LA FALLACIA DELL’EQUIDISTANZA TRA FASCISMO E ANTIFASCISMO

Non c’è niente da fare: ogni anno la ricorrenza del 25 aprile, giorno di festa nazionale  (ricordiamolo) per la Liberazione d’Italia dall’occupazione delle truppe nazifasciste,  più che un’occasione per una ritrovata concordia o riconciliazione  tra italiani, si  è, invece, anche quest’anno, rivelata più che mai divisiva per quegli italiani che non vi trovano niente da festeggiare. E il bello – si fa per dire – è che la destra ne attribuisce la responsabilità alla sinistra e la sinistra a questa destra revisionista di fatto e sovranista, finora solo  a parole,  attualmente al governo. Come uscire da questa contrapposizione che dura da settantotto anni e che ha l’aria di durare per altri cento anni (sempre che l’umanità, nel frattempo, non si sia estinta)? Per uscirne una volta per tutte ci vorrebbe, a me pare, il riconoscimento di una delle due parti in causa di essere, mi si passi il bisticcio, dalla parte del torto.

Riconoscimento difficile da ottenere da chi è convinto delle proprie buone ragioni, ed è inutile dire che fascisti (ora si chiamano sovranisti) e antifascisti, allora con vere armi in pugno e ora con le armi simboliche della parola e degli argomenti  più o meno  forti e storicamente fondati, continuano a fronteggiarsi in Parlamento, sui giornali, nei social e nei salotti televisivi. Riguardo all’eterna disputa sul 25 aprile, proviamo a esaminare gli argomenti  branditi oggi dalla  destra non antifascista  contro la sinistra, o meglio, il variegato schieramento  antifascista. Leggiamo, ad esempio, alcuni titoli significativi dei giornali di destra del 26 aprile 2023: “Il solito 25 aprile di parte. Ora e sempre indecenza. Mattarella e i corifei rilanciano lo slogan della Resistenza continua: non proprio un viatico per una ricorrenza condivisa. Infatti ecco i cartelli con membri del governo ‘appesi’ e minacce di morte alla Meloni e alla figlia. Il premier in una lettera prende le distanze dal regime, però al Pd non basta mai. ‘Non ha detto antifascista’” (La Verità).

“Ennesimo 25 aprile avvelenato. Antifascisti canaglie. Mentre la Meloni condanna ancora il Ventennio, nelle piazze compaiono foto dei ministri a testa in giù, viene aggredito chi espone bandiere Nato e s’inneggia all’omicidio politico” (Libero Quotidiano). “Accanimento rosso. Gli stalker della Meloni. Palazzo Chigi: ‘Noi incompatibili con il fascismo’. Ma a Pd, Anpi ed estremisti non basta mai e attaccano ancora” (il Giornale). Che dire di fronte a questa fiera levata di scudi contro gli “antifascisti canaglie”? Prove di pacificazione o gridi di battaglia? Vengono in mente i versi manzoniani del primo coro del Conte di Carmagnola : “S’ode a destra uno squillo di tromba: /  A sinistra risponde uno squillo”; riguardo alle polemiche sul 25 aprile, sembra di essere ancora sul campo della battaglia di Maclodio tra veneziani e milanesi, del 12 ottobre 1427.

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Già, ma oggi la battaglia infuria intorno al termine “antifascismo” , pur in assenza del fascismo storico, rivendicato dal fronte, appunto, antifascista, il quale, in una bene ordinata Repubblica, dovrebbero far parte tutti  gli italiani che si riconoscono nella Costituzione del 1948, e osteggiato dalla destra quasi fosse una parolaccia o un insulto. A questo punto dobbiamo prendere atto che non tutti gli italiani si riconoscono nella Costituzione antifascista, sostituendola nella loro personale visione dell’Italia postfascista con una Costituzione di comodo afascista. Come spiegare altrimenti le sortite di Ignazio Benito La Russa, del ministro Lollobrigida, del ministro Sangiuliano, del ministro Valditara, della sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti, del vicepresidente della Camera Rampelli e della stessa Giorgia Meloni che non riesce a pronunciare la parola antifascista in senso positivo ma solo in senso negativo (per non ricordare che c’è anche chi  scrive a bella posta “resistenza” e “costituzione” con la minuscola a rimarcare la propria posizione antisistema: de minimis non curat praetor). Già, se non che è evidente che questo non riconoscimento della destra al governo dell’essenza antifascista della Costituzione  rappresenta un problema per tutti gli italiani, e cioè la mancanza di una religione civile condivisa.

“Solo nell’Italia dei revisionismi storici e dei revanchismi ideologici il 25 aprile può essere considerata una ricorrenza divisiva o di parte” (Massimo Giannini su La Stampa del 25 / 04/ 2023). Ora che cosa impedisce – lasciamo pure  perdere La Russa –  Giorgia Meloni di dichiararsi antifascista senza perifrasi? Ha giurato o non ha giurato per due volte sulla Costituzione?  Evidentemente erano giuramenti formali e non sostanziali; prova ne sia che la fiammella missina è rimasta nel simbolo di “Fratelli d’Italia” malgrado le sollecitazioni a eliminarla provenienti anche da personalità prestigiose come la senatrice a vita Liliana Segre, la scrittrice ebrea ungherese Edith Bruck, lo scrittore Antonio Scurati, la cantante Loredana Bertè e altri. Fiato sprecato. D’altra parte, come scrive lo storico Giovanni De Luna: “Per Giorgia Meloni il passato che non passa è quello del MSI, del partito di Almirante nel quale lei si affacciò, giovanissima, sulla scena politica. Quando nella sua lettera al Corriere elogia le forze che hanno traghettato dal fascismo alla democrazia milioni di italiani di destra lo fa riferendosi all’esperienza missina e rivolgendosi direttamente alla pancia del suo  partito, quello che più di tutti ha rivendicato la continuità con il MSI…In questo caso, però, il ‘traghetto’ è una delle tante finzioni lessicali a cui Meloni è costretta dal suo equilibrismo politico”.

Equilibrismo come equidistanza tra continuità missina e svolta di Fiuggi? Tra nazionalismo ed europeismo? Tra populismo e parlamentarismo? Tra no vax e pro vax? Tra nessuna nostalgia per il fascismo e Costituzione antifascista? Insomma equilibrismo tra opposti per vincere le elezioni e insediarsi stabilmente al governo della “nazione”? Sia come sia, a chi dichiara di non essere  fascista ma non per questo  antifascista non resta che dichiararsi afascista (o, se si preferisce, anti-antifascista). Veramente un difficile equilibrio, mi fa venire in mente quegli acrobati che camminano su un filo teso tra due pali nel circo equestre; i quali prima o poi dovranno scendere a terra; così chi si dichiara equidistante tra fascismo e antifascismo, qualunque cosa questo significhi, se non vuole fare la fine dell’asino di Buridano, prima o poi dovrà scegliere da che parte stare, anche perché il giusto mezzo tra due estremi non statici ma in continuo movimento, come avviene negli eventi  umani, è un punto del tutto ipotetico che, quand’anche fosse trovato, non durerebbe più di un istante, e il meschino che si illudeva di navigare sicuro tra Scilla e Cariddi, si troverà sballottato da una parte all’altra, da uno scoglio all’altro, fino a quando non finirà tra le schiere degli ignavi che corrono invano eternamente dietro un’insegna qualunque, nell’Antinferno immaginato da Dante Alighieri.

Fulvio Sguerso

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