IL 25 LUGLIO 1943

NON DIMENTICARE IL 25 LUGLIO 1943
UN GIORNO FONDAMENTALE PER LA STORIA D’ITALIA

 NON DIMENTICARE IL 25 LUGLIO 1943

UN GIORNO FONDAMENTALE PER LA STORIA D’ITALIA
 

Tra pochi giorni ricorrerà il sessantottesimo anniversario della caduta del fascismo.

Nella notte tra il 25 ed il 26 Luglio 1943, infatti, il Gran Consiglio del Fascismo votò un ordine del giorno contrario a Mussolini, invocando sostanzialmente il “ritorno allo Statuto”.

I fatti di quei giorni sono ben noti e non è certo questa la sede per rievocarli.

L’occasione però può essere colta per un esercizio, quella della memoria, salutare in particolare in quella occasione.

Si aprì, infatti, la fase della più grande tragedia vissuta dall’Italia nella sua storia dell’Unità ad oggi: una tragedia dalla quale il popolo italiano seppe uscire attraverso lutti, sacrifici, una sanguinosa lotta di Resistenza dalla quale ebbero origine la Repubblica e la Costituzione.

La memoria di quel tempo deve essere conservata nella sua interezza, perché troppo forte, in questi tempi difficili, appare la spinta di un inopinato revisionismo: in questi ultimi mesi sono stati sviluppati due  tentativi di distorcere la realtà di quei fatti.

E’ stato proposto di abolire la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Repubblicana che sancisce il divieto di ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e si è tentato anche (per l’ennesima volta attraverso la proposta di legge “Fontana”) di equiparare dal punto di vista storico e giuridico i combattenti per la libertà con chi invece, tradendo, si era alleato con l’invasore nazista.

La conservazione della memoria quindi è operazione utile, necessaria, sacrosanta.

In questa occasione riproponiamo, sintetizzandola, una analisi che riteniamo indispensabile mantenere sotto l’attenzione di tutti, cercando di riepilogare quante accadde proprio nei giorni immediatamente successivi alla caduta del fascismo fino all’altra data fatale dell’8 Settembre dello stesso anno, con l’armistizio, la fuga della casa regnante al Sud, l’abbandono dell’esercito da parte dei generali, il principio dell’invasione tedesca.

Quei fatti no possono essere semplicisticamente ricordati attraverso quella che generalmente viene ricordata come “una congiura di palazzo”.

Appare importante, proprio in questa fase di vero e proprio “sfrangiamento” del nostro sistema politico, valutare anche i fatti di quel giorno fatidico alla luce di quanto accaduto nei successivi fondamentali passaggi dell’8 Settembre 1943 e del 25 Aprile 1945 sotto l’aspetto del dibattito e delle relative scelte che si svilupparono e furono adottate in funzione della costruzione/ricostruzione della democrazia in Italia.

La democrazia moderna non è una forma spontanea di organizzazione della società, ma il frutto di una conquista: anche in America dove è nata come “sacro esperimento”, il suo percorso è stato accidentato ed irto di ostacoli.

Quando poi il processo di costruzione della democrazia si interrompe o si spezza, il ritorno alla democrazia è una conquista ancora più ardua: in Italia le difficoltà della ricostruzione democratica, dopo il fascismo, si sono innestate su un processo storico verso la democrazia che, già, prima del fascismo appariva fragile ed incerto.

Non si deve perciò immaginare la rinascita democratica in Italia, nel secondo dopoguerra, come liberazione di un corpo estraneo o come ritorno ad una scontata fisiologia democratica.

Per entrare in questa prospettiva critica è necessario accennare ad alcuni fra i tanti elementi della eredità del passato che condizionarono la rinascita democratica: una incertezza, anzitutto, nella classe politica antifascista, sulla stessa idea di democrazia legata alle diverse premesse ideologiche e alla diverse letture della storia del Paese; una ancor più profonda incertezza su quello che potremmo definire uno statuto democratico dei partiti politici; infine il complesso e contraddittorio vissuto degli italiani.

Rientrarono così in scena i partiti politici che, fino a quel momento, avevano vissuto tra esilio e lotta interna le vicende di una difficile sopravvivenza, ma non erano disposti a ripartire dal passato, al di là delle polemiche sulla consistenza del fascismo, dell’antifascismo e dell’afascismo.

Il quadro di ripresa dei partiti aveva già assunto una precisa consistenza nel 1942.

Vale la pena, allora, ripercorrere alcune tappe di questa ripresa, perché vi si intravvedono già le caratteristiche salienti del futuro sistema dei partiti, nel dopoguerra.

