FUGA DALL’EURO
FUGA DALL’EURO |
FUGA DALL’EURO |
Tra le tante misure varate dall’attuale governo tecnico voglio soffermarmi su quella più attinente ai temi monetari che perlopiù tratto in queste pagine. Lo faccio prendendo spunto dall’articolo di un economista americano di cui chioserò alcuni stralci. * |
“Nonostante il silenzio dei media, ci sono segnali di una fuga silenziosa di capitali dalle banche europee. Silenziosa, ma più rapida dei topi che abbandonano una nave che affonda. Una fuga che non avviene dalla porta principale: non ci sono file davanti alle banche, clienti angosciati, sportelli sbarrati, almeno non ancora. Si usano le porte di servizio, e a mio avviso questi ne sono i principali indicatori: – Il divieto in Italia di usare contanti in quantità superiori a € 1000; – Le banche italiane, francesi e spagnole hanno esaurito i collaterali e devono ricorrere a beni reali come pegni; – Le autorità svizzere stanno attrezzandosi in vista del crollo dell’euro mediante misure di controllo dei capitali [e interessi negativi sui conti correnti di stranieri]; – Gli ad (CEO) europei stanno preparandosi alla fine dell’euro nonostante le assicurazioni dei vari governi.” L’autore esamina poi uno ad uno i quattro punti. Circa il primo, egli fa l’ovvia considerazione che, quando il rendimento dei conti correnti è pari a zero o negativo (ossia è inferiore all’inflazione reale), la tentazione dei correntisti è di ritirare i propri soldi e nasconderli “nel proverbiale materasso”. Un fenomeno accentuato dal timore, sorto a partire dal 2007, che la banca possa fallire, inghiottendo tutti i suoi risparmi. Secondo l’autore, non è tanto la preoccupazione dei pagamenti in nero o del riciclaggio quella che ha portato al progressivo scalare dei movimenti in contanti permessi dalla legge, quanto piuttosto quella che gli stessi prosciughino i depositi bancari di denaro liquido, garantito dalla banca centrale, che così perde pure il controllo e la tracciabilità sulle transazioni in contanti. I soldi messi sotto il materasso escono dal circuito di scambi e sono come “morti” agli effetti dell’economia reale. Le successive considerazioni si spostano sulle banche stesse, partendo dalle loro tre forme di approvvigionamento di fondi: 1) i soldi depositati dai clienti; 2) i fondi reperibili sul mercato monetario a breve; 3) le obbligazioni bancarie a lungo termine o la cartolarizzazione dei prestiti. Queste tre fonti sono come le gambe di uno sgabello, che si sbilancia se se ne taglia una, e crolla a terra se vengono tagliate tutte: ed è quello che sta accadendo proprio ora. Singoli risparmiatori, fondi pensione e investitori istituzionali stanno ritirando i loro fondi dalle banche italiane, francesi e spagnole. Mentre il denaro ha già lasciato da tempo quelle di Grecia, Portogallo e Irlanda. A ciò si aggiungono i gruppi finanziari americani, che hanno ritirato oltre il 40% dei fondi dall’Europa e quasi 2/3 dei loro depositi dalle banche francesi. Tutto questo prosciuga la capacità di fare prestiti a breve e fa salire i costi dei prestiti interbancari. Al tempo stesso, i manager finanziari di tutto il mondo stanno vendendo le obbligazioni europee, svalutandole e portandone i tassi alle stelle. Il risultato è stato il crollo dell’85% di nuove emissioni nell’ultimo biennio, azzoppando ulteriormente le banche europee, disperatamente bisognose di liquidità. In questa situazione, le banche sono costrette a impegnare beni reali di loro proprietà, come gli immobili, ponendoli come collaterali di prestiti per loro vitali: un segnale del livello del loro stress finanziario ben superiore a quanto pubblicamente ammesso.” |
L’autore passa poi in più dettagliata rassegna le misure finanziarie delle autorità svizzere e fa un elenco delle grandi compagnie europee, tra cui la BMW tedesca, che stanno adottando tutti i provvedimenti che ritengono doverosi per proteggersi dalla caduta dell’euro, giudicata come molto probabile. Il consiglio dell’autore ai suoi lettori è in generale di concentrarsi di più sul “ritorno dei che non sul ritorno dai propri capitali”. |
Come dire, badate meno ai loro rendimenti che non al loro mantenimento in vita. Insomma, non fatevi abbindolare dagli alti tassi d’interesse. Ed ora qualche mia considerazione su quanto riportato più sopra. A tutto quanto scritto in questi anni sul sistema monetario e creditizio si aggiunge ora una contingenza, prima soltanto prospettata come mera ipotesi di lavoro: il possibile default non già della banca X o Y, non già dell’Italia, ma dell’intera eurozona. Intendo parlare della nostra uscita dall’euro, sino a ieri descritta come auspicabile da parte della sola Italia; ma oggi molto più concreta, forzosa e coinvolgente tutte le nazioni che hanno adottato l’euro. Una bella differenza, in quanto un conto è un’uscita, pur inizialmente sofferta, ma perlomeno pilotata; e un altro è un’uscita in massa per crollo del sistema. A questo punto, che senso ha convertire i propri risparmi da conti correnti, obbligazioni, titoli di Stato, a contanti in una valuta che forse precipiterà? I soliti bene informati, i furbi dei piani alti hanno già provveduto a mettere al riparo ben lontano da qui i loro patrimoni, ma tutti gli altri, i “soliti noti”, resteranno col cerino in mano. Come sempre. Tutto questo mentre il governo “tecnico” ha abbattuto la sua mannaia sugli italiani non in grado di fare altrettanto, nel tentativo di abbattere un debito pubblico enorme. Resta da capire dove le banche, che di questo debito sono state beneficiarie in gran parte –se è vero, come è vero, che ad ogni debito corrisponde un credito equipollente- resta da capire, dicevo, dove sono finiti i proventi di questo debito, ossia i colossali interessi che lo Stato italiano –e non solo italiano, ovviamente- ha debitamente versato annualmente, per decenni, ai banchieri. È questa la domanda delle domande: come fanno le banche ad essere così stressate, nonostante la montagna di soldi che gli Stati hanno loro versato grazie all’iniquo meccanismo che consente loro di emettere moneta, anziché agli Stati? Caro governo tecnico, caro prof. Monti, può dare una risposta a questo cruciale quesito? So bene che non la darà mai; e immagino che mai se ne parli nel prestigioso ateneo di cui lei è presidente, quella Bocconi che ha sfornato eccelsi economisti che il problema di cui sopra non se lo sono mai posto. Almeno ufficialmente. Come non se lo pone il suo sponsor, il presidente Napolitano, che la sua vicinanza alle banche l’ha dimostrata sin dal suo primo atto ufficiale, con cui ha firmato, assieme all’altro bank friend Romano Prodi, il decreto che legalizzava la proprietà privata di Bankitalia. Il “governo tecnico” c’era già, ma dietro le quinte. Oggi è soltanto venuto allo scoperto. * Keith Fitz-Gerald, http://moneymorning.com/2011/12/16/should-you-worry-about-europes-back-door-bank-run/#comment-63130
Marco Giacinto Pellifroni 18 dicembre 2011
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