I partiti sono morti ma io sono viva

I partiti sono morti ma io sono viva
Le vette sublimi della furbizia italica

I partiti sono morti ma io sono viva
Le vette sublimi della furbizia italica

 Leggo la risposta dell’onorevole transfuga da Forza Italia al giornalista che le faceva notare la sua capriola, la seconda dopo la militanza in Alleanza nazionale, scalata attraverso il sindacatino farlocco della cosiddetta destra (l’Ugl, per la cronaca). I politologi parlano di partiti liquidi che scivolano da una parte all’altra, la signora va oltre: “i partiti sono morti e io sono viva”. Viva, sicuramente, e con un grande appetito. 


C’è però da chiederle com’è che è approdata in parlamento se non a bordo proprio di un partito. Che forse la signora considerava un taxi scesa dal quale si sente libera di muoversi a suo piacimento nella galassia della politica senza vincoli di sorta, senza dover rendere conto a nessuno e senza dover pagare la corsa. A chi deve rispondere questa rappresentante del popolo? Non ai suoi elettori perché lei non ha mai avuto elettori: il suo elettore è il partito che le ha fornito una posizione sicura in lista ed è il partito, non lei, che ha preso i voti. Ma il partito, dice lei, è morto, quindi la signora è tenuta a rispondere solo a se stessa. Perfetto. A questo siamo arrivati per non aver saputo o voluto imporre il vincolo di mandato, che impedisce la compravendita degli onorevoli, senza che ci si sia preoccupati di garantire la rappresentatività degli eletti, che il sistema delle preferenze non assicura per niente. Perché si può anche essere d’accordo che senatori e deputati non debbano essere ridotti a numeri in mano al partito che li ha fatti eleggere ma bisognerà pure che a qualcuno lorsignori rispondano per quello che fanno nel tempio della democrazia e non dopo, quando è troppo tardi, alle elezioni successive. 


Quantomeno il rappresentante del popolo per la sua fellonia deve poter avvertire su di sé il giudizio dei suoi elettori, ma perché questo si verifichi deve risultare chiaro chi sono i suoi elettori e ne deve sentire il fiato sul collo. Fino agli anni Ottanta, con tutto il male che si può dire della prima repubblica, almeno in parte era così. Si sarebbe dovuto proseguire sulla strada del rafforzamento del legame fra politica e territorio, che, in modi diversi e anche discutibili, comunisti e democristiani avevano saputo realizzare. Invece si è imboccata la strada opposta: chi vota non sa niente della persona a cui ha dato il proprio voto e chi l’ha ricevuto una volta cambiati status, ambiente, frequentazioni, stile di vita è già tanto se non lascia la provincia per avvicinarsi ai salotti che contano. E non è questo l’unico inconveniente. Per incarichi di ben minore responsabilità ci si deve mettere a nudo, senza un curriculum dettagliato non si assume nemmeno la donna delle pulizie. 


Sarebbe il caso che ci mettessero in grado di conoscere non solo l’età o il luogo di nascita dei candidati, come accade ora, ma il loro percorso di studi, le loro esperienze lavorative, le loro competenze, le ragioni del loro impegno in politica. Si dirà: la selezione, e la preparazione, avveniva nei partiti e il disastro è avvenuto coi Cinquestelle che partito non sono e hanno mandato nel parlamento nazionale e in quello europeo un esercito di sconosciuti senz’arte né parte. Non voglio dare addosso ai grillini, che è come sparare sulla Croce rossa; la degenerazione del sistema risale a decine di anni fa e, mi dispiace riconoscerlo, coincide con l’avvento del berlusconismo. A Berlusconi riconosco il merito di aver rotto le uova nel paniere dei compagni proiettati all’assalto del palazzo, di aver restituito all’Italia il ruolo di grande potenza, di aver costituito un asse con Bush e Blair egemone nello scacchiere mondiale, di essere stato decisivo nel ricomporre le relazioni fra Stati Uniti e Russia e di aver affrontato con decisione ed efficacia emergenze come quella dei rifiuti e del terremoto. Ma è anche vero che spesso Berlusconi ha badato a se stesso e alle proprie aziende piuttosto che al Paese e ha privilegiato la spettacolarizzazione rispetto alla sostanza dei provvedimenti ed è purtroppo vero che non solo ha confuso il proprio interesse con l’interesse pubblico ma ha scambiato la propria corte per il centro della democrazia. Guzzanti, se non ricordo male, parlò di pornocrazia e se si pensa che una escort stava per essere piazzata nel consiglio regionale in Puglia, tanto per far pari con l’avvenente igienista dentale in Lombardia, è difficile dargli torto. Ora accade che la p.r delle discoteche romane, grande amica della Pascale, assurta al ruolo di portavoce del capo, si è sfilata dal partito e dall’uomo che non hanno più niente da offrirle ed è andata a puntellare il traballante tavolo della non-maggioranza. Ci si deve sorprendere?


Mi spiacerebbe essere frainteso: non intendo affatto riservare la politica a uomini e donne laureati col massimo dei voti, a professionisti affermati o a portatori di grandi idee e sublimi ideali, né mi passa per la testa l’idea che i candidati debbano essere sottoposti al vaglio per le loro private abitudini o la loro privata moralità (per l’onesta sì). Vorrei semplicemente che i cittadini potessero esprimere il loro voto consapevolmente affidandolo a persone visibili, che si presentano al loro cospetto e che, quel che più conta, sono espressione della loro comunità.

