ITALIA DISCRASICA

Convivono due Italie: una viaggia con le Borse, l’altra si arrabatta alla meno peggio, abbandonata dal Palazzo, che continua a ragionare secondo schemi darwiniani di progressivi adattamenti all’ambiente mutevole: quanti non riescono a tenerne il passo sono destinati a cadere. Una prece.
Quando mi siedo a tavola e accendo la radio, dopo aver visto con i miei occhi sino a quel momento come se la passa la gente che lavora, o che non lavora più, mi dà un istintivo senso di rigetto sentire i ripetuti progressi degli indici borsistici, relativi alle società al di sopra di un certo, e sostanzioso, giro d’affari.

Mentre il mondo soffre le conseguenze, anche economiche, della biennale pandemia, i big della finanza stappano champagne ad un 2021 da incorniciare [VEDI]. Viene il fondato dubbio che tutti quei milioni siano stati tolti a tutti coloro che sono scivolati nella povertà

Come si conciliano le due situazioni: l’una, visibile in particolare nelle strade, con poca gente in giro, i negozi semi-vuoti, un senso di generale scoramento; e l’altra, di effervescenza delle compagini industriali, bancarie, assicurative, che marciano trionfalmente verso un unilaterale successo, con emolumenti milionari ai loro vertici e premi di produzione ai loro dipendenti?
La spiegazione non può che essere una: i vertici stanno sempre meglio in proporzione al diffuso e crescente malessere della base. Una spiegazione, parallela e complementare, è che, oltre alla base umana, stia sempre peggio anche la base ambientale. Queste due marciano di conserva: niente nasce dal niente. E il tentativo di alleggerire il nostro peso sulla natura viene fatto pagare non già con una riduzione delle tasse ai ricchi, ma con un aggravio dei prezzi dei beni fondamentali, ossia con ulteriori tagli al welfare, già drasticamente ridimensionato ben prima della pandemia.

Stabilimento della Ferrari, fornitrice dei ricchi di cui all’immagine precedente. C’è una tale ricchezza ai piani alti che i vertici possono permettersi di lasciar colare un po’ di grasso anche ai loro lavoratori [VEDI]

Ma forse sono io ad essere rimasto indietro, ai vecchi principi di conservazione e dissipazione della termodinamica applicata ad un contesto antropico. Eppure, continuo a pensare che in Borsa, come a poker, ciò che uno vince corrisponde a ciò che un altro perde, anche se qualcuno lo nega. Ma oggi c’è la realtà virtuale, vecchio retrogrado che non sono altro: basta vedere che il volume delle transazioni borsistiche, comprese quelle “ombra”, vale decine di volte il Pil mondiale, anche se frutto di transazioni fittizie, scommesse, effetti leva. E poi, il passaggio dalla moneta fisica a quella elettronica, l’ormai celeberrimo “whatever it takes” di colui che “per grazia di Dio, ma non della nazione”, non sta a testimoniare che i rapporti tra realtà fisica e virtuale sono cambiati, in favore della seconda? E che non c’è più rapporto diretto tra denaro e ciò che una volta era chiamato a rappresentare? Le criptovalute, d’altronde, non ne sono un’ulteriore conferma? Viviamo in un mondo di assegni a vuoto, di bluff come a poker, che però nessuno chiede di vedere. I manuali di economia li chiamano “moneta a corso forzoso”: sei obbligato a non “vedere”.

Giocatori di poker. Le loro fiches hanno valore in quanto tutti sanno che andando alla cassa potranno cambiarli in valuta corrente. C’è un “sottostante” a garanzia. Che non c’è nei derivati, che ammontano a circa 50 volte il Pil mondiale. Non c’è dietro le criptovalute. Non c’è dietro la moneta bancaria. Non c’è neppure dietro le banconote. Sono gli Stati, servi della finanza, a dar valore, oltre alla valuta legale, anche a tutto il cumulo di aria fritta: il sottostante è il lavoro, un parametro in costante declino

