GIANRICO CAROFIGLIO, “LE (SUE) STORIE SONO UN PEZZO DI MONDO”

Metto subito le mani avanti, a scanso d’equivoci: il sottoscritto considera Gianrico Carofiglio il miglior autore italiano apparso quantomeno nel XXI secolo, quindi se amate leggere critiche feroci e spietate bocciature, questo articolo non fa per voi.
“L’ho proposto senza successo a vari editori e uno tra i più importanti mi ha risposto picche dopo un lunghissimo silenzio, non sapendo che nel frattempo il romanzo era in libreria da mesi e vendeva bene.” A raccontare ciò, in un articolo pubblicato qualche anno fa in occasione della messa in onda su Canale 5 di una breve serie televisiva tratta dai suoi romanzi – a riprova della cecità delle case editrici italiane, capaci solo a dar fiducia ad attori, cantanti, telegiornalisti, politici, comici e ballerine, cioè a gente già nota altrimenti e in quanto tale in grado di garantire vendite – è appunto Gianrico Carofiglio e sì che all’epoca non era del tutto ignoto. Nato nel 1961, Gianrico si era laureato, infatti, in giurisprudenza per poi diventare sostituto procuratore fino a entrare nel pool antimafia di Bari, sua città natale. È dunque uno che conosce il sistema giudiziario italiano dal suo interno.

Gianrico Carofiglio

Il libro a cui faceva riferimento nell’intervista era “Testimone inconsapevole” (2002, Sellerio editore), uno dei suoi massimi capolavori, best seller da 300.000 copie vendute in Italia solo con la prima edizione e con all’attivo premi letterari e traduzioni in numerose lingue straniere. Era il suo primo romanzo e anche il primo della serie dedicata all’avvocato penalista Guido Guerrieri, in cui il sistema giudiziario italiano viene descritto con credibilità e verosimiglianza senza cercare originalità a tutti i costi. E benché privo di spettacolarizzazioni, tipo miracolosi risultati scientifici alla C.S.I. o brillanti indagini investigative con confessione finale del colpevole alla Perry Mason, la lettura fila alla grande, portando per mano il lettore fino a soluzioni legate prevalentemente all’intelligenza e all’abilità dialettica del protagonista, tenendo sempre conto, nei limiti degli spazi concessi a un’opera narrativa, della spiacevole realtà italiana, fatta anche di pressappochismo e mediocrità, di lungaggini e tortuosità, di corruzione ed esibizione del potere, tutto ciò in processi indiziari affrontati sovente con scarsi mezzi a disposizione.
Fin da questo romanzo la scrittura di Carofiglio è semplice, precisa e incisiva, volta interamente alla prima persona singolare attraverso un io narrante, scelta che favorisce l’approfondimento psicologico del protagonista, uomo intelligente e ricco d’interessi eppure mai auto indulgente e che, anzi, nulla perdona a se stesso a costo di risultare irritante. Con l’unica pecca, forse inevitabile perché dovuta proprio alla tecnica prediletta dall’autore, di finire talvolta per togliere spessore ai comprimari. A ogni modo l’avvocato Guido Guerrieri, “un personaggio meravigliosamente convincente”, come ha giustamente riportato il Times, è una figura davvero a tutto tondo, con le sue speranze e le sue disillusioni, i suoi amori e la sua solitudine, le sue paure e le sue passioni letterarie e musicali a far da contrappunto a ogni giornata.
“Io ero innamorata dell’avvocato Guerrieri, anche la mia amica, e ce lo dividevamo senza gelosie”, mi scrisse anni fa una lettrice, sul defunto sito Neteditor, a commento di un mio racconto noir che omaggiava apertamente uno dei suoi scritti, “Il silenzio dell’onda”.
In “Testimone inconsapevole” Guido Guerrieri è un uomo dedicatosi alla professione legale non per un ideale conseguito con caparbietà, ma quasi per caso. Iscrittosi a giurisprudenza per prendere tempo, in attesa di capire cosa volesse veramente dalla vita, aveva finito per proseguire gli studi fino alla laurea e al successivo esame di stato per pura forza d’inerzia. Lo incontriamo per la prima volta a 38 anni di età, in grave crisi depressiva dopo essere stato abbandonato, per propria colpa, dalla moglie e costretto spesso a trascorrere le notti quasi completamente in bianco.