In tanti hanno denunciato il notturno mercato delle vacche. Come hanno risposto i mercanti? Rigettando con sdegno l’accusa? Nemmeno per sogno: hanno con la massima disinvoltura trasferito il mercato alla luce del sole, l’hanno esplicitamente riconosciuto e legittimato e ne hanno fatto partecipe e consenziente il capo dello stato.


 Più chiaro – e spudorato – di così Franceschini, e con lui ovviamente Conte, non avrebbe potuto essere. L’uno e l’altro si sono impegnati a continuare alacremente la ricerca garantendo al Colle che in corso d’opera la maggioranza si rinfoltirà per una sicura navigazione. Quello che sconcerta è che il piddino e il cicisbeo possano impunemente ammantare questa operazione come un arricchimento politico e si riferiscano agli (alle) scalzacani che hanno imbarcato come “forze politiche”. Non singoli individui rappresentanti di se stessi ma “forze politiche”!  E il custode della costituzione, l’arbitro e garante del nostro ordinamento democratico, avalla questa truffa semantica? Il governo si regge sulla fiducia conquistata con l’innesto della forza politica della signora Rossi, del signor Causin – anche lui ha sentenziato che i partiti sono morti e lui per fortuna è ancora vivo, lui che i partiti li ha girati quasi tutti ma è rimasto incrollabilmente fedele a se stesso – e dei signori Nencini, segretario e unico iscritto del partito che fu già di Craxi (e di Nenni, nonché di Mussolini) e Ciampolillo, il folkloristico ambientalista buttato fuori dai Cinquestelle perché non voleva rinunciare nemmeno a un centesimo dei 12.500 euro netti con cui lo ripaghiamo dei suoi servigi allo Stato.  L’ultimo dei mohicani e il figliuol prodigo hanno aspettato di vedere come andavano le cose per essere sicuri che il loro voto sarebbe stato determinante e, par conséquent, di maggiore valore. Non sorprende lo zelo della nuova Montalcini e degli altri beneficiati da Mattarella. Sono queste le forze politiche che hanno riqualificato la maggioranza e risposto all’appello di Conte e di Mattarella. Contenti loro.


Tanta è la voglia di veder metaforicamente rotolare la testa del cicisbeo e dei suoi compari che sembra realistico uno scenario che vede Renzi trasformato in un politico avveduto e pensoso dell’interesse nazionale. Se avesse scelto di negare la fiducia invece di assentarsi (non astenersi) probabilmente, presi dal panico, i parlamentari forzisti compatti avrebbero seguito l’esempio dei due voltagabbana per salvare la legislatura. In questo modo invece ha tenuto in piedi maggioranza e governo ma in qualunque momento se lui e i suoi si uniscono al centrodestra in un voto di sfiducia Conte non ha scampo. E questo può significare due cose, delle quali una conferma l’inaffidabilità e la mancanza di scrupoli dell’uomo di Rignano, l’altra lo solleva al rango di statista e difensore, lui sì, del nostro ordinamento. La prima è semplice: Italia viva ha perso due ministeri e un sottosegretariato ma è una spada di Damocle sul governo e può ottenere tutto quello che vuole quando ci sarà da spartire la torta del Recovery Fund. La seconda, più nobile ma un po’ più complicata: Italia viva si federa con Forza Italia, con la quale condivide quasi tutto, e con essa entra nella coalizione di centrodestra che stempera la posizione antieuropea purché i renziani condividano il ritorno ai decreti sicurezza e la difesa dei confini. Non è fantapolitica, è probabilmente ciò che vogliono quanti avvertono il pericolo che corre il Paese nelle mani di Conte (ceti produttivi e ciò che resta dei grandi gruppi finanziari e industriali nazionali); non è un caso se il cerino della difesa a oltranza dello statu quo è rimasto in mano a Travaglio mentre la grande stampa è ora praticamente allineata con le testate vicine all’opposizione. 


Ma se la grande stampa e gli interessi di cui è espressione si sono sfilati questa è la dimostrazione che non sono loro i poteri forti che hanno fatto cadere la maggioranza gialloverde e tenuto a battesimo l’attuale pateracchio guidato dal cicisbeo. Temo che vadano cercati, oltre che a Bruxelles, fra grembiulini e zucchetti, rossi e bianco. Ma perché il papa non è rimasto ad Avignone!

E intanto la scure della magistratura (e della G. di Finanza) è calata sull’Udc, colpevole di aver fatto mancare la quarta gamba sulla quale contavano Zingaretti Conte e Mattarella per rendere presentabile la nuova maggioranza.

Post scriptum

Sono passati sei anni: nel processo napoletano sulla “operazione Libertà”, Berlusconi si vede confermata la condanna a tre anni di carcere per corruzione. Per chi ha la memoria corta l’operazione Libertà era stata la campagna di reclutamento di parlamentari tra le fila del centrosinistra che portò alla caduta del governo Prodi nel gennaio 2008. Un’operazione identica a quella che stanno conducendo in questi giorni Conte e il Pd d’accordo col Quirinale, anzi sollecitata dal Quirinale. Allora si voleva buttar giù una maggioranza ora si briga per tirarla su, il metodo è lo stesso: se ci fu reato allora c’è reato ora. Dove sono i magistrati?

      Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione  

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