Intervista al musicista savonese Deca

Marietto Siri intervista

Deca, musicista totale.

Savonese doc, Federico De Caroli è considerato a pieno titolo uno dei musicisti italiani più eclettici, originali e talentuosi.

 

Marietto Siri intervista

Deca, musicista totale.

Savonese doc, Federico De Caroli è considerato a pieno titolo uno dei musicisti italiani più eclettici, originali e talentuosi, nonché prolifici considerando la quantità di dischi e produzioni musicali a cui ha messo la firma.

Conosciuto con il nome d’arte Deca, si è affermato a livello internazionale come compositore di musica elettronica e ambient, pur realizzando periodicamente colonne sonore, musica per la televisione e il teatro, sonorizzazioni per videogiochi e multimedia. Grande esperto di tecnologie e sperimentatore tra i più progrediti, non ha comunque mai tradito le sue vocazioni pianistiche e classiche. Il suo album “Isole Invisibili – piano solo, piano duo” pubblicato nella primavera 2017 è stato un grosso successo di musica d’atmosfera, raccogliendo consensi clamorosi da tutta la stampa di settore.

 


 

M.S.– Dai sintetizzatori al pianoforte. Questi ultimi due anni ti hanno visto riaffermare la centralità della tradizione e delle tue radici artistiche. Come nasce il progetto di “Isole Invisibili”?

 

Deca– La mia storia musicale è nata col pianoforte, oltre quarant’anni fa. E il pianoforte, di fatto, non è mai stato allontanato e tantomeno dimenticato. Il percorso di ricerca con gli strumenti elettronici non ha mai precluso contaminazioni con strumenti tradizionali. Certo, il disco “Isole Invisibili” è completamente pianistico e questo ha in qualche modo spiazzato il pubblico e la critica, come si legge in molte recensioni. Dopo decenni di opere super-tecnologiche, il ritorno al pianoforte puro ha messo in chiara evidenza una mia volontà, quasi una necessità, di tornare ad esprimermi in modo più diretto. Sottolineo però che alcuni dei brani contenuti nel disco risalgono agli anni ’80, quindi si tratta di un’opera che abbraccia un arco di tempo ampio e testimonia in qualche modo la mia fede pianistica.

 

 

M.S.– La tua musica non sembra voler affermare doti di gran virtuosismo. Ho letto che gli addetti ai lavori ti riconoscono comunque una mano eccezionale. Tuttavia, i brani dell’album non colpiscono per un aspetto strettamente tecnico, ma per le loro caratteristiche descrittive, per le atmosfere. 

 

Deca– Il tipo di musica che ascolti nel mio album non potrebbe mai trarre vantaggi da quel tipo di virtuosismo. C’è una componente emozionale, malinconica, intimista che ha bisogno soprattutto di certe atmosfere, per l’appunto. Il virtuosismo come sfoggio di doti tecniche diventa fine a se stesso ed è una strada che molti musicisti eccellenti – per fortuna – non hanno voluto percorrere. Essere veloci su uno strumento (tastiere, chitarra, ecc.) non sempre è indice di grande preparazione. Anzi, talvolta è molto più difficile avere una tecnica ineccepibile nel suonare lentamente, delicatamente.

 


 

M.S. – In ogni caso nel tuo lavoro si alternano anche pezzi più incalzanti, con ricami ritmici notevoli. La componente romantica del tuo pianoforte passa anche attraverso questa componente più sofferta, tormentata. Nelle esibizioni dal vivo il pubblico predilige qualcosa di più spettacolare e movimentato? E’ meno appetibile un concerto fatto di sonorità rilassate e malinconiche?

 

Deca– Buona parte della scena pianistica attuale contempla musicisti che delle atmosfere intimiste hanno fatto un cavallo di battaglia irrinunciabile. Basta pensare a Ludovico Einaudi. La cosiddetta musica d’ascolto, o anche da meditazione, non soffre nel passaggio dal salotto di casa al palcoscenico dei teatri. Credo ci sia una grande empatia tra il pubblico e l’approccio emozionale di certi artisti. Nei miei concerti suono prevalentemente brani minimali e si crea sempre un contesto attento ed empatico. Anche in una cornice caotica e dispersiva come la libreria Feltrinelli di Duomo a Milano, dove mi sono esibito già due volte, si è instaurata col pubblico una vibrazione di ampio respiro. E la musica d’atmosfera ha avuto la meglio sul rumore di fondo.