Mentre tenta di superare la crisi, anche attraverso la riscoperta del pugilato, amato sport della gioventù, fa conoscenza con la nuova vicina di casa Margherita e riceve la visita di una donna, la quale lo incarica di difendere il senegalese Abdou, professore nel suo paese ma venditore ambulante in Italia, accusato del delitto in assoluto più orribile: avere seviziato e ucciso un bambino.
«Leggevo e fumavo e quello che leggevo non mi piaceva per niente. Abdou Thiam era in una brutta situazione. Addirittura più brutta di quanto mi era sembrato leggendo l’ordinanza di custodia cautelare. Sembrava uno di quei processi senza prospettive, nei quali andare a dibattimento significa solo un inutile massacro. (…) L’interrogatorio di Abdou davanti al pubblico ministero era poco meno che catastrofico. Si era svolto di notte, presso la caserma dei carabinieri di Bari, con un difensore d’ufficio. Il verbale era riassuntivo, senza registrazione, senza stenotipia.»
Stop. Ovviamente non vi racconto gli sviluppi, non sono così scriteriato.
Il successo esige un seguito e il secondo romanzo, la cui trama porta cronologicamente avanti la vicenda personale di Guerrieri, è dell’anno successivo. S’intitola “Ad occhi chiusi” (Sellerio, 2003). Si tratta di un crudo racconto, un poco più breve degli altri ma non meno riuscito, di sopraffazione e violenza in ambito familiare, da parte di un uomo protetto da un padre potente che nessuno osa affrontare. Spicca in questa storia la presenza della guerriera Suor Claudia, uno dei suoi più riusciti personaggi di contorno.

Gianrico Carofiglio non è uomo da riposare sugli allori e così, in attesa di proseguire con le avventure di Guido Guerrieri, per il suo terzo romanzo decide di voltare pagina e creare nuove storie e nuovi personaggi. Nel 2005 esce così “Il passato è una terra straniera” (Rizzoli), dal quale è stato tratto un film di cui ha curato la sceneggiatura.
Il libro, ambientato a Bari come i due precedenti e tutti i successivi, è suddiviso in due diverse linee di sviluppo, in apparenza tra loro del tutto slegate. Quella principale è condotta anch’essa al passato remoto in prima persona singolare e ne è protagonista Giorgio, brillante studente universitario (giurisprudenza, le esperienze personali dell’autore sono in qualche modo sempre presenti) di buona famiglia. Un giorno incontra il coetaneo Francesco e ci fa amicizia. Questi è però un personaggio malsano, un manipolatore, egoista e moralmente corrotto, a cui importa solo di se stesso e di cui Giorgio diventa succube al punto da lasciarsi invischiare dalle false chimere della malversazione e dell’arricchimento facile, nella fattispecie barando a poker. Tutto ciò a scapito dei sui studi, della sua vita sentimentale e della sua stessa esistenza, iniziando una china discendente inevitabilmente diretta verso l’inferno. La trama secondaria, raccontata col più tradizionale uso della terza persona singolare, vede invece protagonista il giovane tenente Chiti dei carabinieri mentre indaga su un imprendibile stupratore seriale. “Il passato è una terra straniera” ha vinto il premio Bancarella e a parere di chi scrive è romanzo di notevole approfondimento psicologico e di grande spessore narrativo e letterario. La scrittura è come sempre semplice e incisiva, diretta e basata su frasi brevi, d’altronde nel nuovo millennio è questo che si chiede alla letteratura e in Carofiglio semplicità non è sinonimo di scarso livello qualitativo, tutt’altro.
Quindi, nel 2006, appare, di nuovo per la Sellerio, il terzo romanzo della serie su Guido Guerrieri: “Ragionevoli dubbi”, in cui l’abile avvocato penalista si troverà a difendere un uomo già condannato in primo grado per traffico di droga al termine di un processo che ai suoi occhi esperti risulta raffazzonato in maniera assai sospetta. Come legal thriller è ancora una volta azzeccato. Si tratta, infatti, di un nuovo caso disperato, forse il più difficile della sua carriera di avvocato per la trama meglio costruita della serie, ed è inoltre un altro oblò aperto sulla psiche sofferente di Guerrieri. Su tutti in esso colpisce il personaggio dello stanco giudice Russo, una semplice comparsata ma di straordinaria e illuminante intensità.
