La leggenda di Aleramo

LA LEGGENDA DI ALERAMO

LA LEGGENDA DI ALERAMO

 

Per saperne di più sulla Storia contenuta nel libro ‘Su le origini e la costituzione della ‘Potestatia  Varaginis, Cellarum et Arbisolae’, nel il  periodo  che la precede, a cavallo dell’anno mille. Il libro del 1908 del  Prof. Nicolò Martino Russo, introvabile, di recente pubblicazione anastatica.

 

Aleramo nacque a Sezzè nel contado di Acqui. Ancora bambino è abbandonato dai genitori (che appartenevano alla casa imperiale di Sassonia) ed è allevato dalla nutrice.

Cresciuto in quel contado, compie gesta che ben presto lo distinguono e lo portano a scudiero del Conte di Sezzè di Spigno. Per essere scudiero, ha occasione di accedere alla corte di Ottone I provvisoriamente stabilita a Brescia. 

 


 

Quivi diventa coppiere dell’imperatore, ne sposa la figlia e fugge sulle Alpi Marittime, nella selva di Pietra Ardena, dove, messi al mondo diversi figli è costretto, per mantenerli, a fare il carbonaio. Passano gli anni e, divenuto giovinetto, il figlio maggiore Guglielmo abbandona la casa e va errabondo fra mille avventure tra contrade sconosciute, finchè si ferma alla corte dell’Imperatore Ottone I. 

Accade allora che l’Imperatore riconosce nel giovane il nipote. Si fa gran festa; Guglielmo è colmato di onori; sua madre viene cercata e richiamata a corte mentre Aleramo è insignito del  titolo di Marchese del Monferrato ed arricchito di vasti possessi di terre donatigli dall’Imperatore.

La ‘novella (Narrata da Jacopo d’Acqui, da Benvenuto Sangiorgio, da Antonio Astessano, dal ’Chevalier errant’ di Tommaso di Saluzzo e altri) precisa che il riconoscimento della figlia Adelaide (Adelasia) sarebbe avvenuto in occasione della discesa di Ottone I col suo esercito per liberare l’Appennino ligure dal dominio saraceno. Durante questa campagna, Aleramo, riuniti i suoi figli e chiamato a raccolta il popolo del contado di Acqui e delle Langhe, avrebbe condotto una siffatta guerra e compiuto tali gesta da guadagnarsi la gratitudine dell’Imperatore e la signoria delle terre liberate.

Queste ed altre di eguale tenore le leggende dell’entroterra ligure-piemontese, così vive in terre pur distanti dal mare e separate da esso da  un groviglio di monti privi di strade e con rari e difficili  passi, in quei remoti  tempi, pensando a quale dovette essere la sorte dei paesi e degli abitanti esposti sulla riviera, dove agevolmente i Mori approdavano per dirigersi nell’entroterra. E gli avanzi di mura diroccate, le rovine di antichi castelli, la topografia e certe costumanze accendono l’immaginazione e richiamano visioni di assalti, di lotte, di incendi, di rapine ed altre orribili cose, che indubbiamente consumarono i crudeli invasori, sono certo testimonianze con fondamenti di verità. E se per i paesi dell’interno può esservi qualche riserva per discordanze tra le diverse fonti, per la riviera ligure occidentale, pur scarseggiando esse più che altrove, i dubbi sono minori. (Da ‘I Saraceni in Ligu­ria in Provenza e nelle Alpi Occidentali’, B. Luppi, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Museo Bicknell, Bordighera, 1973.)

 

Sulla novella di Aleramo poniamo qualche riserva, nel senso del testo riportato. Le vicende del fondatore della Dinastia degli Aleramici ci interessano alquanto, e riteniamo pure i Lettori, propedeutiche alla pre o post lettura della ‘Potestatia’, e non solo per quella. Vicende, tra gli Obertenghi ad est e gli Arduinici a nord-ovest, a raccontare degli Aleramici del Monferrato e, in particolare, di quelli di Savona.

Nel libro: i Del Vasto, i Dal Bosco e i Del Carretto, dai quali i Malocello [noi ‘civettuoli’, dal ‘malo uccello’, la civetta, emblema di Celle (che fin’ora ci ha portato bene), per non dire del noto navigatore varazzino Lanzerotto Malocello, da cui il nome dell’Isola Lanzarote delle  Canarie, n.d.r.].

Ci fermiamo qui e valga come introduzione ad una, quanto più possibile, ‘Storia’. Ai prossimi numeri.

 

 

Pierino Ratto  A’ Civetta

 

 

 

 

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