GIUSTIZIA E PARTECIPAZIONE

GIUSTIZIA E PARTECIPAZIONE:

LA MEDIAZIONE COME STRUMENTO

PER LA CRESCITA DELLA COMUNITA’

GIUSTIZIA E PARTECIPAZIONE:
LA MEDIAZIONE COME STRUMENTO
PER LA CRESCITA DELLA COMUNITA’

Una decina di giorni or sono un gruppetto di ragazzi, tutti molto giovani, sono stati filmati nell’atto di danneggiare il palco che si trova nello slargo compreso tra le scuole di via Verdi, i locali della ex circoscrizione di Villapiana e quelli del presidio ASL di zona.

Su fatti come questi è possibile ascoltare una larga gamma di commenti: c’è chi recrimina in anticipo perché non sarà possibile infliggere ai ragazzi una adeguata punizione, chi invece punta il dito verso le famiglie accusandole di scarso impegno, chi chiude l’incidente con una battuta dicendo “son ragazzi”, chi invece se la prende col Comune che non interviene o con i vigili che “non ci sono mai quando servono” e via così di chiacchiera in chiacchiera.

Degli svariati commenti che abbiamo ascoltato su questo evento ci ha colpito in modo particolare quello di un alto dirigente della Polizia Locale che abbiamo avuto modo di incontrare per questioni di lavoro, per lui fatti come questo sono in estrema sintesi indicatori del distacco dei cittadini dal territorio in cui vivono; segnali concreti di quanto poco i cittadini “sentano loro” lo spazio del quartiere, pur passandovi gran parte della loro esistenza.

In questo quadro ci sono i ragazzi che non percependo come loro un certo luogo non si fanno particolari scrupoli nel danneggiarlo, ci sono le loro famiglie che non comprendendo a pieno la gravità di azioni come queste non prendono le dovute iniziative per evitare che i loro figli si comportino come vandali.

Ma ci sono anche i cittadini del quartiere che tendenzialmente si lamentano quando qualcosa a loro dire non va, ma raramente offrono poi all’Istituzione un coadiuvo per l’effettiva gestione di quanto “non va”, “non funziona” o “andrebbe fatto in modo diverso”; in linea di massima, una volta costatato il danno il cittadino si pone in attesa dell’intervento dell’autorità competente tuttalpiù sollecitandolo quando a suo parere tarda troppo nell’intervenire.

L’istituzione in questo periodo di crisi ha però poche risorse a disposizione e difficilmente riesce a reagire con tempi e modi in grado di accontentare i cittadini; sarebbe davvero utile, sottolinea il suddetto dirigente, al fine di assicurare una risposta efficace ed efficiente ai bisogni del quartiere che i cittadini fossero più propensi a intervenire in prima persona. In linea di massima, sempre secondo questo alto ufficiale, i cittadini sono lesti nel giudicare e nel criticare, ma molto meno volenterosi nel rimboccarsi le maniche e diventare operativi; non si contempla, nella maggior parte dei casi, in alcun modo lo sforzo in prima persona per la gestione\preservamento\manutenzione di quanto è bene pubblico, quindi condiviso.

Secondo l’analisi di questo signore l’elemento che accomuna quindi i ragazzi che hanno commesso il fatto, chi ha responsabilità educative verso di loro e il resto della cittadinanza, sarebbe una sostanziale distanza dal territorio dove risiedono, che determinerebbe una scarsa responsabilità percepita rispetto alla conservazione dello stesso.

Dato che lo spazio pubblico non è mio, allora non ho particolari obblighi rispetto la sua conservazione, ma allo stesso tempo, dato che è anche mio, mi riservo la possibilità di lamentarmi e di invocare il rapido intervento delle Istituzioni.

Di fronte alle necessità del quartiere, a cui in questo momento il comune non riesce a rispondere a pieno, mancherebbe la spinta dei cittadini a mettersi in gioco in prima persona, al fine di coadiuvare gli scarsi mezzi di cui oggi dispone la macchina statale.