In totale finora sono state pubblicate cinque storie dedicate all’avvocato Guerrieri. La quarta e, a personalissimo parere di chi scrive, più debole del ciclo e forse della sua intera bibliografia benché opera pur sempre discreta, è “Le perfezioni provvisorie” (Sellerio 2010), in cui Guido Guerrieri conduce un’indagine più da investigatore privato che da avvocato ed è forse proprio questa situazione inusuale e inadatta al personaggio, a rendere la storia fragile e priva del solito mordente. Il nostro eroe, qui peraltro mostrato fin troppo ingenuo e introspettivo per la questione da affrontare, annaspa e i lettori annaspano un po’ insieme a lui. I fans di Carofiglio tuttavia qualche motivo di soddisfazione lo trarranno ugualmente.
In compenso il quinto e finora ultimo titolo, “La regola dell’equilibrio”, (Einaudi 2014) a tutt’oggi è forse, sempre a personalissimo parere dello scrivente, in assoluto il suo romanzo più riuscito. Basato su sottili distinzioni morali tra bene e male, è, infatti, scritto assai meditativo e di maggior spessore filosofico e profondità del solito. Stavolta a rivolgersi all’oramai rinomato avvocato penale Guido Guerrieri è Pierluigi Larocca, suo ex compagno di studi all’università, il più brillante del corso, mai meno di trenta e lode a un esame, divenuto nel frattempo un uomo importante in ambito giudiziario. Egli è, infatti, presidente del Tribunale della Libertà e mira ancora più in alto. A Larocca occorre il patrocinio legale di Guerrieri perché è venuto a sapere che la procura di Lecce avrebbe aperto un procedimento a suo riguardo. Un pentito di mafia ritenuto credibile lo avrebbe, infatti, accusato, ma soltanto per sentito dire, di essersi fatto corrompere allo scopo di aggiustare un processo, il crimine più infamante, per un giudice.
Qualcuno ha lamentato eccessi introspettivi in “La regola dell’equilibrio” e in effetti chi nei libri cerca azione e avvenimenti può restare deluso dalla trama, giacché impiega parecchio a entrare nel vivo, divisa a lungo com’è soltanto tra questioni personali del protagonista, tecnicismi legali e, soprattutto, i dubbi morali che si insinuano in maniera via via sempre più stringente. Tanto più che, quando finalmente ci si arriva, al lettore “distratto” il tema centrale rischia di parergli basato su capziosità. Invece non è assolutamente così, perché «le regole hanno un senso se ci sono dei giudici che le fanno osservare» e «il potere di un giudice è mostruoso, se uno ci pensa. Può decidere della libertà e della vita di una persona». Qual è dunque la statura morale del nuovo cliente?:
«La domanda mi infastidì. Mi infastidì soprattutto quell’espressione – in un modo o nell’altro – che sembrava alludere alla possibilità, data per pacifica, di fare cose irregolari per ottenere un risultato. Erano già state fatte, cose irregolari, per avere le informazioni da cui eravamo partiti. Però non mi piaceva che lui le desse per scontate, che – sembrava – non si ponesse nemmeno il problema della scivolosità etica di certe azioni.»
Il testo si basa appunto su una sottile ma fondamentale questione etica e, nonostante quest’ultima non sia facile da trattare, Carofiglio dimostra di sapersi destreggiare in maniera esemplare. Senza autentiche fasi di stanca, il lettore viene così condotto per mano, proprio attraverso i dubbi del protagonista e grazie anche a un intervento fondamentale del suo amico ispettore Carmelo Tancredi e all’aiuto risolutivo di un nuovo interessante personaggio, Annapaola, tosta investigatrice privata, fino a quello che si rivelerà infine essere l’unico finale davvero possibile.

PUBBLICITA’

Gianrico Carofiglio è autore assai prolifico, che pubblica anche più di uno scritto all’anno, per giunta mantenendo più o meno sempre un elevato livello qualitativo. In gran parte si tratta di narrativa, l’ambito di cui qui ci occupiamo, ma è bene sapere che in catalogo si possono trovare anche numerosi suoi testi di saggistica di argomento vario e/o inerenti alla professione di magistrato: “La testimonianza dell’ufficiale e dell’agente di polizia giudiziaria”, “L’arte del dubbio”, “Con parole precise. Breviario di scrittura civile”, “La manomissione delle parole” e “Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità”.
