La lungimiranza

I concetti di bello, di utile, di esteticamente e/o funzionalmente valido possono essere opinabili.
Ma cosa rende meno aleatorio il gusto? Il tempo.
Certe mode piacciono a distanza di decenni, altre appaiono orribili o ridicole appena un giorno dopo che son passate, o anche durante il loro fulgore.
Se mettete a confronto una modella degli anni ’20 del secolo scorso con una degli anni ’80, per esempio, quasi tutti sceglieranno la prima.
E cosa fa la differenza, alla lunga, in definitiva? Una sorta di intuito, di gusto che trascende le epoche, e in qualche caso, la lungimiranza, saper vedere al di là del presente, saper intuire il futuro.
Vale anche per le opere architettoniche e per le infrastrutture, anzi, in quel caso è ancora più importante, perché un quadro opinabile o una gonna orrenda puoi anche non vederli o buttarli, ma un palazzo orripilante o un muro di cemento dove ci sarebbe stato bene un giardino, sono per sempre o quasi.

Piazza Mameli, via Paleocapa

E allora, è questo che andrebbe recuperato. È questo che spesso manca in chi dovrebbe pianificare, progettare, decidere.
Spesso si insegue più il proprio ego o un impulso del momento o una bizzarria evitabile, solo perché ritenuta originale, piuttosto che una sensibilità che badi a concetti più universali e longevi.
Per esempio, il modernismo a tutti i costi, malamente interpretato da geometri (con tutto il rispetto per la categoria) che si credevano Le Corbusier, ha fatto più danni che la grandine, disseminando di grigio cementaccio “brutalista” centri e periferie.
Oppure a volte è solo tristemente questione di soldi, di avidità senz’anima.
Di solito, se qualcosa è ben pianificato te ne accorgi nel tempo. Pensiamo alla larghezza e alla bellezza di via Paleocapa, ad esempio, e a quando è stata progettata, e confrontiamola, che so, con lo striminzito parcheggio di piazza Mameli, buono per le auto delle bambole, o con la bretella di via Braja, nata già stretta.
Di quante decisioni ci pentiamo quando ormai è troppo tardi.
Una volta c’era più disinvoltura, nell’antropizzare, sbancare, modificare, e tutto questo sembrava luminoso progresso.
Quando fu cancellato il parco di villa De Mari, quando si iniziò a costruire nella piana di Legino e nelle colline alle spalle del centro, i testi dell’epoca magnificavano le costruzioni che andavano a sostituire “i modesti orti”.
Ora, molte di quelle costruzioni erano anche belle e curate, altre meno, ma in qualche misura, ogni tanto, viene da rimpiangere anche i modesti orti.
Ed è proprio questo il punto: ciò che aveva senso in altre epoche, pian piano cambia di significato.
Il retromodernismo trionfante ha sempre più il sapore di un furore passato, comprensibile allora, un po’ meno oggi che ne abbiamo vissuto ogni ricaduta negativa.
Ciò che era svilito, ritenuto dimesso e plebeo, o dato per scontato come il verde, riacquista importanza e significato, in una società che si vorrebbe, almeno nelle intenzioni utopiche, più sostenibile e a misura d’uomo. Ciò che era trascurato e abbondante, tanto da sprecarlo senza pensarci su, diventa raro e prezioso, e iniziamo a rimpiangerlo.

Piazza Diaz

E allora, se molti anni fa si procedette a demolire con disinvoltura un piacevole luogo di spettacoli, perfettamente inserito nella piazza Diaz e in simbiosi col palazzo di fronte, per sostituirlo con un orrido palazzone da uffici di una freddezza desolante, ecco che ci si ricasca in peggio anni e anni dopo, demolendo l’Astor, che bello certo non era, ma almeno funzionale come luogo di spettacolo, per piazzare un palazzetto sbilenco che crea orridi spigoli e contrasti con i vicini palazzi storici.
Si demolisce la vecchia stazione, che poteva diventare un centro culturale, come chiesto dagli artisti, o molte altre cose, si demoliscono i ponti della ferrovia vecchia, si dismettono o interrompono le gallerie, senza pensare che in futuro potessero diventare preziosi percorsi già pronti per ogni forma di viabilità alternativa.

Appartamenti Astor

Possibile che nessuno, allora come oggi, sapesse andare più in là del suo naso?
E oggi è sempre più grave, questa ostinazione nel non cambiare tendenza, nel riproporre soluzioni obsolete, brutte “riqualificazioni”, speculazioni volgari, accessori insignificanti.
Ciò che imbruttisce i luoghi, imbruttisce anche gli animi, è una legge che non siamo in grado di capire.  Che ci intristisce e rende malmostosi.
Viceversa, il bello, il semplice, l’utile, il rispetto dei luoghi o la trasformazione sensibile, ci arricchiscono dentro e migliorano la qualità del nostro vivere.

Vecchia Stazione

Ora, stiamo toccando vette di “non lungimiranza” da ritenersi inaccessibili un tempo: nel senso che molte opere appaiono sbagliate o inutili prima ancora di essere terminate, altro che chiedersi se reggeranno alla prova del tempo, se avranno ancora un senso e un’utilità fra qualche anno.
Non lo possiedono in partenza. In modo inversamente proporzionale allo sproposito che costano.
Eppure intorno a noi, in altri luoghi più civili, fuori dal grigiume e dallo squallore che ci circondano, nuove sensibilità stanno nascendo, nuove idee e fermenti, sulla mobilità, sull’abitare, sul verde urbano, sul riciclo e il riuso, sul sociale.
Sarebbe bello che una sorta di “raggio verde” di lungimiranza colpisse sulla fronte qualcuno di coloro che, a qualsiasi titolo e a qualsiasi livello, possono pianificare e decidere, innescando un cambiamento virtuoso.
Sarebbe bello anche per loro, essere ricordati con gratitudine dalle generazioni a venire, lasciare un segno positivo.
Ma questi tempi di furore e frastuono social, di confusione superficiale e di battibecchi e tifoserie, è difficile sperarlo.

Milena Debenedetti

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2 thoughts on “La lungimiranza”

  1. I miei complimenti, cara Milena, hai scritto un articolo che è un “raggio verde” puntato su tutte le moderne brutture di cui Savona non va -spero- orgogliosa, ma di cui purtroppo abbonda. Ai crocieristi che fanno tappa a Savona, cosa abbiamo da mostrare con orgoglio, a parte la cappella Soistina, e poco altro? Il Crescent 1, o l’erigendo Crescent 2 (così mi pare si chiamino)? Quanto alla congestionata viabilità, da quanti anni si parla di filobus sulla tratta Savona Albisola, trascurando l’esistenza delle gallerie ex ferroviarie? Se pensi che negli anni ’70-80 proponevo -naturalmente inascoltato- l’istituzione di una ZAP (Zona Agricola Pregiata) nel Finalese, valorizzando i “modesti orti”, anzichè convertirli in squallidi condomini, nonché l’utilizzo dell’ex-ferrovia per deviarvi il traffico del Malpasso…

  2. Sono anni che sto focalizzando alcuni interventi urbanistico -architettonico al fine di interrompere questo vortice distruttivo della nostra città. Cerco anche di capire e denunciare a cosa è dovuto, alle reazioni inspiegabili degli
    organi pubblici che lo hanno permesso e a volte incoraggiato. Ai rapporti tra operatori e appunto Autorità preposte.
    Il silenzio regna e annuso un fastidio di molti alle mie critiche .

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