Ciò che è visibile, tangibile, alla luce del sole non è più in, vecchio barbogio, è out. Quindi è inutile che tu rimpianga un mondo che non c’è ormai più, devi stare al passo. Adeguarsi o perire. Bisogna seguire il trend, diventare influencer, avere milioni di followers, arricchendosi e arricchendo mille volte di più i colossi del web. I negozi che costella(va)no le vie cittadine sono antichi vizi da estirpare, in nome delle moderne virtù: quelle società invisibili che ti accolgono, dopo aver digitato i loro numeri gratuiti 800XYZ, ascoltato una sequela di vocali preregistrati, premuto successivi pulsanti e, dopo imprecisati minuti di attesa, ecco spuntare Tobi, il tuo “assistente virtuale”, che quasi mai c’azzecca e alla fine ti passa una persona che addirittura respira, ma ha il difetto di ricevere un compenso, di comportare contributi pensionistici e tasse, quindi da eliminare al più presto, affinché il suo stipendio defluisca nel pingue bilancio della SpA. I robot non respirano, non mangiano, lavorano con qualche manciata di watt, e quindi non concorrono alla formazione del Pil, se non a monte, con la loro fabbricazione. Eppure, più se ne introducono e più si insiste col voler far crescere il Pil e l’occupazione. Idem per gli acquisti online: nessun rapporto fisico tra compratore e venditore, che so, un sorriso di benvenuto, uno scambio di domande e risposte; no, solo qualche clic sul PC; i rapporti umani sono un’anticaglia per vecchi sentimentali. E, con il Covid, sono praticamente spariti. Viva i robot, che non contagiano.

L’ultimo capolavoro di Vasco Rossi, fortemente allusivo: “Vuoi nasconderti? Vuoi proteggerti?”. I gran signori dietro le quinte, che brindano, incuranti che noi “Siamo qui, pieni di guai” a causa loro. Il loro champagne vs il pane sottratto alla nostra tavola [VEDI]

Ho fatto uno spaccato dell’Italia (e non solo) attuale, dove la sofferenza si vede (anche se si tenta dignitosamente di nasconderla), mentre i beneficiari della sofferenza altrui se ne stanno nascosti, come nella velata canzone di Vasco, ma espongono in piena luce i loro pagliacci, le loro kermesse, il loro ottimismo di scherno, amplificato dai media.
Ormai, hanno reso una farsa anche le elezioni, stampella della sedicente democrazia, pretesto per un‘arena ad uso e consumo del declinante numero di spettatori che ancora siedono sugli spalti e parteggiano per questo o quel giocatore. Anche il Parlamento è diventato virtuale, popolato di fantasmi sempre meno rappresentativi e decisionali. Il prossimo sarà dimezzato, come i votanti.

Nel suo discorso con 19 standing ovation e più di 50 applausi, Mattarella ha parlato di lotta alle diseguaglianze. Una preoccupazione assente da qualunque governo. Solo retorica. Però alla gente piace vedere elencare luminosi traguardi, pur sapendo che sono chimere

In un simile revival dell’antico fossato tra signori e poveracci nascono (sempre meno) e crescono i giovani d’oggi, cui la formazione mentale, impressa dalla scuola a tutto il contesto culturale che impregna la società, fa credere si tratti della realtà. L’unica possibile.
L’unica possibile? Certo, basta leggere qualsiasi articolo di giornale, ascoltare qualunque discorso radio/TV, per sentire echeggiare con nostalgica insistenza la parola crescita. Nonostante tutti i segnali indichino che è la strada sicura verso il Giorno del Giudizio, che secondo la Chiesa vedrà il trionfo degli ultimi e la dannazione dei primi. Mai come oggi suona come invenzione per tenere a cuccia i “poveri e gli afflitti” e lasciar tranquilli gli Epuloni. La cui ricchezza durante la pandemia è raddoppiata. Secondo Darwin sono i più bravi, che sanno trarre vantaggio dalle disgrazie altrui. Come i leoni, che azzannano le prede più deboli, quindi più facilmente catturabili. Nessun riferimento ai contratti dei giovani tirocinanti, se per caso aveste fatto dei nessi logici.

Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova. 1303-1305 Il Giudizio Universale. Enrico Scrovegni edificò la cappella funeraria per espiare il peccato di usura, suo e di suo padre. La Chiesa ha sempre considerato usura il prestito di denaro ad interesse

La Lega, in un contesto come sopra descritto, ha chiesto di devolvere € 30 miliardi per tamponare, almeno in minima parte, il disagio diffuso tra tutte le piccole partite Iva, che sono l’asse portante della nazione e, paradossalmente, le più sacrificate dall’avanzamento virtuale. L’uomo del whatever it takes quando si trattò di salvare euro e banche, oggi che si tratta di salvare la “plebe”, non si abbassa e oppone un netto niet alla proposta. Altro che la formula sempre usata sui giornali e alla radio/TV “a rischio chiusura”: ormai possiamo tranquillamente togliere le due parole “a rischio”, perché a dare certezza è sopraggiunto, dopo il Covid, il raddoppio delle bollette energetiche e delle materie prime.
Eppure, le strade sono piene di automobili, che circolano incuranti della crisi e il pieno lo fanno comunque, magari risparmiando sul cibo e le spese mediche. Ultimo baluardo e simbolo di una stagione che ci si illude di perpetuare. A spese della gente comune e della natura. La gente è ormai anestetizzata e incapace di reagire in massa; a differenza della natura.

Marco Giacinto Pellifroni            6 febbraio  2021

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