La carità al cieco di Bartolomeo Schedoni

Bartolomeo Schedoni

“Il solo notevolissimo pittore di questo primo quarto del Seicento in Emilia fu Bartolomeo Schedoni modenese, ma soprattutto attivo a Parma, che riuscì a fondere in modo più brillante dello stesso Lanfranco, il Correggio e il Caravaggio, già in un’epoca precoce come il 1610- J 5 …
Il fatto di essersi praticamente sottratto ai Carracci, concede alle sue composizioni un felice squadro geometrico, pieghe rigide e piani lucenti sciacquati da ombre in cui ancora si assapora la luce correggesca” (C.Brandi).
I rapporti di Bartolomeo Schedoni (Modena, 1578-Parma, 1615) con la corte parmense di Ranuccio I Farnese esordiscono molto precocemente, in relazione ai servizi che il padre Giulio, “mascararo” cioè fornitore di maschere per feste e cerimonie, svolge per lo stesso duca dal 1594, ma si consolidano definitivamente con il contratto del 1 dicembre 1607, che concede a Ranuccio I l’esclusiva della produzione dell’artista, il quale diventa l’interprete visivo dei programmi culturali controriformati del duca. Una delle opere più importanti di questo periodo è la Carità al cieco, attualmente a Napoli, Museo di Capodimonte. Si tratta del “quadro grande con un orbo, un Putto che lo conduce, et una donna che li fa elemosina con un putino con cornice nera … ” consegnato il 10 ottobre 1611 dallo Schedoni al Guardaroba del duca (F. Dallasta, C. Cecchinelli).
Dell’opera si conoscono, oltre a numerose copie, alcuni disegni preparatori, di cui uno (cm. 15,2×13,5) è comparso all’asta Finarte n. 778, Milano, 1991, n.253. Una versione di piccolo formato (cm.58×42) del dipinto, probabilmente autografa, è conservata nel Palazzo Borromeo all’Isola Bella (Stresa). Il successo dell’opera coinvolge subito anche la nostra regione: due versioni sono citate negli inventari delle quadrerie genovesi di Gio. Carlo Doria, anteriore al 1621, e di Gio.Vincenzo Imperiale ante 1648. Propongo di identificare quest’ultima, per dimensioni (palmi 3 per 21/2) con la versione Borromeo probabilmente acquistata dal conte Vitaliano alla fine del seicento.

Nella galleria nazionale di Parma è presente un’altra versione di grande formato, forse proveniente dalla collezione Sanvitale, dove compare in un inventario del 1707.  Il dipinto di Parma presenta alcune differenze rispetto al prototipo: manca l’ambientazione architettonica e, soprattutto appaiono diversi il volto e la capigliatura del bambino in primo piano, che qui è bruno mentre nella versione napoletana presenta i famosi riccioli biondi, tanto amati dai copisti di ogni epoca. L’esecuzione del dipinto di Parma dovrebbe e sere contemporanea a quella dell’opera ora a Capodimonte: il restauro (1999) ne ha confermato l’autografia, benchè in passato sia stato anche considerato una copia.
La tavola che qui rendo nota (cm38X30 colI. privata) costituisce una versione ridotta, preliminare o replica autografa del dipinto di Parma: vi compare a mezzo busto il putto coi capelli lisci e bruni, gli occhioni sgranati, che pone una mano in seno per porgere l’elemosina alla figura del profilo, in atto di sussurrargli all’orecchio la richiesta. di carità. L’aspetto più interessante della scoperta è costituito dalla corrispondenza della piccola tavola, probabilmente ridotta di alcuni centimetri in alto, dove si apprezzano tracce dei denti di una sega, con alcune opere di Bartolomeo Schedoni credute perdute ma citate dalle fonti antiche: il “quadretto in tavola, opera del sud.o Schedoni, alto once 6/2 largo once 6 …. rappresenta la testa ed busto di fanciullo dal naturale, che tiene una mano in seno dentro a panni. .. ” offerto in vendita a Genova nel 1640 e, soprattutto … una testa del Schedone che tiene una mano in seno … di altezza on. 11, on. 8 circa”, citata neI Catalogo dei quadri del principe Cesare Ignazio d’Este del1685 (G Campori ), le cui dimensioni e risponderebbero appieno, tenuto conto anche della piccola riduzione in altezza. Infatti, considerato che la misura linea di un’oncia milanese corrisponde a circa 3,626 cm. il formato citato dalla fonte risulterebbe di circa 39,886 cm di altezza per 29,008 di base. Il retro della tavola presenta ancora tracce di un sigillo in ceralacca la cui frammentarietà non consente tuttavia di riconoscere l’antica proprietà

Renato Giusto

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