CINEMA: L’ipnotista
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Al cinema nelle sale della provincia di Savona
L’ipnotista |
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Al cinema nella provincia di Savona
L’ipnotista |
Titolo Originale: HYPNOTISÖREN Regia: Lasse Hallström
Interpreti: Tobias Zilliacus, Mikael Persbrandt, Lena Olin, Helena af Sandeberg, Oscar Pettersson, Anna Azcarate, Jonatan Bökman, Jan Waldekranz
Durata: h 2.02
Nazionalità: Svezia 2012
Genere: drammatico
Tratto dal libro “L’ipnotista” di Lars Kepler
Al cinema nell’Aprile 2013 in provincia di Savona
Recensore Biagio Giordano
Al cinema nella Provincia di Savona
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Stoccolma. Una famiglia viene presa di mira da un assassino eccentrico che uccide selvaggiamente a coltellate senza un movente di facile identificazione. Alla strage sopravvive, ferito gravemente, un ragazzo adolescente figlio adottivo dei genitori massacrati; scampa fortunosamente alla strage l’altra figlia dei genitori che viveva fuori casa da diverso tempo. Il commissario dell’unità anticrimine Joona Linna (Tobias Zilliacus) che brancola nel buio decide di rivolgersi all’ipnotizzatore terapeutico Erik Maria Bark (Mikael Persbrandt) per una pratica ipnotica sul sopravissuto. Bark è considerato a Stoccolma tra i migliori se non il migliore nella professione di ipnotista. L’uomo è da tempo provato psicologicamente a causa di certi rimproveri divenuti di dominio pubblico provenienti da un paziente che gli ha ricusato di non aver rispettato alcune regole deontologiche fondamentali, l’ex paziente sostiene che l’ipnotizzatore gli ha immesso sotto ipnosi, attraverso le parole, immagini scabrose divenute poi nel suo cervello ricordi artificiali, cioè una sorta di reminiscenze stranianti, molto perturbanti, da lui non immediatamente riconoscibili in tutta la loro falsità, questo aspetto, egli sostiene, ha aggravato pesantemente le condizioni della sua salute psichica perdendo il rispetto sociale. Il commissario Joona vuole che Bark ipnotizzi il giovane anche se ferito e in uno stato prossimo al coma, egli spera che sotto ipnosi il ragazzo descriva i ricordi legati alla scena del crimine, con parole sincere, cosa che potrebbe svelare qualcosa di significativo sulla identità dell’omicida, dando una svolta alle indagini.
Bark dapprima esita poi accetta, ma non sa che l’assassino verrà a sapere dei suoi interventi ipnotizzanti su Erik, forse perché conosce in clinica qualcuno degli infermieri oppure perché un dipendente dell’ospedale è l’assassino stesso. La vita di sua moglie e di suo figlio piccolo Benjamin corrono quindi seri pericoli. Quando Benjamin viene rapito, Bark e Joona dovranno accelerare i tempi per scoprire l’identità dell’assassino che diventa l’unica possibilità per trovare poi il luogo dove viene tenuto prigioniero il bambino. Lasse Hallstrom, regista de L’Ipnotista, nato a Stoccolma nel 1946 è famoso per film di successo come Chocolat (2000), Buon compleanno Mr. Grape (1994), Il pescatore di sogni (2011), con questo film per la prima volta esce sia dal genere commedia che da quello di commedia drammatica per cimentarsi nel arduo e molto più difficile compito del thriller, ci riesce in modo egregio dimostrando dopo un ventennio e più di attività artistica nel cinema, sobrietà espressiva, senso estetico per le immagini e talento nel creare situazioni curiose o drammatiche sempre diverse, originalità nel disporre nei migliore dei modi il tessuto narrativo nel suo insieme, inoltre gusto raffinato messo in costante confronto con quello del pubblico a cui si rivolge: Hallstrom rimane incurante del gusto eclettico di massa che ritiene impossibile da sintetizzare. Da sottolineare l’impegno che il regista mette nella costruzione della storia, che in questo caso è particolarmente ben congeniata soprattutto sul piano della creazione di una forte e autentica (per verosimiglianza con il reale) emotività immediata.
Da non sottovalutare la preparazione accurata, molto studiata e sperimentale di numerose scene chiave che brillano un po’ paradossalmente per i toni bassi degli umori e le movenze lente dei personaggi, tipici della piccola e media borghesia svedese ma anche di più vasti settori sociali della semi-metropoli Stoccolma, aspetto questo che sembra introdurre fedelmente sullo schermo tutto un mondo sconosciuto, diverso per i suoi modi e stili di vita: qualcosa che al sud dell’Europa non può che apparire straniante. E’ la messa in opera di un’atmosfera-linguaggio di grande professionalità, effetto di una fotografica a dir poco eccezionale per costanza e fermezza di stile, dominata da una scelta cromatica che appare sempre opportuna variabile per toni, una fotografia ricca di composizione e significatività dei dettagli, che ricerca gli angoli migliori di inquadratura in funzione della creazione di suggestività e stupore tipiche quest’ultime dell’originalità con cui avviene il punto di ripresa dei soggetti. Un plauso anche a Lasse Hallstrom per la scelta degli attori e la particolare capacità nel dirigerli soprattutto in quelle parti più critiche che richiedevano modulazioni particolari dei volumi del volto e le pieghe del viso, come ben si intende nelle scene terrorizzanti o dominate dalla follia e anche in alcune padroneggiate dall’ipnosi. Sul piano più strettamente psicanalitico il film sembra porre al centro dell’attenzione la questione della gelosia patologica che nasce nella madre naturale verso la famiglia che adotta il proprio figlio per cause diverse. E’ una patologia quella suggerita dal film che in questo caso sembra aggravarsi per motivi di ordine psichiatrico della madre già presenti all’inizio, disturbi che sembrano siano stati la causa stessa della separazione dal figlio con affidamento a terzi. L’esplosione della violenza della madre naturale è probabilmente la logica conseguenza della rottura stessa dello statuto di madre che la nascita implica e che viene ignorato dopo l’adozione a terzi del figlio. Come dire che sarebbe auspicabile vedere in qualche modo il rapporto tra madre naturale e figlio naturale continuare, rispettando rigorosamente lo statuto civile dell’adozione in corso. Occorrerebbe quindi far si che il bambino non si scordi di essa o che venga a sapere dell’esistenza della sua vera madre naturale se non ne era a conoscenza, perché in caso contrario si favorirebbero recrudescenze nevrotiche e patologiche anche di tipo psichiatrico sia nella madre naturale che nel bambino adottato da terzi. Il rapporto affettivo tra loro due può continuare, semplicemente in modo diverso, con tutte le attenzioni e le eventuali cure psicologiche del caso. In questo senso il film commuove e fa riflettere, perché solleva una questione umanamente molto complessa e sentita, che già nella civile Svezia sembra di difficile gestione, una nazione quest’ultima che ha comunque il pregio di mettere il problema in risalto attraverso l’arte letteraria e il cinema cosa che fa ben sperare in qualche suo approfondimento; la stessa cosa non si può dire avvenga in alcuni paesi del sud dell’Europa, come l’Italia, dove essa giace sepolta tra innumerevoli altre questioni civili legate alla famiglia. Si ha come l’impressione che per le istituzioni civili di alcune nazioni certe questioni siano ancora tabù. |
BIAGIO GORDANO |