La crescita che decresce

 La crescita che decresce

La crescita che decresce

Mi piacerebbe aggiungere personalmente qualcosa alla bella risposta che i nostri neo parlamentari a 5 stelle hanno dato, riguardo all’invito al convegno burlandiano, dal provocatorio titolo “felici di crescere”….leggi

Mi piacerebbe, per tentare di sgombrare il terreno, come fatto più volte da tutti  noi anche durante i dibattiti elettorali, da alcuni pregiudizi fuorvianti.

 Impresa che appare quasi disperata: perché oggi come oggi, chi continua pervicacemente a confondere decrescita con crisi, recessione e declino, non può che essere o in malafede, o volutamente pervaso di arrogante disinformazione. Guarda caso, gli stessi argomenti, papali papali, usati da Burlando per irridere la decrescita e sbeffeggiare Grillo, sono stati ripresi da Berlusconi nel suo comizio di ieri. Poi uno dice PD più o meno elle. Poi qualcuno ci vorrebbe “responsabili” a fianco di un PD che al momento non sembra rinnegare affatto cemento, carbone, grandi opere.

Prima di tutto, non confondiamo le cause con le conseguenze, i processi storici ed economici ineluttabili, e la necessità di prevenirne e curarne le ricadute negative, con un qualcosa di reversibile che sia  in nostro potere cambiare. La crisi di sistema che stiamo vivendo è indubitabilmente del primo tipo, e vince non chi si ostina a non vedere, a non capire, a voler riportare indietro le lancette della storia, ma chi per primo sa intuire una nuova via di sviluppo, basata sulle peculiarità uniche di questo Paese.

Sì, sviluppo. Usiamola pure senza paura, questa parolina. Perché ci sono tanti tipi di sviluppo, e la nostra decrescita, guarda un po’,  è uno di essi, per contraddittorio che possa sembrare a chi non vuol proprio capire.

In soldoni, la “povertà infelice” che stiamo sperimentando oggi è assolutamente figlia della crescita illimitata e della crisi capitalistica. Quindi, del sistema che si vorrebbe ostinatamente continuare. Ed è proprio la dimostrazione palese che non si può andare avanti così, che si deve cambiare. Citarla quindi come capo d’accusa contro chi vuole un’altra rotta,  dà proprio l’esempio dell’avvocato che convoca il teste sbagliato e inguaia il cliente.

Tutte le volte che si critica un’opera, una industria inquinante, invariabilmente ci si ritrova trascinati a viva forza e incasellati come patetici e ingenui passatisti, difensori di una Arcadia del mondo dei sogni, nemici del progresso.  Ma il giochino mostra ormai la corda. I passatisti, gli arretrati, sono gli altri, gli amici delle ciminiere e i cantori del lavoro “sporco” a tutti i costi. Coloro che si ostinano a negare un futuro ai nostri figli.

Si ignora, o si fa finta deliberatamente di ignorare, che invece gli argomenti sono di solida economia.

Bilancio spese, salute, ambiente, posti di lavoro guadagnati e persi; sviluppi futuri, pianificazione, destinazione fondi, opportunità e sostenibilità di un’opera.
 

In  questo senso il Tav è insensato: un corridoio Lisbona Kiev  a cui da tempo (nel silenzio dell’informazione nostrana) Lisbona e Kiev han detto picche;  la Francia stessa sta sollevando più di una perplessità, sopite solo dal sempre maggiore (e irresponsabile, e insostenibile) impegno economico promesso dall’Italia.

Ventidue miliardi. VENTIDUE.

Questo è l’esempio su tutti, la madre di tutte le battaglie, che infatti ha trovato simpatizzanti in tutta Italia e non è stato certo possibile etichettare come la presunta questione “nimby”, da egoismi locali.

 Ma dalle nostre parti ne abbiamo di molto simili. Lo sappiamo bene.

Allora, una volta per tutte, chiariamoci le idee: non è che noi siamo fautori della deindustrializzazione della Liguria, in nome del ritorno a un primitivismo pauperistico e idilliaco, fatto di orticelli e turismo.