Terminata dunque la disamina della “saga guerrierana”, riprendiamo a seguirne l’opera narrativa in ordine cronologico di pubblicazione.
Nel 2007 appare un interessante excursus nel mondo del fumetto o per meglio dire della graphic novel, cioè del romanzo a fumetti. Il titolo è “Cacciatori nelle tenebre” (Rizzoli 2007), la cui storia, un noir il cui spunto di partenza è un omicidio, è scritta da Gianrico mentre il fratello Francesco firma i disegni. Il lavoro non è tuttavia condotto a compartimenti stagni:
«Ho affrontato la nuova avventura come se fosse un film: dovevo scrivere una sceneggiatura che poi avrei consegnato a un regista (…) Ogni cinque o sei tavole si discuteva e si apportavano insieme correzioni e aggiustamenti», racconta in proposito Gianrico.
Tra parentesi nel 2014 i due pubblicheranno, dopo averlo scritto in coppia, anche “La casa nel bosco”, breve romanzo tradizionale, peraltro assai maltrattato su internet dalla grande maggioranza dei recensori e in particolar modo da chi ama Gianrico, il che mi ha indotto a non leggerlo e di cui quindi non mi occuperò.
Senz’altro meglio “Cacciatori nelle tenebre”. In questa storia l’avvocato Guerrieri non appare, se non come comparsa, di spalle e in due sole vignette, tuttavia l’autore erge a protagonista una delle figure di contorno del ciclo e cioè l’ispettore Tancredi, qui immaginato a capo di una squadra speciale organizzata al di fuori delle gerarchie della polizia barese e specializzata nella ricerca di persone scomparse, soprattutto minorenni: la “Sezione fantasma”. Non essendo un conoscitore di fumetti, ho chiesto il parere di un amico esperto in materia, Maurizio Rosso, del cui giudizio mi fido e che mai aveva letto Carofiglio. Ebbene, lui lo ha giudicato un lavoro decoroso: Francesco Carofiglio è bravino ma si vede che non è un disegnatore professionista, ha dei limiti, ad esempio, nel rendere adeguatamente l’elasticità, la dinamica dei corpi dei pugili o nel donare espressività ai volti. Allo stesso modo ha trovato la trama discreta ma priva di estro, di inventiva. Un lavoro, insomma, senza infamia e senza lode epperò valido come opera prima. Peraltro da un autore di narrativa all’epoca già esperto come Gianrico si sarebbe aspettato assai di più, pur sapendo che non si era mai dedicato al fumetto.
“Né qui né altrove”, sottotitolato “Una notte a Bari” (2008, Laterza editrice) è ricco di spunti autobiografici come mai in precedenza, al punto da spingere Carofiglio a rinunciare agli abituali personaggi fittizi. Non che il suo nome e cognome venga mai citato, tuttavia leggendolo risulta presto chiaro come lo scrittore io narrante non possa essere altri che lui stesso. Naturalmente senza tener conto che dopotutto si tratta pur sempre di un romanzo, cioè di finzione, e se è vero come è vero che le bugie migliori sono quelle con un fondo di verità allora altrettanto di può affermare per i romanzi, che sono pur sempre a loro volta bugie in grande stile. Quanta però sia esattamente questa verità non deve mai essere dato sapere. Come dice l’io narrante del testo, si tratta sempre:
«Di cose realmente accadute e di cose che avevo aggiunto ai ricordi, senza saperlo e senza volerlo, perché quella delle storie è una malattia subdola e inguaribile.» E dunque, come riporta un altro punto del testo in un diverso contesto:
«“È una bella storia. Non saprò mai se è vera o se te la sei inventata.” “Hai ragione. Non lo saprai mai.”»
Alla lettera quest’ultimo commento riguarda solo a un breve ricordo del protagonista, ma può valere per l’intero libro e, perché no, per qualsiasi racconto e romanzo, suo o di altri, perché chi scrive lavora di fantasia, certo, ma perfino nel più creativo ed estroso racconto di fantasy o fantascienza può esistere una componente autobiografica, inimmaginabile per il lettore.
