessi musulmani troppo tiepidi e a seguire i cristiani nelle enclave islamiche – che colpisce quotidianamente l’Africa e l’Asia e a quanti in Europa sono caduti nello stillicidio di attentati  che continuano da mezzo secolo. Piacerebbe a molti, specialmente in Italia, che si trattasse di casi isolati, di gente fuori di testa, di emarginati che i primi a condannare e isolare sono proprio i musulmani ma non è così. Chi colpisce, chi si fa saltare in aria – ma ora si preferisce colpire e tagliare la corda – non è mai, mai, un caso isolato, un matto o un lupo solitario.


È l’esecutore di un piano ben organizzato nel quadro di una strategia che l’islam si guarda bene dal rinnegare per il motivo semplice che inerisce all’essenza stessa della fede coranica. Che poi essa sia declinata in modi diversi e risenta del contesto storico è un’ovvietà ma in buona sostanza il conflitto israelo palestinese, le lotte interne al mondo coranico dilaniato fra sunniti e sciiti, la reazione all’invadenza americana sono pretesti per dare nuovo slancio al califfato universale, minacciato oggi dal processo di secolarizzazione che dopo aver conquistato l’occidente coinvolge i paesi del terzo mondo. Ed è dolorosamente frustrante assistere alla mobilitazione dei governi francese e austriaco e al generale allarme delle cancellerie europee che contrastano col passivo disinteresse, la sottovalutazione o addirittura la complicità del cattocomunismo nostrano, del quale nell’occasione il fondatore del Dubbio – quanto durerà? – si è fatto portavoce.


Portavoce non casuale, per altro, perché l’ex direttore della fallita Unità, ex direttore del fallito Riformista, ex direttore dell’abortito Garantista non perde occasione per rivendicare la politica dell’accoglienza nel più genuino stile buonista. Sono poveracci che cercano una vita migliore – detto per inciso: è vero che lo spacciatore tunisino a casa sua fa una vita dura, ammesso che sopravviva -, non vogliamo mica farli affogare, siamo umani, siamo buoni, siamo accoglienti e se sono un problema è colpa dell’Europa che non li vuole. E non credo che dopo Nizza e dopo Vienna le maglie dell’Europa si allargheranno.

  Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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