Un analisi di questo tipo può essere condivisa oppure no, ma di certo offre spunti interessanti per immaginare come si potrebbe rispondere a eventi di danneggiamento come quello accaduto; eventi che a livello giudiziario sono in fin dei conti irrilevanti (gli autori del danneggiamento sono tutti minorenni inoltre il reato è poco più che bagatellare) ma che a livello comunitario possono avere delle ripercussioni profonde aumentando ancor di più lo scollamento dei cittadini dal territorio su cui risiedono.


Da una parte contribuendo a far additare come responsabili del danneggiamento un gruppo di giovani che già in altre occasioni si erano rivelati problematici, rendendo ancora più netta la frattura sociale che probabilmente già li separa da coloro che invece sono i danneggiati; dall’altra aumentando la distanza percepita tra cittadini del quartiere e istituzioni, le quali vengono giudicate non abbastanza pronte nel rispondere alle esigenze della cittadinanza.

La necessità di punire in modo esemplare chi commette il danno\reato diventa secondaria, a nostro personale parere, rispetto all’occasione “educativa” che una gestione improntata alla mediazione del conflitto potrebbe rappresentare per il minore e per la comunità tutta; offrendo l’occasione per realizzare con i ragazzi un processo di riparazione del danno commesso che vada a coinvolgere anche il resto del quartiere e che abbia lo scopo non tanto di punire i colpevoli, ma piuttosto di diffondere trai cittadini un sentimento di appartenenza al quartiere stesso.

Una trasversalità tra istituzione e cittadino nella responsabilità della gestione del territorio, che contempli anche la possibilità di un intervento in prima persona di quest’ultimo, al fianco dell’istituzione, al fine di riparare eventuali danni e mantenere i luoghi dove si vive nelle migliori condizioni possibili.

Con questo non si vuol dire che chi danneggia non andrebbe punito o che dovrebbero essere sempre i soliti quattro o cinque cittadini responsabili a fare tutto; piuttosto si vuole constatare come una maggiore diffusione tra noi cittadini della responsabilità della gestione del territorio che abitiamo, permetterebbe risposte più efficienti ed efficaci ad avvenimenti come quello descritto, pertanto sarebbe consigliabile sfruttare ogni occasione che si presenti per diffondere tale scarto nella percezione dello spazio\bene comune.

Il vulnus creato dai ragazzi diverrebbe così l’espediente per dare avvio a un processo di crescita della comunità tutta, processo che coinvolga in prima persona gli autori del danneggiamento, ma che sia aperto alla partecipazione di coloro che vivono nel quartiere.

La stessa cosa potrebbe essere applicata nei casi di evasione fiscale di piccola entità o di piccoli furti; dando vita a una amministrazione della giustizia partecipata votata allo sviluppo della comunità savonese.

Questo anche per dimostrare come la partecipazione sia un modo di affrontare gli eventi pubblici, una strategia applicabile in una miriade di situazioni differenti; attraverso una formula partecipativa si può decidere come utilizzare una parte del bilancio Comunale (bilancio partecipativo), si può gestire la pulizia di un quartiere e si può anche amministrare, in alcuni casi, la giustizia (tramite la mediazione e la riparazione del danno).

La partecipazione rappresenta uno strumento da utilizzare ogni qual volta si voglia innescare un processo di crescita della comunità, uno strumento che se ben applicato permette di sfruttare per tale scopo qualsiasi tipo di occasione, anche i danneggiamenti provocati da un gruppetto di teppistelli.

Hanno respiro affannato e vita corta, ne abbiamo una testimonianza diretta qui a Savona, quelle iniziative che si prefiggono l’obiettivo di incentivare la “partecipazione” fine a se stessa, aprendo semplicemente spazi di libera espressione per i cittadini; quei progetti che si deliziano, prossimi all’onanismo, nel dare il via libera alla libera espressione del libero cittadino, ma che poi non sanno indirizzare le energie che vanno a smuovere, le quali finiscono immancabilmente col ritorcesi contro di essi e soprattutto contro i loro organizzatori.

ANDREA GUIDO

 

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