D’altronde in un altro romanzo Carofiglio fa perfino brevemente apparire un personaggio suo omonimo ma non scrittore di professione. Durante una sua visita a Savona gliene chiesi spiegazione e se ben ricordo lo definì come la sua personale visione delle sliding doors, cioè cosa sarebbe potuto diventare se in un qualche momento del passato avesse fatto scelte diverse.
“Né qui né altrove” trae spunto dall’incontro tra tre vecchi amici che non si vedevano da circa vent’anni. La rimpatriata si svilupperà nel corso di un’intera notte, da trascorrere insieme per un’ultima volta, intervallata da una serie di flashback. Il racconto è ambientato a Bari, città natale di Carofiglio, e degli umori del capoluogo regionale pugliese ne è impregnato, ma come dice il titolo, in un certo senso non si svolge né lì, né altrove. Un po’ perché, come ci fa capire la storia, la felicità non si trova restando o fuggendo ma cercando dentro sé stessi e un po’ perché la trama potrebbe essere ambientata ovunque, volendo rappresentare un viaggio nei ricordi di qualsiasi essere umano. Si tratta a ogni modo di una notte in cui verranno a galla molte verità, anche scomode. Il libro narra del tempo che passa, delle persone che invecchiano, delle amicizie che finiscono, degli amori che tramontano, dei dolori e delle angosce che ci si porta dentro, dell’incapacità di comprendersi, delle ipocrisie che condizionano le nostre vite.
È una storia malinconica, come tutte quelle che raccontano degli anni che scivolano via inesorabili, scritta con una prosa posata, tranquilla e introspettiva. Non risulta però né cupa né triste, perché l’autore è un maestro nell’evitare i falsi pietismi strappalacrime e nel conservare sempre quella certa leggerezza di fondo e quella sottile dose di autoironia in grado di stemperare il tutto, tanto che alcuni passaggi riescono perfino a strappare qualche sorriso. In definitiva si tratta di un romanzo bellissimo, che conferma una volta per tutte Gianrico Carofiglio come un grande scrittore.
Il 2010 è invece l’anno della sua prima raccolta di racconti, “Non esiste saggezza” (Rizzoli), opera di ottima qualità. Certo, non tutto è all’altezza e il punto più basso è probabilmente raggiunto da “Mona Lisa”, che pare una trama di base da cui eventualmente trarre un romanzo o un racconto più che un racconto vero e proprio e che forse Gianrico avrebbe fatto meglio a non pubblicare. In compenso alcuni dei racconti qui presenti sono degli autentici gioiellini. Su tutti spiccano, forse, il primo e l’ultimo, cioè gli emozionali “Non esiste saggezza” e “La doppia vita di Natalia Blum”, in sé dei piccoli capolavori privi di sbavature e la cui intensa storia prende dalla prima all’ultima parola, seguiti a ruota dal surreale e fantasioso “Intervista a Tex Willer” e dal breve e triste “Giulia”.
Il sopra citato “Il silenzio dell’onda” (Rizzoli, 2011) è stato finalista allo Strega, forse il più prestigioso dei premi letterari italiani. Splendido romanzo, una cui seconda lettura lo fa perfino crescere di spessore, racconta, con la solita efficace carica introspettiva, la storia di Roberto Marias, carabiniere abituato a lavorare sotto copertura, da infiltrato in organizzazioni criminali. In crisi esistenziale per i troppi pesi sulla coscienza, al punto da sfiorare il suicidio, Roberto va in analisi presso uno psichiatra e psicanalista, col quale non sarà facile trovare la forza di aprirsi a fondo. Eppure le sedute produrranno il loro effetto e il milite riuscirà infine a tornare a galla, grazie anche all’incontro con Emma, altra cliente del dottore, e al figlio di costei, ragazzino bisognoso di aiuto in un finale che sa emozionare.
E nel frattempo il lettore prova la sensazione di entrare, con leggerezza, nella vita di Roberto Marias e in qualche maniera di sentirsela dentro fino ad appropriarsene, perché quanto Carofiglio narra non è fiction fine a se stessa ed estranea alla realtà: le sue storie sono sempre un pezzo di mondo.

