Ipotesi di semipresidenzialismo in Italia: cosa dobbiamo pensare?

L’attuale Presidente del Consiglio ha dichiarato la propria volontà di portare a termine una riforma costituzionale in senso semipresidenziale. Se questo avverrà è altamente probabile che saremo chiamati ad esprimerci attraverso un referendum e perciò dobbiamo capire bene che cosa andremo a votare.
Troviamo un esempio concreto vicino a noi: la Francia è una repubblica semipresidenziale in cui il Presidente della Repubblica ed il primo ministro condividono il potere esecutivo. Il Capo dello Stato è designato direttamente dagli elettori con suffragio a doppio turno; tra i suoi poteri rientra la nomina del Primo ministro. È eletto al primo turno se ha la maggioranza assoluta dei voti, ma se nessuno dei candidati la ottiene, si va al ballottaggio tra i due concorrenti più votati. Questo sistema assicura sempre al Presidente della Repubblica francese l’investitura popolare a maggioranza assoluta.
La nomina del Primo Ministro, invece, segue l’elezione dell’Assemblea Nazionale, che avviene separatamente rispetto a quella del Capo dello Stato. Per questo motivo si può verificare il caso di un Presidente della Repubblica appartenente ad una parte politica ed una maggioranza parlamentare della parte opposta. In questo caso il Primo ministro, che “scaturisce” dalla maggioranza parlamentare, va a “coabitare” con il Presidente della Repubblica. L’ultima “coabitazione” della Repubblica francese si è verificata tra il presidente neogollista Jacques Chirac e il primo ministro socialista Lionel Jospin nel quinquennio 1997-2002.

Jacques Chirac e il primo ministro socialista Lionel Jospin

È facile notare che quando il Presidente ed il governo appartengono alla stessa parte politica il primo ha grande influenza sul secondo, anche perché il Capo dello Stato presiede il Consiglio dei ministri. Tra gli estesi poteri che la costituzione della V Repubblica francese gli assegna si annoverano come esclusivi:
● lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale;
● il ricorso al referendum su proposta del Governo o delle Camere;
● la nomina di tre membri e del presidente del Consiglio costituzionale;
● il controllo di legittimità costituzionale preventivo: cioè può chiedere al Consiglio costituzionale l’esame di una legge prima della promulgazione.
Il Presidente della Repubblica condivide alcuni poteri con il Governo e con il Parlamento, come:
● la nomina e la revoca di ministri su proposta del primo ministro;
● la negoziazione e la ratifica di trattati internazionali;
Infine, in caso di emergenza nazionale il Presidente assume pieni poteri e può legiferare per decreto.

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Quest’ultimo è evidentemente un potere rilevantissimo, ma nessuno dubita del fatto che quella francese è una democrazia liberale in piena regola. Essa, infatti, fu forgiata da un uomo di destra che con il fascismo non aveva nulla a che fare (né, tantomeno, con il nazismo), se non per il fatto di averlo combattuto in armi. Fu un nazionalista che antepose sempre la Francia a sé stesso, tant’è vero che dopo la sconfitta referendaria sulla riforma del Senato nel 1969 non esitò a farsi da parte.
Non è esattamente quel che è accaduto e che ancora potrebbe accadere nelle Americhe: Jair Bolsonaro si è chiuso nel Palácio do Planalto a Brasilia (sede della presidenza della Repubblica) ed è rimasto in silenzio per due giorni, mentre nel Paese si scatenava la rivolta dei camionisti, suoi sostenitori. Il Presidente uscente non ha riconosciuto la vittoria elettorale di Inácio Lula da Silva autorizzando, tuttavia, la transizione presidenziale. Intanto nel Paese i disordini proseguono… Chissà se i fatti di oggi in Brasile, unitamente a quelli dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, potranno indurre i presidenzialisti (o semipresidenzialisti) nostrani a qualche ulteriore riflessione sulla bontà di questa forma di governo…

Lula e Bolsonaro

L’elezione diretta del Capo dello Stato è divisiva perché porta alla Presidenza una personalità di parte. A differenza del caso parlamentare tale personalità è ben lungi dall’essere super partes. Il Brasile, dal punto di vista elettorale, è diviso esattamente a metà. Lula supera Bolsonaro per pochi vochi e questo complica le cose. Abbiamo assistito a numerosi blocchi stradali ed al lancio di appelli a raggiungere la capitale ed i tumulti non sono ancora terminati. Attendiamo gli sviluppi con preoccupazione.
Il nostro Paese ha vissuto decenni di violenza: dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale bisognava pacificare un’Italia lacerata. Ci sono voluti anni, il terrorismo ha colpito fino agli anni Ottanta, praticamente fino a ieri. Quegli eventi, che hanno radici negli avvenimenti del primo dopoguerra, sono finiti per sempre? Davanti a questa domanda difendo la scelta repubblicana parlamentare con convinzione. Non possiamo rischiare né oggi né mai derive alla Capitol Hill. Negli Stati Uniti non si era mai verificato nulla di simile. Tutti i Presidenti uscenti prima di Donald Trump avevano costantemente riconosciuto la vittoria dell’avversario sottomettendosi al risultato elettorale: proprio per questo il caso degli Stati Uniti deve farci pensare.

L’assalto a Capitol Hill

È del tutto legittimo volersi ispirare a modelli costituzionali di altre democrazie liberali. La democrazia francese è solida, la sua Costituzione, infatti, prevede contrappesi, bicameralismo differenziato, sistema elettorale a doppio turno, una elencazione delle materie riservate all’attività legislativa dell’Assemblea Nazionale… Soprattutto, però, la Francia è la Francia, con la propria storia, cultura e mentalità. Le riforme costituzionali che ci riguardano, infatti, vanno sempre calate nella realtà del nostro Paese, alla luce di attente riflessioni sulla società italiana e sulla nostra storia.
Fabio Tanghetti Democrazia Solidale Liguria                        2 novembre 2022

 

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One thought on “Ipotesi di semipresidenzialismo in Italia: cosa dobbiamo pensare?”

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