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Il Partito Comunista fu il primo a riprendere l’attività organizzativa, di cui fu responsabile inizialmente Umberto Massola, giunto in Italia nell’Agosto del 1941 e che già nell’autunno dello stesso anno, riuscì a far uscire le prime pubblicazioni clandestine: “La Lettera di Spartaco” e il “Grido di Spartaco”, cui seguì nel Luglio del 1942, il primo numero dell’Unità.

Fu soltanto nell’autunno – inverno 1942-43 che il PCI riuscì, da un lato, a ricostituire una vera e propria rete organizzativa nelle fabbriche del Nord, e dall’altro lato a prendere contatto con i gruppi che, successivamente, avrebbero dato vita alla DC e al PLI, per avviare una politica di solidarietà interclassista, basata sul duplice obiettivo di rovesciare il regime fascista e di far uscire l’Italia dalla guerra.

Gli scioperi a Torino e in Piemonte e quelli, più limitati di Milano nel Marzo 1943, pur essendo originati dalla situazione economica, rappresentarono comunque un primo risultato dell’azione del PCI, innestandosi anche sul crescente disagio provocato dal profilarsi evidente della sconfitta bellica.

Il partito socialista si ricostituì, a  sua volta, a partire dal 1942, in un modo che appariva già policentrico e frammentato.

I socialisti di orientamento riformista  (Simonini, Vernocchi, Perotti) cominciarono a riunirsi a casa di un dirigente degli anni’20, Giuseppe Romita.

Attorno a Lelio Basso, giovane socialista degli anni’20, avvocato sorvegliato durante il fascismo, studioso di Lenin, Trockij, Rosa Luxemburg si costituì a Milano il Movimento di Unità Proletaria (MUP) con gli ex-comunisti Corrado Bonfantini e Carlo Andreoni, collegati con un gruppo romano per lo più proveniente dai GUF (Zagari, Vecchietti, Corona, Vassalli).

Con il gruppo di Romita presero contatto Nenni, appena liberato dal confino e i reduci dall’esilio dopo il 25 Luglio: e fu dalla fusione di tutti questi gruppi che sorse, nell’agosto del 1943, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP): segretario Nenni, vicesegretari Pertini ed Andreoni.

Il Partito d’Azione può essere considerato costituito dal Luglio del 1942, allorché furono approvati 7 punti programmatici attorno ai quali si raccolsero personalità di varia formazione, diversamente collegati tra loro tra studi di avvocato, uffici studi delle grandi banche e delle grandi imprese (Banca Commerciale, Edison), case editrici. Tra essi: Parri, La Malfa, Riccardo Lombardi, Bobbio, Enriques Agnoletti, Codignola.

All’inizio del 1943 il Partito d’Azione fece uscire “L’Italia Libera”, secondo giornale clandestino dopo “L’Unità”; dopo il 25 Luglio entrarono in contatto con questo gruppo Emilio Lussu ed altri reduci dall’esilio o dal confino, ed a Firenze il 5/6 Settembre 1943 ebbe luogo quello che deve essere considerato come il primo convegno nazionale del Partito d’Azione.

Il Partito Repubblicano si ricostituì dopo il 25 Luglio soprattutto per impulso di Giovanni Conti ed il 1 Agosto 1943 uscì il primo numero della “Voce Repubblicana”.

Pure dopo il 25 Luglio si riformò anche il partito liberale, sotto la prestigiosa presidenza di Benedetto Croce.

I primi contatti di De Gasperi con Malvestiti e i suoi amici (quasi tutti avvocati: Malavasi, Clerici, Marazza, Migliori, oltre al sindacalista Achille Grandi ma anche, a pegno di interclassismo, l’industriale Enrico Falck) si svilupparono fin dal 1941, ma i propositi di costituire un partito vanno fatto risalire al febbraio 1942, allorquando furono effettuati passi concreti in questa direzione, nell’occasione di convegni di ex-studenti cattolici.

Giovanni Gronchi, il sindacalista Gioacchino Querello e i loro amici organizzarono una riunione al Colle di Superga, il 28 settembre 1942, che si presentò come convegno di ex alunni delle scuole salesiane.
La decisione di costituire un partito che si sarebbe chiamato DC fu praticamente adottata a Roma, nel Gennaio 1943, in occasione del congresso dei laureati cattolici.

Così, tra il 25 Luglio e l’8 Settembre 1942, il quadro dei partiti politici italiani appare chiaramente definito.: ne esistono già sette, ma due hanno già un peso specifico diverso.

Il PCI  e la DC possono, infatti, contare su una classe politica relativamente omogenea, in migliori di quadri intermedi (provenienti, rispettivamente dal confino e dal mondo cattolico) attorno ai quali si strutturò una rete organizzativa a base prevalentemente di fabbrica (il PCI) e prevalentemente territoriale (la DC), che stabilizzò il consenso.