I libri carofigliani continuano ad aver successo e l’autore si sente ormai libero di fare ciò che gli pare, così, nel bellissimo (mai temere di usare questo pur abusato aggettivo) “Il bordo vertiginoso delle cose” (2013, Rizzoli) sperimenta sia sul lato della trama sia, soprattutto, sul lato stilistico. Il protagonista stavolta è Enrico Vallesi, scrittore di valore ma frustrato perché entrato in crisi creativa dopo il suo primo – e unico – romanzo pur avendo ricevuto sostanziosi anticipi per i due successivi. Vallesi è stato perciò obbligato a trasformasi in quello che un tempo veniva definito “un negro”, cioè chi scrive per altri senza che il suo nome figuri, perché il libro lo firma un più noto ma anche assai più incapace autore ufficiale. Come effettivamente accade, purtroppo. O davvero credevate, cari lettori, che i tanti – come sopra – attori, politici, presentatori tv, eccetera che si atteggiano a scrittori fossero e sono tutti davvero capaci a scrivere?
La sua storia è proposta secondo due diversi punti di vista. Nella prima, è un non identificato narratore esterno, magari Carofiglio stesso, a raccontare facendo riferimento all’oggi, cioè a quando Vallesi è un uomo deluso di 48 anni, che decide di tornare “in pellegrinaggio” nella sua città natale – Bari, ovviamente – abbandonata quasi trent’anni prima.
Qui Gianrico, con una scelta stilistica che sulle prime può spaventare il lettore ma a cui ben presto ci si abitua al punto da non pesare per nulla, usa sempre il tempo presente unito a una assai inusuale seconda persona singolare, come potete constatare nell’incipit, di seguito riportato:
«Come ogni mattina entri nel solito bar per fare colazione. Da quando vivi solo – da parecchio, ormai – non ti riesce di fare colazione a casa. La cena, a volte il pranzo, sì. Chissà perché, invece, la colazione no. A volte resti in piedi al bancone, altre volte ti siedi a un tavolino e te la prendi più comoda. Non c’è una regola, dipende da come ti senti – come non ti senti –, dal tempo, dagli impegni e dalla loro assenza, dal caso.»
Attraverso il secondo punto di vista narra invece eventi accaduti quando il protagonista aveva sedici anni. In questo caso volge il tutto al passato remoto e alla sua prediletta prima persona singolare: qui l’Enrico Vallesi adulto sta raccontando la propria adolescenza. E attraverso le non banali lezioni scolastiche di Celeste, giovane supplente di Storia e Filosofia, Gianrico ci offre anche qualche prezioso e misurato insegnamento di vita. Inoltre, ne “Il bordo vertiginoso...” tornano alcuni dei leit motiv preferiti dell’autore, come ad esempio l’interesse per Tex Willer o, in particolare, quello del maestro di vita che insegna tecniche di combattimento per difendersi, preziose per chi vive in un luogo ostico come può essere Bari Vecchia e utili una volta diventato adulto. Nel libro in questione il maestro è incarnato da Salvatore, compagno di scuola ripetente, politicamente impegnato e tragicamente instradato verso il terrorismo, che mette Enrico sotto la sua ala protettrice, ma la situazione, seppure in diversi contesti e attraverso differenti tecniche di lotta, appare anche in altri scritti, e viene perciò da chiedersi se non nasconda un’esperienza autobiografica.
A ogni modo il risultato finale è assai positivo e ancora una volta al lettore sembra di entrare sul serio dentro la vita del protagonista e degli altri personaggi. Sì, davvero, proprio come riporta un passo di questo libro, «le (sue) storie sono un pezzo di mondo».
Nel 2014 esce “Una mutevole verità” (Einaudi). «Spesso dicono che scrivo gialli ma io non mi sono mai davvero riconosciuto in questa definizione.» (a ragione. N.d.r.) «Però questa è la cosa più vicina a un poliziesco classico che abbia mai scritto».
