In cammino verso la Pasqua

Ermes Ronchi

Scrivere il 19 gennaio 2022 un editoriale che sarà letto a marzo rende l’idea di che cosa s’intenda per “profezia”. Non si tratta di indovinare gli accadimenti futuri (per esempio il/la presidente dei prossimi sette anni con tutto quello che seguirà) ma di dare loro un senso, quali che essi siano.
Il motto dei cistercensi (“stat crux dum volvitur orbis”, la croce resta salda mentre il mondo gira) e l’eterno ritorno delle stagioni dell’anno liturgico sono l’immagine plastica di un modo di vivere il tempo degli avvenimenti senza fretta e senza paura, con la sapienza che “nulla c’è di nuovo sotto il sole”, perché “tutto è vanità”, cioè apparenza. La sostanza, il substrato, è una/o, come il fuoco è uno, anche se le scintille sono miliardi, la vita è una anche se gli atomi sono innumerevoli. Qoelet, Democrito, Socrate, Buddha, Jeoshua, Lucrezio, Francesco, Cervantes non dicono altro. Le religioni, le politiche sono la Babele: non il Male, perché sono la differenza necessaria, ma il Male se rifiutano l’integrazione e pretendono il primato, ciascuna credendosi l’assoluto.
Il superamento di questo assoluto, cioè della pietrificazione della mente e dell’anima, è quanto ci viene chiesto di ricercare nel dinamismo quaresimale, un compito che riguarda tutti, credenti o meno.

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Nell’ambito di fede, come dice fra Ermes Ronchi: “Con la quaresima si entra nel cammino della trasformazione, della evoluzione e il cuore della trasformazione è essere piccoli e fragili dove Dio entra, lo Spirito entra come soffio. Non spaventarsi di questo essere fragili, ma pensare alla Quaresima come trasformazione dalle ceneri alla luce, dal residuo alla pienezza. Io lo vedo un tempo non penitenziale, ma vitale, non tempo di mortificazione, ma di vivificazione. È il tempo del seme dentro la terra. La Quaresima inizia sempre in inverno, che è l’ultima delle stagioni, un po’ la cenere dell’anno, e termina sempre in primavera. Questa sapienza della natura – il creato è la prima parola di Dio – ci fa guardare alla primavera che non si spaventa di nessun inverno, Dio non si spaventa da nessuna cenere in cui io sono seduto o che sono ridotto a diventare…
È un tempo di potatura perché abbiamo fatica, qualcuno ha perso delle persone care, la nostra vita viene alle volte aggredita. Però io penso alla potatura delle piante: i giardinieri potano gli alberi non per penitenza, ma perché ritrovino l’energia di primavera, li riportano all’essenziale. Ecco, viviamo un tempo che ci può riportare all’essenziale, riscoprendo ciò che è permanente nelle nostre vite, da ciò che è effimero. Quindi è un dono questo tempo per dare più frutto, non per castigare ma per rendere fecondi. Questa per me è la speranza… Un virus non cambia il cuore dell’uomo, non cambia la profondità delle persone. Penso che noi abbiamo due strumenti maggiori per avere una Pasqua di fraternità: la carità e il perdono.
La carità è il prenderci cura, e la cura si nutre di tenerezza verso l’altro; il perdono è quello che libera il futuro delle persone, non tanto libera il passato. Penso che il perdono, da cogliere e da offrire, sia qualcosa da chiedere al Signore. Vuol dire liberazione, nel Vangelo è usato il verbo della nave che salpa, della carovana che parte al levare del sole, dell’uccello che spicca il volo, della freccia che scocca.
È vero che è una Pasqua di fragili, questa, di molti crocifissi, ma quello che a me è chiesto è il segno della carità. Gesù è venuto a portare questa rivoluzione della tenerezza e la rivoluzione del perdono senza misura. Queste due cose costruiscono la fraternità universale”.
Il cammino quaresimale di trasformazione quest’anno siamo chiamati a viverlo nello spirito del percorso sinodale proposto da papa Francesco all’intera comunità ecclesiale. Una sfida, quella del sinodo, che ci pone dinanzi senza mezzi termini la dimensione dell’ascolto.
Una dimensione che ci viene ricordata in modo particolare da un episodio evangelico nel quale Gesù libera dal demonio la figlia di una donna, della quale non conosciamo il nome, indicata come cananea da Matteo (Mt 15,21- 28) e come siro-fenicia da Marco (Mc 7,24-30), ma caratterizzata da una notevole dimensione spirituale. Questa donna svolge addirittura un’azione di stimolo nei confronti di Gesù.
Gesù, infatti, in un primo momento non aderisce alla sua implorazione, ponendo in rilievo che la sua missione era in primo luogo rivolta ai figli d’Israele, e che il pane destinato ai figli non poteva essere dato ai cagnolini. Ma in questo scenario assume un grande rilievo la figura di questa donna, che stimola Gesù a prendere coscienza della dimensione universale della sua missione. In qualche modo la donna, per altro straniera, con la sua sapiente replica alla similitudine fatta da Gesù sul pane dei figli gettato ai cagnolini, ricorda molto anche Maria con il suo l’intervento nei confronti di Gesù in occasione delle nozze di Cana. Gesù, alla fine, riconosce la fede della donna e opera la guarigione implorata. Dalle pagine evangeliche più volte ci vengono mostrate figure femminili che sanno intuire con grande immediatezza e spirito profetico la luce della fede, semmai in momenti in cui i discepoli maschi e giudei sono un po’ impigriti.

E allora è forse il caso di immedesimarci nei cagnolini, richiamati da questa donna straniera, ricordando di essere solo dei fallibili cercatori e servitori della verità, che solo in Cristo è piena. Della verità proposta da Gesù, noi suoi seguaci siamo capaci di raccoglierne solo delle briciole, proprio come i cagnolini. Il nostro sforzo dovrà essere allora quello di trasformare queste briciole in autentici talenti da far fruttare nella vita quotidiana, nel confronto con le donne e gli uomini più diversi, cercando di scoprire, nello sforzo d’interpretare in stile sinodale i “segni dei tempi”, nuovi doni della fede che prima non siamo riusciti a cogliere.
Se Gesù ha saputo ascoltare e ha saputo farsi ispirare da una donna, per giunta straniera, anche noi come persone e comunità ecclesiale dobbiamo imparare ad ascoltare chi vive ai margini. È una sfida impegnativa, difficile, ma è la strada che ci mostra costantemente Gesù, che ci ha mostrato la centralità del guardare ai piccoli, agli umili, ai miseri.
Proprio da chi sta ai margini possono venire mostrati nuovi e inediti itinerari per incarnare più pienamente la fede.
Nelle settimane della Quaresima allora, avvicinandoci alla luce della Pasqua, di fronte alle sfide inedite a cui è chiamata l’umanità di oggi, ascoltando gli ultimi e i deboli, dai quali lo stesso Gesù non ha esitato a lasciarsi ispirare, possiamo trovare il modo migliore per purificare e rendere più feconda la nostra esperienza di fede.
(da Tempi di Fraternità)

Donne e uomini in ricerca e confronto comunitario

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