Il terzo partito di massa (il PSIUP) disponeva di una classe politica (sia pure meno omogenea), ma non di migliaia di quadri intermedi, per cui non poté radicare il consenso potenziale di cui pure poteva godere in partenza.

In sostanza, già nell’estate del 1943, di tutti gli elementi basilari per un autentico partito (classe politica, organizzazione, consenso) erano a disporne soltanto la DC e il PCI; il PSIUP ne aveva due (classe politica e consenso), il Partito d’Azione uno solo (la classe politica); gli altri non ne avevano nessuno.
La fase di riorganizzazione impedì ai partiti di avere influenza sugli avvenimenti che portarono al colpo di Stato del 25 Luglio, mentre il PCI, cresciuto numericamente in maniera molto rilevante a seguito degli scioperi del ’43, compì uno sforzo organizzativo molto importante nei giorni immediatamente successivi al 25 Luglio per organizzare le masse in manifestazioni di ostilità verso il passato regime e la richiesta di un immediato passaggio dei poteri dal punto di vista della realtà istituzionale.

Il ruolo dei partiti risultò, invece, assolutamente decisivo subito dopo l’8 Settembre, e per questo fatto il loro processo di ricostituzione va considerato fondamentale per lo sviluppo dei fatti storici dell’epoca e per affermare, senza alcun dubbio, dove si andasse a collocarsi la continuità dell’unità nazionale, rispetto alla successiva formazione della Repubblica Sociale Italiana.

La trasformazione del comitato dei partiti antifascisti in Comitato di Liberazione Nazionale, avvenuta fin dal 9 Settembre a Roma, collocò subito la Resistenza come secondo Risorgimento approvando fin dal giorno 10 Settembre una mozione costituiva di grande importanza politica.

Vi si legge: “ Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare a Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”.

Se la lotta armata di Resistenza all’invasione nazista nacque su questa base di principi nazionali, la situazione politica nel CLN (al quale non aderì il PRI per l’intransigenza sulla questione istituzionale) fu sinteticamente espressa da queste parole di Emilio Lussu: “Il CLN sarà presieduto da un indipendente dai partiti politici, ma composto dai rappresentanti dei 6 partiti”.

Questa distribuzione partitica simboleggiò la diversità dei processi sociali che tra la fine del 1943 e l’inizio del 1945 si svilupparono nell’Italia del Nord e in quella del Sud .

Riprendiamo, allora, scorso rapidamente questo passaggio sulla ricostituzione dei partiti, il discorso di carattere generale ponendo l’interrogativo di fondo: quale idea della democrazia (e delle sue origini, in Italia) aveva la classe politica dopo la caduta del fascismo?

E ancora. Per i loro effetti politici i due giudizi, sul liberalismo e sul fascismo, erano per certi aspetti uno solo: la democrazia italiana che rinasceva dopo il fascismo riprendeva un cammino interrotto proprio dallo stesso fascismo e si presentava, quindi, in linea di continuità con lo Stato Liberale o ci si sarebbe dovuti avviare verso una strada del tutto nuova? Il fascismo aveva segnato una totale rottura rispetto alla storia precedente o non aveva nella storia dello stato liberale le sue radici?

Si svilupparono, nel corso della fase storica cui ci stiamo riferendo, risposte diverse: la posizione liberale, rappresentata da Benedetto Croce e quella azionista, che si opposero tra di loro ma, per certi aspetti, finirono entrambe con il rimanere interne ad una stessa concezione della politica che era quella degli eredi del Risorgimento nelle sue due componenti: la moderata e la democratica.

Si manifestò così un doppio cleavage fra le forze politiche italiane; vi si trovava, certo, una discriminante sul tema della libertà e del suo rapporto con la democrazia e sui contenuti della democrazia stessa, se solo formali o anche sostanziali; ma vi trovava anche un’altra e più profonda  contrapposizione che riguardava, per così, dire i “protagonisti” della democrazia e il ruolo, rispettivamente, dei gruppi di élite legati alla tradizione del Risorgimento e dei partiti che rappresentavano le realtà popolari.

Il problema della democrazia si intrecciava, subito all’indomani del 25 Luglio, con quello dei soggetti politici della democrazia e del ruolo dei partiti.

L’affermazione dei partiti popolari come protagonisti primari della ricostruzione democratica fu il frutto di un processo lungo e per molti aspetti sotterraneo che emerse poi, con forza, ne corso del secondo dopoguerra.

Alle fine del 1944 il Partito d’Azione in una lettera ai partiti del CLN aveva sollecitato una ridefinizione del compito del CLN stesso, al di là dei limiti imposti dal compromesso di Salerno; la proposta aveva avuto una fredda accoglienza non solo dalla DC, ma anche dagli altri partiti.

