Intercettazioni

Le intercettazioni, l’etica e i nostri condizionamenti a credere

Le intercettazioni, l’etica e i nostri condizionamenti a credere

I condizionamenti a credere che governano l’occuparsi dei fatti altrui sono due.

  • Per il primo, è disdicevole fare la spia, origliare, guardare dal buco della serratura, spettegolare, in altre parole occuparsi dei fatti altrui per motivi ignobili. E, quindi, è disdicevole e basta: perché non è facile distinguere se i motivi siano nobili oppure no.
  • Per il secondo, tutto questo è addirittura indispensabile da sempre, perché serve a combattere il crimine e l’abuso del privato verso la collettività.  

Qualcuno li chiama “concetti” mentre sono solo condizionamenti, ossia atti di fede irrazionali. Il primo dei quali è evidentemente libertario, mentre il secondo è totalitario. Dove si contrappongono l’esigenza per la libertà individuale e quella per un’etica che dovrebbe proteggere i popoli “buoni” dagli individui “cattivi”.

Peccato che quest’etica, vecchia come l’uma­nità, sia sempre stata presa a pretesto per impedire le libertà più elementari: ed ecco l’inquisizione cattolica, i processi alle streghe, la guerra di Hitler agli ebrei e ai diversi, le aberrazioni di Al Qaeda. E la stessa ostilità del papa al “relativismo culturale” potrebbe essere nulla più che una difesa del proprio modo di vedere certi valori, contro la libertà di chi la pensa diversamente: perché gli altri sbagliano, e basta.

La libertà dell’individuo – diversamente da quest’etica – viene difesa sul serio solo da poco tempo, diciamo dall’Illuminismo in poi. Sappiamo tutti che, un tempo, la libertà dell’individuo – anche dalle nostre parti – era sostenuta solo da pensatori coraggiosi isolati, di solito ostacolati dal potere in carica e, quindi, destinati a finire male: come Socrate, Cicerone, Seneca, Cartesio, Erasmo, Giordano Bruno, Galileo. Sappiamo tutti che solo negli ultimi secoli si sono sviluppati movimenti collettivi e politici che, della libertà individuale, hanno il culto. Però sappiamo anche quanto è stata ostacolata questa libertà dalle monarchie dell’Ottocento e dalle dittature del Novecento, per non parlare delle religioni. Tra le oppressioni della libertà non ci sono solo il fascismo e il nazismo, ma anche il comunismo, il clericalismo, l’Iran, il Tibet, Cuba, oltre ad innumerevoli altre che conosciamo e altre di cui non sappiamo nulla. E non c’è dubbio che ancora oggi questi ostacoli siano enormi, sebbene meno appariscenti e quindi più subdoli che nel passato.

Ai nostri giorni e dalle nostre parti, probabilmente, l’etica che pretende di proteggere i popoli dagli individui “cattivi” resta molto attuale perché passa per “sociale”. E il sociale è di moda, anche se qualcuno sembra usarlo solo come appoggio alla propria carriera. In più, quest’etica fornisce argomenti per demonizzare gli avversari politici: Pierluigi Battista, nel suo fondo del 14 giugno sul Corriere della Sera, ha ricordato come la stessa sinistra che oggi dice “intercettateci tutti”, qualche anno fa vedesse lo strapotere dei magistrati come una minaccia di Stato contro la libertà dell’in­dividuo. D’altra parte l’idea “intercettateci tutti” vuol significare che siamo così trasparenti e onesti da non avere nulla da nascondere: mentre, invece, tutti abbiamo qualcosa da nascondere, magari remoto, magari inconscio, magari inconfessato anche a noi stessi, ma sicuramente da nascondere. E, quel che è peggio, vuol significare che “gli altri”, ossia quelli “che non sono come noi”, inclusi i nostri avversari politici, sono un branco di disonesti anche se sono la maggior parte dell’u­manità. Tutto questo rende difficile stabilire quanto si tratti di un’etica e quanto di un’i­pocrisia, così come è difficile stabilirlo verso chi pretende una libertà piena a tutti i costi: libertà di potere, di fare i propri comodi contro tutti e, perché no, magari di delinquere.

Pierluigi Battista

A questo punto sembra giusto trarre qualche conclusione razionale, indipendente dai nostri condizionamenti e della nostra fede.

