LA LEGA E IL PROBLEMA DELLA LEADERSHIP

Salvini non è Bossi, parrebbe una cosa ovvia, ma no per un partito che è uscito da un “naturale” passaggio di consegne generazionale e dipendente da eventi politici e giudiziari che lo hanno colpito negli anni scorsi, invece la cosa ha profondi motivi di ordine strutturale rispetto alle origini del movimento. Bossi è stato il fondatore della Lega Nord, che ha dato ad un movimento spontaneo figlio di peculiarità etnico, culturali e socioeconomiche delle comunità del Nord est, una vera organizzazione di partito.

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Anche se la storia della Lega Nord è stata contraddistinta da rotture e deviazioni, queste erano, perlopiù, cagionate o da estremismi locali o da “protagonismi individuali” che Bossi, forte della linea originale del movimento, ha avuto facile gioco a ridimensionare, oggi, invece di fronte a i malumori “nordisti” di parte della base del partito ravvisabile nel “Comitato del nord” benedetto dallo stesso Bossi e dai “distinguo” dei Governatori del nord est  Zaia e Fedriga, Salvini non è nella stessa condizione di Bossi in allora; il suo richiamo all’unità del partito non è la medesima del fondatore che poteva rivendicarla perché interprete proprio dell’originale movimento, l’unità invece che Salvini possa rivendicare è l’unità di una organizzazione del partito formata, a volte, da personale più fedele al Segretario o per convinzione o per necessità. Non che questo non avvenga normalmente anche in altri partiti, ma qui sta il danno per il movimento, se c’è una peculiarità del movimento leghista è quello di privilegiare esponenti del territorio in quanto portavoce delle comunità e non di apparati di partito, tipici dei partiti centralisti dia sinistra che di destra. Ma il primo che se ne deve rendere conto è proprio Salvini, credo che nessuno, tantomeno Bossi voglia spaccare il partito, né tantomeno fare scissioni, ma a Salvini non basterà “aggiungere” ai suoi “cavalli di battaglia” lo storico riferimento all’autonomia e al primato del nord, se non apre ai rappresentanti del territorio, troppi personaggi di nessuna tradizione leghista ricoprono posizioni di evidenza nel partito. Il deludente risultato delle politiche che ha visto la Lega sotto il 10 %, ha molte ragioni ravvisabili nella ondivaga linea politica del partito; prima sovranista poi “draghiana”, tra Borghi e Giorgetti, sotto dipendenza del grosso elettorato di tradizione “nazionalista-centralista“ da una parte e liberal moderato dall’altra, elettorato trasmigrato, da poli opposti, a Fratelli d’Italia. Per recuperare il target originale leghista, necessita più che una nuova leadership, il rinnovo della linea politica ormai compartecipata anche da ad altri partiti o movimenti, per esempio si immigrazione e anti-Ue, mentre è stato tralasciato ogni riferimento alla autonomia con i suoi valori di iniziativa privata e primato del territorio in senso comunitario. Sarebbe necessario rifarsi alla breve stagione dell’accordo tra Bossi e Miglio, naturalmente nel superamento del contrasto personale per privilegiare una lettura oggettiva del progetto leghista, legando le intuizioni dei due, attraverso un aggiornamento rispetto al cambiamento totale del quadro nazionale, europeo e soprattutto mondiale con l’avvento del globalismo.

Attilio Eridanio

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