La crescita promessa

LA CRESCITA PROMESSA

Le mine a orologeria dei derivati

LA CRESCITA PROMESSA

Le mine a orologeria dei derivati

 L’impietosa analisi contenuta nell’articolo odierno di Marco Della Luna…LEGGI… che ho letto in anteprima, mi ha dato lo spunto per sottolineare come le uniche crescite che i vari governi non hanno mai mancato di regalarci sono state quelle del debito pubblico, delle tasse e, ultimamente, dell’immigrazione selvaggia; non già la crescita economica, che pur insistono nell’invocare. Mi soffermo qui sull’inesorabile crescita del debito, all’origine di questa mia domanda: coi tassi sui BTP ai minimi da anni, fino allo zero attuale, con un avanzo primario del bilancio statale, al netto degli interessi, come mai il debito continua a lievitare? Ci sono forse altri “buchi”, altre mine a orologeria, poste da passati, recenti, attuali governi con la firma di trattati segreti, poi scoppiate a scadenze prefissate?

Il vizio d’origine dell’esplosione del debito pubblico si colloca nel 1981, quando Nino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi (in seguito assurto a “salvatore della patria”) sancirono il divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro (vedi il grafico qui sotto).


Ad oggi il rapporto debito/Pil è di ca. 134 e il debito pubblico è ai massimi di € 2.232 miliardi

Nel decennio successivo ebbe luogo la“lunga marcia” verso l’euro, a partire dal 1992, quando, sotto la regia dell’allora Direttore Generale del Tesoro, Mario Draghi (poi Direttore area Europa della Goldman Sachs), svalutata la lira, come da accordi presi sull’ormai famigerato panfilo Britannia, si cominciarono a svendere i gioielli dell’industria pubblica. Svendita che era organica alla futura presentazione di un’Italia “degna” di entrare nel club della moneta unica, ossia “con i conti in regola”, secondo i criteri del Trattato di Maastricht, formulato proprio in quell’anno.

Due anni dopo, nel 1994, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi e Mario Draghi, convinti propugnatori dell’euro, stipulano contratti sui derivati con la galassia delle grandi banche d’affari americane, tra le quali svetta Morgan Stanley: quella stessa che, due anni fa, governando Mario Monti *(ex-Goldman Sachs) in piena stagione di lacrime e sangue per la popolazione, è passata, nel generale silenzio dei media, all’incasso di 2,6 miliardi di euro, avvalendosi della clausola di termination event, qualora la controparte non avesse più i requisiti di solvibilità. Requisiti mandati in frantumi dagli attacchi congiunti di agenzie di rating, magari in conflitto di interesse, come Morgan Stanley-Standard & Poor, e di altre mega-banche, come Deutsche Bank, che si liberò in breve tempo di 7 miliardi di nostri BTP. Attacchi che causarono, tra l’altro, la caduta del governo Berlusconi per il parallelo schizzo in alto dell’ormai tristemente noto spread.

 
Ciampi, Draghi e Prodi, i cavalieri bianchi dell’euro

La colossale, crescente esposizione dell’Italia negli anni ‘90 verso queste mega-banche, veri squali finanziari contro un pesciolino, attraverso contratti derivati, è stato uno dei segreti più gelosamente custoditi, al pari della proprietà privata di Bankitalia e, di conseguenza, del nostro stesso denaro. Tanto che oggi, mentre si taglia su tutto, si viene a sapere che la nostra esposizione sui derivati supera i 160 miliardi di euro. I meccanismi dei derivati sono così sofisticati che i nostri politici non ne hanno mai capito la portata, firmando come ebeti impegni cui avrebbe poi dovuto rispondere l’erario. Così sofisticati che persino Ben Bernanke dovette chiedere lumi su di essi ai capi delle 7 maggiori banche USA allo scoppio della bolla immobiliare nel 2008. Sono un po’ come una partita a scacchi o a bridge tra giocatori esperti e novellini…