 

 

M.S.– Avendo citato Einaudi… ti consideri parte di quel panorama artistico?

 

Deca – Francamente ho cominciato a conoscere le produzioni di Einaudi in tempi molto recenti. E non penso che esista – almeno in Italia – un panorama preciso, se non associando al pianoforte quei due o tre nomi molto famosi (che peraltro fanno cose abbastanza diverse). Le mie radici musicali si legano semmai al Romaticismo di Schubert, ai grandi del Novecento come Debussy e Satie; in tempi più recenti ad autori come Wim Mertens. Oggi non basta uno strumento solista e definire una vera “scena musicale”, tanto più considerando che alcuni fenomeni molto popolari sono al centro di pure operazioni di marketing, in cui la matrice culturale passa in secondo piano. Molti dischi in circolazione adesso vengono genericamente esposti nelle sezioni “new-age” o “contemporanea”, il che dice tutto sulla loro identità.

 

 

M.S.– Hai in cantiere nuovi lavori del tuo filone più conosciuto, cioè quello elettronico, o per il momento resti concentrato sul pianoforte?

 

Deca– Certamente questo nuovo percorso ha preso il sopravvento su tutto il resto. Si è focalizzata una grande attenzione sull’album e il 90% dei concerti che mi chiedono è esclusivamente pianistico. La mia produzione più sperimentale in questi ultimi tempi si è mantenuta viva grazie alle ristampe di miei vecchi dischi e demo inediti, raccogliendo la crescente richiesta del mercato collezionistico, specie nel vinile. Hanno ristampato i miei primi LP in vari Paesi europei e persino in Australia. Quanto a nuove produzioni, diciamo che dopo “Onirodrome Apocalypse” (del 2014 n.d.r) ci sono voluto quattro anni per vedermi tornare a lavorare coi sintetizzatori.

 


  

M.S.– Ti riferisci al progetto Psycho Kinder?

 

Deca– Esattamente. La collaborazione con Alessandro Camilletti, fondatore di questo progetto di musica sperimentale, si è manifestata con la composizione di una dozzina di brevi brani su cui lui ha registrato la voce. E’ stato un lavoro interessante e stimolante, vuoi per l’estrema varietà di registri musicali, vuoi per l’estrema brevità di alcuni pezzi, vuoi per l’inusuale contaminazione tra recitato e suonato. La definirei un’opera con caratteristiche anche teatrali. Il disco “Diario Ermetico” tra l’altro ha avuto immediati riscontri positivi. Tutta la stampa specializzata ne sta parlando con entusiasmo. E’ un lavoro di nicchia, certo, ma in cui il mio apporto musicale spazia tra i generi e risulta così molto rappresentativo delle mie attitudini.

 

 

M.S.– E’ più difficile comporre musica per pianoforte o musica elettronica?

 

Deca– Nella sostanza la musica scaturisce sempre da un’ispirazione momentanea, da un fugace lampo di intuizione, dall’improvvisazione. Il nucleo di un nuovo pezzo nasce sempre così. Poi è chiaro che per il pianoforte il processo di sviluppo della composizione è più lineare, se vogliamo. Con la musica complessa, strutturata con più suoni e più strumenti, c’è una stratificazione di passaggi che a volte richiede settimane per arrivare al pezzo definitivo. Sono due percorsi di ricerca differenti che  partono comunque da ispirata intuizione.

 

 

M.S.– Sei nato e cresciuto a Savona, che continua ad essere una delle tue basi operative. Eppure raramente sei presente sulle scene locali, mentre ti esibisci regolarmente a Milano, Roma, Firenze…. 

 

Deca– Le scene locali – non rivelo nulla di nuovo – sono viziate da vari aspetti che hanno impaludato la possibilità di costruire un contesto musicale attivo e progredito. Mancanza cronica di spazi adeguati ai vari generi; mancanza di sensibilità da parte di organizzatori e operatori, con conseguente scarsità di investimenti; e anche un diffuso atteggiamento di snobismo e diffidenza che serpeggia, precludendo di fatto la strada a molti artisti che fanno cose originali e innovative e agendo a favore di realtà più commerciali e semplificate. La quantità a discapito della qualità. Così paradossalmente gli artisti locali che godono di fama e stima altrove, qui raramente hanno la possibilità di partecipare ad eventi rilevanti. Lo dico con rammarico, ma è una realtà di fatto. 

 

Intervista di Marietto Siri

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