L’ Etica da cambiare

 Nell’ultimo articolo in cui ho descritto la differenza di vivibilità tra paese e città, cioè fra una piccola e una grande entità organizzativa, rilevavo come quella piccola riesca ad organizzare meglio i propri servizi alla comunità e come la stessa comunità possa vivere una vita più ordinata e serena rispetto quella di una grande città.

Peraltro si può ben dire che tale differenza può manifestarsi anche a livello di entità organizzative su scala ben più larga, come nel caso degli Stati sovrani.

Stando ai dati forni dal Fondo Monetario Internazionale, se vogliamo prendere, ad esempio, un piccolo Paese come la Norvegia, dove vivono poco più di 5 milioni di abitanti, con una densità di 15 persone per kmq, o il Pakistan dove ne vivono 233 milioni con una densità di 261 abitanti per kmq, rileviamo che in Pakistan, paese che tra l’altro possiede la bomba atomica, la ricchezza pro capite annuale è di 1.480 dollari mentre quella della Norvegia è di 81.000 dollari.

 

Popolazione Norvegese e Pakistana

Se vogliamo prendere un altro esempio, proveniente dal continente Americano, vediamo che in un paese come il Canada, con 37 milioni di abitanti e una densità di 3,79 persone per Kmq, la media di reddito pro capite annuale è di 46.000 dollari, mentre in Messico, con i suoi 129 milioni di individui e una densità di 64 abitanti per Kmq, la media di reddito pro capite è pari a 9.700 dollari.

Ciò vale anche nel continente africano dove in Botswana, con una densità di 2,6 abitanti per Kmq e un reddito medio di circa 8.000 dollari, quando in Nigeria, paese ricco di petrolio e minerali e con una densità di 218 abitanti per Kmq, il reddito pro capite è appena di 2.000 dollari.

  

Popolazione canadese e messicana

Inoltre, se al dato meramente economico del PIL pro capite affianchiamo anche quello della criminalità e dei servizi essenziali quali l’istruzione, la sanità e l’amministrazione della giustizia, il confronto tra paesi a bassa e ad alta concentrazione di popolazione si fa ancora più impietoso.

Potrei fare numerosi altri esempi, ma con poche eccezioni, come il Giappone, che confermano la regola, lo scenario mondiale ci fa dire che, in genere, in quegli Stati sovrani dove esiste una densità di popolazione minore, sia lo standard di vita che l’economia sono di livello migliore, mentre al contrario dove vi è una maggiore concentrazione di abitanti vige il disordine e la miseria.

Nell’antica civiltà contadina la procreazione aveva una funzione economica, perché occorrevano braccia per coltivare i campi o per allevare il bestiame, occorrevano braccia per difendere i territori o conquistare quelli altrui, come pure per rimpiazzare i morti per le guerre o per le malattie. Nel corso del tempo, la procreazione della nostra specie, come quella degli animali, è stata funzionale a mantenere l’equilibrio del pianeta, sul quale fauna, flora ed esseri umani hanno convissuto per milioni di anni in quel perfetto equilibrio che ci ha portato ai giorni nostri.

 

Popolazione Botswana e nigeriana

Questo equilibrio purtroppo oggi non esiste più, perché l’uomo, in virtù della sua intelligenza, ritenuta maggiore rispetto alle altre componenti della natura, ha portato la propria razza ad utilizzare sempre più prodotti della natura a svantaggio delle altre specie e della natura stessa, con il risultato di aver rimodellato completamente il pianeta; questo a causa, soprattutto, di un’innaturale espansione demografica, che ha rotto quell’equilibrio formatosi nel corso dei secoli.

Dalle poche centinaia di milioni di anime che vivevano nel pianeta 2000 anni fa si è passati ai quasi 8 miliardi di oggi, quasi tutte con l’ambizione di migliorare il proprio benessere e le proprie aspettative che, inevitabilmente, cozza contro la natura e penalizza tutte quelle componenti animali che non hanno la stessa intelligenza dell’uomo.

Se fino a non più tardi di un secolo fa la proliferazione degli esseri umani veniva controllata attraverso le carestie, le varie malattie e le frequenti guerre, a contenere la prolificazione degli esseri umani, oggi, grazie al progresso, la razza umana sta moltiplicandosi in maniera incontrollata e a scapito delle altre specie viventi.

Maggiore popolazione comporta inevitabilmente maggiore sfruttamento delle risorse e quindi maggiore impatto sul pianeta, il quale specialmente in questi ultimi 100 anni ha dovuto subire degli effetti negativi devastanti.

 

La continuazione di tali effetti con lo stesso ritmo ci porterebbe ben presto alla catastrofe; non ci sarebbe da stupirsi a pensare che, attraverso gli incendi, le tempeste, le alluvioni e non ultimo i virus pandemici, la natura stia cercando di difendersi da questa insensata esplosione della crescita umana. L’interazione fra demografia ed epidemiologia sta facendo riflettere non poco il mondo della scienza, che, tuttavia, si dimostra molto cauta, evitando di toccare argomenti “pericolosi e sensibili” per l’etica comune.

Con la speranza di attenuare gli effetti negativi dell’azione dell’uomo sull’ambiente, nascono ogni giorno movimenti e associazioni ambientalistiche, mentre gli Stati stessi legiferano di continuo in materia ambientale, ma è chiaro che, di fronte alle necessità umane sempre più esigenti, la politica alla fine propende per assecondare tali esigenze e si rifiuta di affrontare il vero problema, che è l’esplosione demografica, perché  gli animali o le piante non votano, per cui alla fine prevalgono i variegati interessi  in gioco degli umani.