Raccontato stavolta in terza persona e ambientato alla fine degli anni ottanta, ha una trama invero abbastanza scontata, basata su un caso di omicidio in apparenza già risolto, perché il presunto assassino, sommerso da numerosi indizi di colpevolezza e riconosciuto da una testimone chiave, rifiuta di rispondere alle domande degli inquirenti, ma in cui qualcosa a parere del protagonista non quadra. La storia è valida ed è piacevolmente condotta senza stonature, risulta tuttavia fin troppo elementare e, anche forse per la sua brevità che la rende quasi più un racconto lungo che un vero e proprio romanzo, è da ritenere tutto sommato come un’opera minore carofigliana. In compenso ha il pregio di presentare un nuovo promettente personaggio, il maresciallo piemontese Pietro Fenoglio, uomo dotato di grande testardaggine unita a una altrettanto grande umanità.
E Pietro Fenoglio torna nel 2016 in quello che è invece uno dei migliori romanzi di Gianrico, “L’estate fredda” (Einaudi), storia ambientata all’epoca degli omicidi Falcone e Borsellino, che fanno da sfondo alla vicenda. A Bari si è scatenata una violenta guerra di mafia, intestina alla cosca dello spietato boss Nicola Grimaldi, con lo spregiudicato e intelligente Vito Lopez, detto “il macellaio”, a capo dei secessionisti. Ma in pieno regolamento di conti viene sequestrato un bambino, figlio minore di Grimaldi e, benché il boss paghi subito il riscatto richiesto, il piccolo viene ritrovato morto. L’aver colpito un bambino innocente è considerata un’infamia dall’intera criminalità organizzata pugliese, che ora di certo si coalizzerà contro Vito Lopez, unanimemente ritenuto responsabile. Per scamparla questi allora decide di diventare collaboratore di giustizia e si consegna ai carabinieri, dinanzi ai quali sostiene la propria estraneità al sequestro. Il maresciallo Fenoglio è portato a credergli, ma se il criminale è sincero, chi è allora il responsabile del sequestro lampo conclusosi così tragicamente?
La prima parte è introduttiva e vi vengono presentati Fenoglio, funzionario colto, generoso e malinconico, moralmente integro e nemico di ogni forma di violenza, i vari personaggi di contorno e la situazione che costoro si trovano a fronteggiare. Il cosiddetto atto secondo è raccontato in parte attraverso la mediazione del punto di vista di Fenoglio e in parte attraverso l’arido ma esemplificativo linguaggio burocratico delle trascrizioni della confessione di Lopez dinanzi al procuratore. Questa seconda sezione risulta piuttosto interessante perché spiega molte cose sull’attività mafiosa in generale e pugliese in particolare, che Carofiglio, non guasta rammentarlo, per motivi professionali ha conosciuto assai bene. Il romanzo prende però davvero quota nell’atto terzo, cioè quando iniziano le indagini di Pietro Fenoglio, ben supportate dall’appuntato Pellecchia, e il personaggio può così emergere appieno in tutto il suo spessore umano.
«Non prendere un’indagine come l’occasione per dimostrare che sei più bravo degli altri, si ripeteva spesso. È una delle ragioni – forse la principale – per cui si commettono gli errori più gravi, con innocenti dietro le sbarre e criminali in libertà.»
Opera consigliatissima.
A inizio 2017 l’infaticabile Gianrico propone il volumetto “Passeggeri notturni” (Einaudi) una raccolta di microracconti e minisaggi, appena tre pagine ciascuno, dove appaiono schegge tanto interessanti quanto efficaci alternate a scritti narrativi o pensieri inevitabilmente meno significativi nella loro eccessiva brevità. Un’operina decisamente minore ma comunque meritevole di lettura, a patto di non partire da qui per fare conoscenza con l’autore.
Tra l’altro in uno di questi saggi Carofiglio racconta qualcosa che promette male per chi (come me, almeno in passato) aspira a trovare un vero editore per i propri scritti: un tizio un giorno inviò a quattordici case editrici, tra cui quella che a suo tempo aveva già pubblicato il libro, un romanzo di Jerzy Kosinsky (col titolo cambiato) incensato dalla critica e vincitore di uno dei più importanti premi americani, fingendo che fosse un manoscritto inedito di un autore dilettante. Ebbene, tutte le case editrici respinsero il manoscritto, giudicandolo inadatto alla pubblicazione. Qualcun altro inoltre inviò a una agenzia letteraria che offre l’editing a pagamento un famoso racconto di Buzzati e non solo il racconto non fu riconosciuto, ma fu anche riempito di critiche e correzioni e definito carente di stile!