E, razionalmente, sembra ovvio che la società debba difendersi dall’abuso di libertà dei suoi membri, perché di questo si tratta. Così come è ovvio che i vari modi d’investigare, a cui ci hanno abituati i telefilm polizieschi, siano tutti concettualmente identici: ragione per cui, ben vengano i mezzi elettronici, le intercettazioni telefoniche, le telecamere a circuito chiuso, le “cimici” e quant’altro. Anche se porre sotto controllo i telefoni di un individuo per diversi mesi, sperando che presto o tardi costui si tradisca con qualcosa d’interessante, non sembra avere molto a che fare con un’investigazione mirata. Ma questi sono problemi dell’investigatore.

D’altra parte, sempre razionalmente, è inaccettabile che la società, per difendersi dall’abuso di libertà di qualcuno dei suoi membri, calpesti la libertà di qualcun altro. A meno di chiamarsi Hitler, Stalin, Mussolini o Castro. Quindi bisogna impedire che, investigando e quindi occupandosi dei fatti altrui per professione, qualcuno sconfini su chi non c’entra nulla, su chi non ha fatto nulla di male, magari gettandolo in pasto all’opinione pubblica come se fosse un pericoloso delinquente o, peggio, come un ignorante deficiente: è successo innumerevoli volte.

E’ questa l’unica etica da rispettare razionalmente, in una democrazia occidentale: non a caso esiste il segreto istruttorio. E questa è anche l’unica etica possibile in una civiltà che pretende di essere la culla dell’amore cristiano: perché questa è solo l’etica del rispetto per l’individuo.

L’etica del rispetto per l’individuo significa solo che nessuno può approfittare del proprio diritto alla libertà professionale per sputtanare qualcuno, mettendolo alla berlina per i propri difetti. Ossia, nessuna libertà di stampa, di divulgazione e di pettegolezzo può essere prevalente rispetto alla libertà individuale, privata, personale di chiunque, alla sua libertà di essere, di pensare e perfino di parlare al telefono dicendo parolacce.

Il giornalista che mette per iscritto la propria costernazione per le volgarità telefoniche di certi intellettuali e di certi politici intercettati di nascosto è un ipocrita che può fingere di essere al di sopra di queste miserie perché, tanto, non rischia di essere sputtanato a sua volta: anche se nessuno crede davvero che lui le parolacce non le dica.

Il giornalista che pubblica intercettazioni telefoniche senza eliminare la parte relativa agli intrusi che non c’entrano – in un periodo di esaltazione della “privacy”, che vede le televisioni oscurare le facce di chi non vuole essere riconosciuto – al meglio è uno che non si degna di dare un’occhiata alla trascrizione ricevuta, perché non si cura del danno che fa.

E questa trascuratezza è, ancora, mancanza di rispetto per l’individuo: altro che amore cristiano.

Ma non basta. Perché, razionalmente, va notato che di rado questi comportamenti sono stati deplorati da chi aveva il potere di farlo: le indignazioni sono venute fuori solo quando sono arrivate le proposte di legge restrittive. E, salvo eccezioni, non sono state indignazioni contro gli abusi dei professionisti della comunicazione, ma contro le restrizioni proposte alla loro attività, contro la limitazione della libertà di stampa.

E’ naturale che i professionisti interessati protestino: perché un conto è non aver nulla di cui preoccuparsi se si danneggia qualcuno (tanto, si è sicuri della propria impunità), un conto è rischiare di pagare di persona. Poi, magari, succede che queste leggi esagerino o che contengano errori, non c’è da stupirsi. E magari succede perfino che un governo sia a sua volta accusato di usare il proprio potere per bloccare, nell’interesse di chissà chi, anche informazioni che andrebbero diffuse. Ma il resto sono solo dettagli e tecnicismi.

In ogni caso, se è vero che a monte di tutto ci sono i nostri condizionamenti a credere – fenomeni che appartengono all’inconscio, proprio come la fede che ne consegue: tutte cose difficili da sondare, da comprendere e da gestire – resta il sospetto che a valle esista anche qualcuno che finge di aver fede in qualcosa, solo per trarne vantaggio. Quando è così, non abbiamo più a che fare con un credente ma con un simulatore: e, paradossalmente, in questo modo la situazione può perfino migliorare perché diventa gestibile, perfino razionalmente.

                                                                                                                  

Filippo Bonfiglietti

 

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