Un’altra chicca di quegli anni viene rivelata dall’ex-ministro del Tesoro Giulio Tremonti (che venne fatto cadere per aver voluto anteporre gli interessi dell’Italia a quelli delle mega-banche) nel suo ultimo libro “Bugie e verità”. In sostanza, l’Italia doveva entrare ad ogni costo (letteralmente!) nel club dell’euro; e, per rispettarne i requisiti, si dovevano truccare i suoi bilanci; così come si fece per la Grecia, con l’aiuto di Goldman Sachs. A tale scopo vennero sottoscritti contratti di swapoption, come quello con Morgan Stanley, per far figurare massicce entrate extra-fiscali, spostando nel futuro (cioè oggi) il loro rimborso, non contabilizzato. Un po’ come quel tale che, per entrare in un club esclusivo, deve dimostrare di essere ricco; non importa se i soldi che mostra li ha ritirati al Monte di Pietà, magari impegnando gli ori dei nonni. Ogni derivato, è bene ricordarlo, è una scommessa su un evento futuro, contro cui i contraenti tentano di assicurarsi; nel nostro caso, contro la salita dei tassi. Purtroppo per noi, i tassi negli ultimi anni sono invece scesi quasi a zero, e la clausola ci si è ritorta contro, con un danno calcolato oggi da Bloomberg in 31 miliardi di dollari (ma altri calcoli parlano di oltre 40 miliardi)….LEGGI 

Secondo Tremonti, al momento di decidere il cambio lira/euro, “gli altri governi europei erano perfettamente al corrente della nostra esposizione finanziaria sui derivati e della connessa debolezza del governo italiano, così che sull’Italia potevano esercitare la loro moral suasion” e costringerla ad accettare un cambio la cui sproporzione è venuta emergendo negli anni. “In conclusione –prosegue Tremonti– l’Italia non aveva tutti i numeri per entrare nell’euro. Ci è entrata alterando il suo bilancio, a scapito della sua economia. […] Errore di cui paghiamo e pagheremo le conseguenze. La cambiale sta infatti venendo a scadenza”; una cambiale che ci era stata prospettata come “il biglietto per entrare in paradiso”.

L’ex Ministro Tremonti

E invece si è rivelato un biglietto per l’inferno degli italiani. Ma questo poco conta per i nostri satolli governanti, che non pagano mai di tasca propria (come tutti i membri dell’apparato parassitario). Tant’è che l’amore per i derivati non si limita al passato, annoverando tra i suoi cultori anche gli ultimi governi delle tasse, da Monti a Renzi. Fatto cadere il governo Berlusconi, infatti, costoro hanno voluto mostrare al popolo quanto erano bravi, facendo diminuire quello spread che aveva ucciso il governo precedente. Come? Ricorrendo, al riparo da occhi indiscreti, al solito ignobile trucco dei derivati. Per convincere le mega-banche ad acquistare i nostri BTP, facendo di conseguenza calare i rendimenti (lo spread), il “tecnico” Monti e il dilettante Renzi hanno sottoscritto un imprecisato, ma rilevante, numero di contratti derivati, di cui nulla si saprebbe, se non fosse per una nota del 21 aprile scorso di Eurostat. Le hanno accontentate proprio tutte, 19 mega-banche, di cui 2 italiane (Unicredit e IMI); a patto però di accettare condizioni contrarie a quelle per noi convenienti. Infatti, i derivati sottoscritti assicuravano l’Italia in caso di tassi crescenti. Mentre i tassi stavano per scendere fino a zero. Altra perdita secca per l’erario. E’ probabile che i volponi sapessero da che parte tirava il vento; anche perché sono loro stessi a soffiare…


Renzi e Monti

Quindi, l’insipienza, l’impreparazione, o peggio la collusione, di chi dice di governarci è la causa prima dei nostri disastri, in particolare del fatto che, a dispetto di tassi nulli, il debito pubblico continui a lievitare. Eccola, la crescita promessa: quella del debito e delle tasse. Ma, siamo sicuri che la crescita economica la vogliano davvero…?

* Monti, il cui figlio era stato dirigente della stessa banca; mentre responsabile per l’Italia è un altro ex-direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco; e, buon ultimo, Vittorio Grilli, anch’egli direttore generale del Tesoro, prima di diventarne Ministro, poi passato alla JP Morgan: un bel trampolino di lancio nel privato questa posizione pubblica! Viene spontaneo chiedersi quali interessi siano in loro prevalenti: quelli dell’Italia o quelli delle mega-banche da cui provengono o verso cui si accingono a passare?    

Marco Giacinto Pellifroni        3 maggio 2015

 

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