L’opera successiva, pubblicata nel medesimo anno, è invece un altro lavoro maggiore, almeno a parere dell’articolista. Si tratta di “Le tre del mattino” (Einaudi, 2017) ed è risultato tra i dieci libri più venduti dell’anno in Italia secondo “Tuttolibri” a riprova di quanto l’interesse del pubblico verso questo autore resti elevato: meritatamente, sia chiaro, perché trascorrono gli anni ma Gianrico non perde il proprio mordente.
La storia è semplice: un uomo, compiuti cinquantuno anni, rievoca i due giorni e due notti passati a Marsiglia, senza poter dormire per causa di forza maggiore e intensamente vissuti insieme al padre, matematico e professore universitario, quando era quest’ultimo a essere un cinquantunenne mentre lui stava per compiere i diciotto anni e frequentava ancora il liceo. Due giorni e due notti trascorsi lungo le strade della grande città portuale francese, durante i quali finalmente padre e figlio hanno modo di parlare, di conoscersi e soprattutto di capirsi. L’uomo, infatti, si era separato dalla moglie quando il ragazzo aveva appena nove anni e con quest’ultimo non aveva più avuto autentici rapporti anche per via del livore che sempre aveva roso il giovane, incapace di assolvere il genitore per la separazione, da lui vissuta in maniera traumatica.
Se un lettore cercasse a priori storie originali in questo caso sbaglierebbe indirizzo – d’altronde Carofiglio non ha mai dato troppo peso alla questione originalità – tuttavia il romanzo, magistralmente condotto come un emozionale tuffo a capofitto nella psiche dei due protagonisti, prova che quando c’è il talento non occorrono trame mirabolanti per attrarre i lettori.
In base alle ultime notizie giunte, il brillante scrittore barese sarebbe attualmente impegnato a elaborare le sceneggiature per alcuni telefilm tratti dal succitato Passeggeri notturni. Operazione a occhio e croce tutt’altro che semplice, considerata la stringatezza dei testi a disposizione e che probabilmente spiega perché l’annuale appuntamento con le librerie sia slittato all’inizio del 2019, con: “La versione di Fenoglio”, ancora per l’Einaudi e già piuttosto ben venduto.
Questo breve libro può essere almeno in parte considerato un piccolo trattato saggistico di filosofia e di psicologia spicciola sull’attività investigativa messo in forma di romanzo ma, essendo in prevalenza dialogato, la lettura risulta assai alleggerita. Un po’ come fece Boccaccio con il Decamerone, è inoltre quasi più una serie di racconti riferiti dal protagonista – il carabiniere Pietro Fenoglio, già noto ai lettori – alla vivida controparte Giulio, con uno sfondo comune, la palestra con giardino annesso in cui i due svolgono esercizi riabilitativi, che un romanzo vero e proprio. Alla fine ciò che ne risulta è un’opera senz’altro minore all’interno della bibliografia carofigliana e tutto sommato non necessaria, ma tuttavia interessante e meritevole di lettura.
Insomma, per fortuna finora non vi sono mai stai momenti di autentica stanca per Carofiglio, benché il rendere la propria attività di scrittura un vero e proprio lavoro fisso a cadenza annuale rischi sempre di causarne la deleteria trasformazione in routine, con i romanzi magari anche in grado di rimanere dignitosi e soddisfacenti per i fans e talvolta perfino per la critica, ma finendo nel contempo per risultare più professionali che davvero sentiti e qualitativi. È accaduto a tanti suoi colleghi italiani e stranieri, speriamo non capiti mai a lui.

Massimo Bianco (2019)

P.S. 2022: dopo la stesura dell’articolo, pubblicato a suo tempo su un altro sito web, sono apparsi altri 3 suoi romanzi, “La misura del tempo”, in cui G. C. è ancora riuscito a non essere scontato sul pur sfruttato personaggio di Guido Guerrieri e poi “La disciplina di Penelope”, discreto ma forse un po’ poco approfondito e “Rancore” (che devo ancora leggere, così come molti altri libri che attendono pazienti nella mia biblioteca), opere queste ultime in cui introduce una nuova protagonista: l’ex Pm Penelope Spada. Lieto di aver avuto l’opportunità di far leggere l’articolo a Carofiglio, attendo con interesse le sue prossime uscite. (Mas.Bi.).

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