LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA NELL’ETA’ DELLA TECNICA

Prendo atto che i miei quattro interventi usciti recentemente su “Trucioli savonesi” sul concetto di democrazia hanno riacceso i riflettori (vedi articoli di Lisorini, Luceri, Paolino e Balmelli) sulla questione della democraticità reale o puramente nominale del regime politico in cui ci troviamo a vivere. Intanto, partiamo da un dato di fatto incontestabile: ciascuno dei succitati autori ha potuto esprimere la propria opinione senza censure di sorta, cosa quanto meno azzardata nei regimi illiberali ed autocratici; quindi, sotto questo punto di vista, possiamo ritenerci fortunati. Se non che la discussione verte, e non da oggi, sull’effettiva democraticità degli Stati che si autoproclamano democratici, anche perché nella storia del secondo dopoguerra abbiamo assistito all’instaurazione di regimi illiberali e monocratici nell’Europa orientale denominati “democrazie popolari”, che non erano altro che Stati satelliti dell’ Unione Sovietica.

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Ecco perché è necessario distinguere le vere dalle false democrazie, e per distinguerle non c’è altro modo che rifarsi ai classici del pensiero politico (con buona pace del prof. Lisorini, che alle idee astratte preferisce gli “attributi” concreti, visibili e sensibili; in questo buon allievo del cinico greco Antistene). Prendiamo, ad esempio, come base per ogni discorso e discussione sulla teoria e sulla pratica della democrazia in senso moderno, la pagina del trattato di Norberto Bobbio su Le forme della politica in Etica e politica.
Scritti di impegno civile (Mondadori, 2009) in cui l’autore enumera le “regole del gioco” che distinguono, una volta per tutte, la vera dalla falsa democrazia o dai regimi d’altra specie, autoritaria, elitaria o teocratica che sia: “Nella prevalente teoria politica contemporanea dei paesi a tradizione democratico-liberale le definizioni di democrazia tendono a risolversi e a esaurirsi in un elenco più o meno ampio secondo gli autori di regole del gioco, o, come sono anche state chiamate, di ‘universali procedurali’. Tra queste: 1) il massimo organo politico, cui è assegnata la funzione legislativa, deve essere composto di membri eletti direttamente o indirettamente, con elezioni di primo o di secondo grado, dal popolo; 2) accanto al supremo organo legislativo debbono esserci altre istituzioni con dirigenti eletti, come gli enti dell’amministrazione locale o il capo dello Stato (come avviene nelle repubbliche); 3) elettori debbono essere tutti i cittadini che abbiano la maggiore età senza distinzione di razza, di religione, di censo, e possibilmente anche di sesso; 4) tutti gli elettori debbono avere voto eguale; 5) tutti gli elettori debbono essere liberi di votare secondo la propria opinione formatasi quanto più possibile liberamente, cioè in una libera gara di gruppi politici che competono per formare la rappresentanza nazionale; 6) debbono essere liberi anche nel senso che debbono essere posti in condizioni di avere delle reali alternative (il che esclude come democratica una qualsiasi elezione a lista unica e bloccata): 7) sia per le elezioni dei rappresentanti sia per le decisioni del supremo organo politico vale il principio della maggioranza numerica, anche si possono essere stabilite diverse forme di maggioranza secondo criteri di opportunità non definibili una volta per sempre; 8) nessuna decisione presa a maggioranza deve limitare il diritto della minoranza, in modo particolare.

A parità di condizioni di diventare a sua volta maggioranza; 9) l’organo di governo deve godere della fiducia del parlamento oppure del capo del potere esecutivo a sua volta eletto dal popolo. Come si vede, tutte queste regole stabiliscono come si debba arrivare alla decisione politica non che cosa si debba decidere. Dal punto di vista del che cosa l’insieme delle regole del gioco democratico non stabiliscono nulla salvo l’esclusione delle decisioni che in qualche modo contribuirebbero a rendere vane una o più regole del gioco.. Peraltro come per tutte le regole, anche per le regole del gioco democratico si deve tener conto del possibile scarto tra l’enunciazione del loro contenuto e il modo con cui vengono applicate. Certamente nessun regime storico ha mai osservato compiutamente il dettato di tutte queste regole; e per questo è lecito parlare di regimi più o meno democratici. Non è possibile stabilire quante di queste regole debbano essere osservate perché un regime possa dirsi democratico; si può affermare soltanto che un regime che non ne osservi nessuna non è certamente un regime democratico, almeno sino a che si tenga fermo il significato procedurale di democrazie”. Ecco il punto: il significato procedurale del termine democrazia, e, dato che questo significato è chiaro e incontrovertibile, non è vero, come sostiene il prof. Lisorini che il termine democrazia “è in sé equivoco sia sotto il profilo della denotazione, vale a dire di ciò che indica, sia sotto quello della connotazione, vale a dire dell’investimento emozionale e dei riferimenti valoriali”. Lisorini confonde (non sappiamo se a belle posta o in buona fede) le regole del gioco con i contenuti del gioco medesimo, i quali variano a seconda delle circostanze e delle situazioni storiche, ma non per questo variano gli “universali procedurali” che distinguono le democrazie dalle dittature.

Democrazie popolari

Che poi una democrazia perfetta e compiuta non si sia ancora vista nella storia dell’umanità, questo è vero. Oggi però il problema della democrazia è un altro: è quello della sua sopravvivenza nell’età della tecnica. Pensiamo soltanto all’impotenza conclamata della politica di fronte alla guerra che si sta combattendo ai confini orientali dell’Europa: quand’anche decidessimo unilateralmente di defilarci dall’appoggiare in armi e in sussidi vari l’Ucraina (a parte la rottura con gli alleati europeo e con gli stessi Stati Uniti, proprio adesso che abbiamo bisogno degli aiuti economici della comunità europea) non per questo ci sarebbe la pace e i russi si ritirerebbero dai territori occupati, e il risultato sarebbe solo l’indebolimento del fronte occidentale antirusso e un vantaggio strategico per le mire imperialistiche di Vladimir Putin.

Idem di fronte ai cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento dell’aria e ai cosiddetti gas-serra riversati in dosi massicce e continue nell’atmosfera dagli impianti industriali e dal consumo di combustibili fossili, allo scioglimento dei ghiacciai ai dissesti idrogeologici causati da un’urbanizzazione fuori controllo e al conseguente saccheggio delle risorse naturali, mentre, grazie ai progressi in campo medico, chirurgico e farmacologico, è notevolmente aumentata la durata della vita media (almeno in Occidente) con ripercussioni negative sul welfare-state e sulla tenuta dei conti pubblici; per non parlare dei flussi migratori inarrestabili che vanno dal sud al nord e dall’ est all’ovest del pianeta. A fronte di tutto questo la politica , come scrive Giacomo Marramao in Dopo il Leviatano. Individuo e comunità nella filosofia politica (Bollati Boringhieri, 2000): “appare come un sovrano spodestato che si aggira tra le antiche mappe dello Stato e della società, rese inservibili perché più non rimandano alla legittimazione della sovranità”. Che rimane nominalmente, nei regimi democratici, prerogativa del popolo ma di fatto è stata ormai trasferita prima al potere economico- finanziario e poi a quello onnipervasivo e totalitario della tecnica.

Fulvio Sguerso

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