E’ che un processo di cambiamento sta già avvenendo, indipendentemente dalla volontà nostra o altrui. E’ un dato di fatto. Ci sono crisi di vario tipo, comprese quelle create da pasticci economici, brutte storie di incompetenza  ai vertici e tangenti. Negarlo, continuare irresponsabilmente a procrastinare, a spese della sicurezza dei lavoratori, dell’ambiente, del costo del lavoro, foraggiando massicciamente imprese che non stanno più sul mercato, peggiora solo le cose, spreca  o rende indisponibili preziose risorse anche per salvare quel che si può, quelle imprese che sono sostenibili e si potrebbero rilanciare,  riconvertire, ma magari si lasciano colpevolmente languire e morire, solo perché non ci sono i famosi interessi dietro. E quelle nuove che potrebbero nascere e svilupparsi.

Puntiamo sulla ricerca, sulla tecnologia, sull’innovazione, ma anche sulle preziose peculiarità del territorio, sulla tradizione, riscopriamone il valore. Occorrono coraggio e fantasia e indipendenza da certi poteri.

Noi non abbiamo mai detto di essere contrari alla portualità. Riteniamo solo che la portualità vada razionalizzata, che i porti debbano specializzarsi e fare sinergia, non continuare con investimenti discutibili a pioggia, sprechi e folli concorrenze interne. Son risorse preziose e vanno investite con oculatezza e trasparenza.

Noi non siamo a priori ostili alla grande impresa. E’ che riteniamo più ragionevole pianificare una miriade di investimenti pubblici responsabili, seguendone l’iter e l’andamento, rispetto ai buchi neri di ingenti fondi erogati ai soliti due o tre nomi, spesso dispersi e irrintracciabili o impiegati in modo discutibile, come è accaduto finora in moltissimi casi.

Alcuni di quei nomi erano presenti al convegno. Come si può sperare che una crisi si risolva, non solo con gli stessi metodi che l’hanno provocata, ma addirittura convocando tutti i personaggi coinvolti, dalla politica agli imprenditori ai sindacati, che in questi anni non hanno saputo affrontarla se non vivendo alla giornata,  intascando contributi a perdere e contribuendo spesso al disastro?

Dappertutto ormai si inizia a ritenere  che il PIL non misuri un bel niente. Il benessere, la felicità di un popolo non  sono collegati con una pseudo ricchezza (sempre più a rischio, peraltro, sempre più trasformata in ricatto e schiavitù), ma con l’insieme dei parametri, di qualità di vita, relazionali, sociali con cui si rapporta l’individuo.

Cari fautori della  cosiddetta crescita.  Un  cittadino, un lavoratore, può essere felice di viaggiare tutti i giorni  su treni simili a carri bestiame, più sporchi e più lenti di trenta anni fa, mentre voi  pensate a valichi e gronde? Può essere costretto a prendere l’auto, pur non volendolo, solo per insufficienza di trasporti pubblici? Può essere lieto di salvare il posto di lavoro se questo significa umiliazione e ricatto e pericoli per la salute sua e dei suoi cari? Può vedere a rischio l’assistenza, la sanità, la scuola per i figli?

Allora, noi non siamo degli sprovveduti o degli illusi, come vi piace dipingerci. Inesperti, forse sì, ma impareremo.  Non vendiamo favole. Diciamo solo: vediamo quel che c’è, i soldi, i contributi, le spese, gli investimenti possibili, e decidiamo cosa è più utile, non per i grossi interessi che passano sopra le nostre teste, e che sembrano avere sempre la precedenza indiscutibile su tutto e tutti, ma per la comunità dei cittadini, e per chi verrà dopo di noi. Non maneggiamo il denaro pubblico con disinvoltura, come fosse di nessuno, ma con reverenza e cautela, perché è di tutti noi e prezioso.

Semplicemente questo, è il cambio di rotta che vorremmo e che i cittadini chiedono, anzi, pretendono, dagli amministratori da loro eletti.

Milena Debenedetti  consigliera Movimento 5 stelle

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