La conseguenza è che nei luoghi dove  più consistente è l’aumento della popolazione, gli animali e le piante vengono completamente sopraffatti, le risorse naturali vanno all’esaurimento e, non rimanendo  risorse sufficienti per l’uomo, l’unico modo per sopravvivere è quello di spostarsi in un’altra zona più ricca; e questo è quanto stanno facendo oggi i popoli del terzo e quarto mondo, che, per mancanza di risorse in casa propria, ora bussano in casa nostra in modo sempre più massiccio, con la conseguenza di assorbire dai nostri sistemi sia risorse del welfare che risorse dell’ambiente, causandone così un rapido impoverimento che porterà presto al al loro esaurimento.

 

Nel 1978, durante una crociera intorno al mondo, ho avuto l’occasione di visitare sia la città di Canton in Cina che la città di Bombay in India, rilevando la differenza di organizzazione fra due Paesi, a quel tempo entrambi poveri ma governati differentemente, perché in Cina le nascite cominciavano a essere regolate, mentre in India, al contrario, non lo erano. Recentemente sono tornato in Cina e ho trovato un mondo totalmente diverso da quello del 1978; ma a parte le mie impressioni da visitatore, i numeri sono chiari: in Cina la ricchezza pro capite ora raggiunge quasi 10.000 dollari annui, mentre in India supera di poco i 2.000. La differenza sta nel fatto che già dal 1978 il Governo cinese regolava per legge le nascite, mentre in India le vacche sacre giravano indisturbate per le città e si continuava a fare figli per affidarli alle mani della Dea Kalì. Insomma il governo cinese cominciava già nel 1978  a controllare le nascite e mandare il figlio unico a scuola,  mentre in India si continuava, e si continua, a far figli per mandarli a chiedere l’elemosina.

D’altronde, già alla fine del 1700 il sociologo e demografo Thomas Malthus predicava che la povertà non era causata dalle istituzioni, bensì dalla crescita indiscriminata della popolazione, che già allora in Inghilterra si sviluppava a ritmo maggiore rispetto alle risorse a disposizione e si incominciava a riflettere sul fatto che l’eccessiva crescita demografica ostacolava lo sviluppo economico; da qui iniziò poco dopo la grande emigrazione verso le Americhe.

 

Thomas Malthus

Oggi non abbiamo più bisogno di ulteriori braccia umane (neppure per conquistare il West), poiché quasi ogni lavoro può essere eseguito con macchine sempre più sofisticate, che possono produrre il necessario per soddisfare ogni esigenza della popolazione, come già avviene in agricoltura a partire dal secolo scorso.

Oggi si può vivere con uno standard di vita soddisfacente, potendo anche lavorare molto di meno e avere più tempo libero da dedicare ai propri svaghi e alla propria cultura. Oggi le coppie possono vivere la propria vita sessuale senza necessariamente procreare. E oggi è possibile programmare la propria famiglia secondo le esigenze e le possibilità di poter garantire ai figli, oltre al sostentamento, anche un’istruzione (a cui io aggiungerei anche un insegnamento civico).

In poche parole, si può sicuramente invertire questa assurda marcia verso il baratro, semplicemente rallentando drasticamente la natalità degli esseri umani e portandola a livelli accettabili rispetto alle risorse del pianeta.

Purtroppo un obbiettivo così semplice e ovvio cozza contro il volere delle religioni, o meglio, delle Chiese.

 

Le religioni, nate nei momenti in cui occorreva dare delle regole ai popoli primitivi, erano semplici e razionali e impartivano quegli insegnamenti comportamentali di cui oggi sentiamo la mancanza; in seguito purtroppo sono state utilizzate come mezzi di potere o come diceva Marx come “involucro ideologico” per giustificare il potere, per cui esse costituiscono un grande se non l’unico ostacolo per evitare questa corsa all’autodistruzione.

Infatti i paesi con maggiore densità demografica sono proprio quelli dove i poteri temporali delle religioni hanno avuto e tuttora hanno una grande presa sulla popolazione e dove sovente svolgono addirittura una funzione politica, che negli Stati a ordinamento teocratico viene esercitata direttamente dai capi religiosi.

Se vogliamo salvare il nostro Pianeta dovremo fare la pace con la natura, innanzi tutto contenendo le nascite, attraverso l’azione di una politica mondiale, che  deve essere indipendente dalle dottrine delle varie Chiese, guidata da una nuova considerazione oggettiva e concreta  del bene e del male, in funzione innanzi tutto del rispetto dell’ambiente naturale in cui viviamo. Solo così si potrà ancora lasciare qualche speranza di vita vivibile alle future generazioni.

 

Per quanto riguarda il nostro povero Paese, oggi non vi è alcun bisogno che l’Inps venga finanziato dal lavoro di braccia umane, come ci narrano i fanatici delle porte aperte all’immigrazione non regolata: perché in futuro sarà il PIL, creato dalle macchine e dall’intelligenza umana, che pagherà le pensioni e non le braccia umane. In buona sostanza, se vogliamo assicurarci un futuro florido e sostenibile, più che milioni di braccia ci servono migliaia di buoni cervelli!

 

In tal senso, una buona strategia di partenza potrebbe essere, da un lato, quella di trattenere i nostri cervelli cercando di evitarne la fuga, mentre dall’altro sarebbe ora di smetterla di favorire l’importazione di braccia inutili che servono solo a mantenere un certo mondo variegato legato alle sinistre che irresponsabilmente stanno distruggendo nostro già fragile sistema socio economico portando in nostro Paese sempre più lontano da Oslo in direzione Karachi.

Lo dobbiamo ai nostri nipoti.

 

    SILVIO ROSSI  Consigliere Comunale  “SAVONA CAPOLUOGO”

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