La disputa, in ogni caso, era stata troncata dall’accordo raggiunto fra i rappresentanti del CLN Alta Italia e i rappresentanti del comando alleato – o più esattamente dalle condizioni imposte da questi ultimi – secondo il quale il  Comitato poteva agire soltanto in rappresentanza del Governo del Sud e ad esso avrebbe riconsegnato tutti i suoi poteri a liberazione avvenuta.

La continuità dello Stato sulla base dell’accordo di Salerno era stata confermata e un mutamento degli equilibri istituzionali e politici era stato rinviato ad una volontà popolare espressa in libere elezioni.

In quel dibattito si era confrontata, in sostanza, la proposta azionista di una guida giacobina della ricostruzione democratica con quella di una continuità formale entro la quale i partiti popolari avrebbero potuto esprimere le loro future potenzialità.

Ma in quella discussione il ruolo dei partiti non era stato esplicitamente posto in rilievo, e non lo sarà nei mesi successivi.

In definitiva i partiti popolari assunsero un ruolo centrale nella ricostruzione democratica senza che di questa decisa innovazione non vi fosse neppure esplicita coscienza.

I partiti si sarebbero affermati in ragione di una necessità storica più forte di qualsiasi consapevolezza critica, attraverso la stagione delle grandi formazioni di massa, capaci di condurre attraverso un forte radicamento sociale, un lavoro capillare di insediamento della democrazia nel Paese: la scelta del “Partito Nuovo” compiuta da Togliatti fu, in questo senso, del tutto fondamentale per la conformazione dell’intero sistema.

Si tratta di un altro elemento dell’eredità del passato sul quale giova riflettere.

Così come, per meglio comprendere quella fase storica cercando di trarne anche un insegnamento per l’oggi, va sottolineato un ulteriore aspetto: quello della grande diversità delle esperienze vissute dagli italiani negli anni della guerra e, poi, del dopoguerra, e sull’influenza che questa diversità di esperienze ha avuto sugli sviluppi della politica nazionale.

Nell’assoluta centralità del ruolo avuto dalla Resistenza nella costruzione del nuovo processo democratico italiano, soprattutto sul piano morale, non si può dimenticare quanto le radici della democrazia, non solo a livello di idee e di cultura politica della classi dirigenti, ma anche della sensibilità popolare fossero fragili ed incerte.

Già Federico Chabod ,nelle sue lezioni alla Sorbona nel 1950, aveva posto in luce l’esistenza di “tre Italie” i cui confini erano stati segnati dallo svolgimento delle operazioni militari: al Sud, al Centro e al Nord.

Ebbe, fu con questa Italia, con le sue contraddizioni e le sue arretratezze, che la rinascita democratica, avviata il 25 Luglio 1943, dovette misurarsi.

Il problema per l’Italia, al momento della rinascita democratica era dunque quello di saldare antifascismo e democrazia.

Era un problema culturale ma anche e soprattutto un problema politico, che investiva in profondità come si è visto tutte le forze rappresentative delle realtà popolari e che non poteva essere risolto se non nel quadro della collaborazione nata dalla lotta stessa contro il fascismo.

Nessuna comprensione e valutazione storica del processo di ricostruzione democratica è possibile se non si tiene conto del punto di partenze e di una pesante eredità del passato.

La lezione di allora vale per l’oggi: dalla democrazia dei partiti che sortì – nel bene e nel male – proprio dalla collaborazione antifascista, implosa tra il 1989 ed il 1992 per cause diverse che qui non ci è possibile richiamare, l’Italia si è avviata per una lunga fase di transizione il cui esito non  appare essere ancor oggi definito.

Appare in crisi, infatti, il tentativo di instaurare un regime personalistico, populistico, di sostanziale limitazione del complesso delle libertà democratiche basato sull’attacco alla Costituzione, in particolare nel suo definire l’Italia come un repubblica parlamentare.

La crisi economica attanagli i settori più deboli colpiti dalla disoccupazione, dal diminuirsi delle garanzie sociali, dalle grandi difficoltà in cui versano tutte le istanze di soddisfacimento dei bisogni collettivi, dalla sanità alla scuola, dall’emergere di una profonda sfiducia nelle istituzioni e nelle possibilità concrete dell’agire politico.

A questo punto  riproporre la nostra storia, come abbiamo cercato di fare in  questa occasione descrivendo ciò che avvenne (sia pure in forma molto sommaria) tra il 25 Luglio 1943 ed il 25 Aprile 1945, potrebbe rappresentare anche un utile contributo di riflessione per aprire la pagina di una rinnovata democrazia italiana.

Savona, 13 Luglio 2011                  Franco Astengo

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