La grande occassione perduta dalla destra

LA GRANDE OCCASIONE
PERDUTA DALLA DESTRA

 LA GRANDE OCCASIONE PERDUTA DALLA DESTRA

Lo scioglimento della giunta e del  consiglio  regionale  del Lazio non ha segnato soltanto la fine ingloriosa di una maggioranza locale  di destra-centro – e di una opposizione o inetta o connivente –  travolta dagli scandali e dalle inchieste della magistratura, quello che è emerso (e che sta emergendo di giorno in giorno sotto gli occhi di un’opinione pubblica esterrefatta) è anche la fine della vantata, pretesa e – oggi possiamo dire – presunta “diversità” di una Destra politica a lungo (auto)esclusa – intese segrete a parte – da quello che fu l’ “arco costituzionale” che ha dominato la vita politica italiana del secondo dopoguerra fino alla “discesa in campo” di Berlusconi alleatosi con Gianfranco Fini nel centro-Sud e con Bossi al Nord.
Salvo le rare pecore bianche (non più nere) allevate negli ambienti “nostalgici” del neofascismo,  quello a cui abbiamo assistito nel corso del ventennio berusconiano  è stato l’adeguamento delle giovani leve della Destra “di governo” a quel  sistema  corruttivo, affaristico e clientelare tanto esecrato (un tempo) che, dopo aver  portato alla rovina la prima, ha   affossato anche la cosiddetta (mai nata) seconda Repubblica. Lo ha descritto con chiarezza anche un intellettuale interno alla Destra, Alessandro Campi, docente di storia delle dottrine politiche all’università di Perugia – autore, tra l’altro, del saggio La destra in cammino. Da Alleanza nazionale al Popolo della Libertà, Rubbettino, 2008 – il 22 settembre del 2012, intervistato da Fabio Martini sulla Stampa. Data l’autorevolezza  dello studioso e la rilevanza della sua analisi non sospettabile di strabismo ideologico, vale la pena leggere per intero le sue risposte: “La vicenda  del consigliere Franco Fiorito, rappresenta il punto forse conclusivo di un processo di autocombustione della destra politica, che in vent’anni è riuscita a dissipare quel patrimonio di diversità antropologica col quale l’Msi e poi An si erano affacciati agli albori della Seconda Repubblica. Oramai siamo alla fine di un mondo, come dimostra la diaspora e la sostanziale irrilevanza politica dei suoi pezzi. Gli ex An restati dentro il Pdl si sono scoperti ospiti sgraditi, mentre il progetto del Fli di Fini, una destra liberale, nazionale, europea alternativa a quella di Berlusconi, è fallito”. Alla domanda sul perché la destra di ascendenza missina abbia fallito clamorosamente proprio a Roma e nel Lazio, cioè nel suo storico bacino elettorale, il professor Campi così risponde: “Non è casuale che gli episodi di cattiva amministrazione e di gestione disinvolta da parte della destra, da Storace ad Alemanno, si siano concentrati a Roma: questa è stata sempre un’area strategica per la storia della destra italiana. Per il valore simbolico che Roma aveva nel regime fascista. Per la continuità dei ministeri. A Roma c’era la destra dei nostalgici del Papa Re, la destra palazzinara e quella delle periferie, la destra dello squadrismo”.
Alessandro Campi
L’intervistatore sottolinea il fatto che anche Fiorito è un ex An, e Campi commenta: “C’è una nemesi che precipita nel grottesco. L’accusa che l’Msi (ma anche il Pci) faceva ai partiti di governo era quella di essere forchettoni, di intovagliarsi alle spalle del popolo. Ora i forchettoni di nuova generazione vengono da quella tradizione”. A questo punto arriva la domanda cruciale: come mai i missini che vent’anni fa, dopo essere stati ghettizzati per mezzo secolo, sembravano avere il mondo in mano, hanno sprecato così malamente la loro grande occasione? Ecco la risposta di Campi: “E’ così. Dopo essere stati considerati per decenni i figli impresentabili, si sono visti consegnare le chiavi della Repubblica.

E d’altra parte i missini, pur reduci da 45 anni di marginalizzazione, non erano dei barbari, erano un pezzo di storia d’Italia che, oltretutto, non si era compromesso con la gestione clientelare e partitocratica. Un patrimonio condiviso con i soli Radicali, ma un capitale enorme, sul quale inizialmente si era investito. Con la svolta di Fiuggi, gli ex missini non erano soltanto quelli che non avevano rubato, ma anche quelli che avevano saputo modificare la propria scala di valori, senza restare inchiodati alla nostalgia. Ma era un effetto ottico: l’occasione storica, ritrovarsi alla ribalta dopo decenni di emarginazione, è stata sprecata malamente”. Perché? – chiede il giornalista – che cosa è avvenuto nel frattempo? “Anzitutto è stata mancata la prova decisiva: nella gestione della cosa pubblica gli ex missini hanno dimostrato un approccio clientelare o, forse peggio, pressapochistico. Si sono dimostrati professionalmente non attrezzati, inadeguati a gestire una cosa complessa come la macchina pubblica. A livello centrale e periferico. Altrettanto grave la catastrofe antropologica…”. Catastrofe addirittura  antropologica?  E perché mai? In fondo i partiti sono soggetti storici e possono anche cambiare, attenua il giornalista. E Campi risponde: “Certamente. Per errori propri e attacchi frontali, come è capitato al Psi o alla Dc. Ma An si è distrutta da sola, senza attacchi esterni. Il processo di rinnovamento culturale è restato di facciata. Idem quello della classe dirigente: in vent’anni non sono stati capaci di fare entrare nessuno e al tempo stesso non è emerso nessuno da dentro. Nell’anno di grazia 2011 quel partito si è ritrovato con lo stesso gruppo dirigente del 1994. Ma alla fine la principale ragione del fallimento ha ragioni prepolitiche…”. Prepolitiche? Che cosa significa? “Significa che il ghetto l’avevano interiorizzato. I futuri leader di An avevano cominciato tutti a far politica da ragazzini, sono cresciuti frequentandosi assiduamente, in alcuni casi si sono sposati tra loro e alla fine, per eccesso di frequentazione, non avevano più nulla da dirsi se non rinfacciarsi antichi rancori: ti ricordi di quella volta…ti ricordi, quello era amico del tuo nemico…Una sorta di incesto politico. Dimostrando, tra l’altro, che dietro la loro mistica della comunità, c’era uno spaventoso tasso d’individualismo”. Ecco delineata da un intellettuale organico alla destra la parabola e il fallimanto storico

del postfascismo italiano, ora rappresentato da movimenti marginali come Casa Pound o Forza Nuova, le cui istanze antisistema sono state meglio interpretate e rappresentate dal M5S, a cui un giorno potrebbe essere riconosciuto il merito di aver tagliato l’erba sotto i piedi ai  post e neofascisti e, forse, prosciugato il bacino del malcontento, della frustrazione  e della rabbia impotente di chi si sente,  frodato e in sovrappiù gabbato dalla “casta”.

 

 

FULVIO SGUERSO

 

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