Fra ipocrisia, amnesia e disinformazione
Politica e stampa nazionali non perdono occasioni per mostrare la loro povertà etica e intellettuale. Le ultime sono state il crollo della funivia, la scarcerazione di Brusca e il suicidio di Seid. Sulla tragedia di Verbania non si è sentita una sola voce forte e chiara capace di riconoscere che se si stacca o si spezza il cavo di una funivia i responsabili dell’impianto vanno immediatamente arrestati al pari di un criminale colto in flagranza salvo il caso che non ci sia il sospetto di un atto terroristico o che non si sia verificato un fenomeno naturale eccezionale e imprevedibile.
L’aereo, il treno, il pullman, il traghetto sono mezzi di trasporto ragionevolmente sicuri, ma sono talmente numerose le variabili in gioco che è impossibile controllarle tutte e anche escludendo l’intervento di eventi catastrofici un margine di rischio rimane sempre. La ruota o le montagne russe di un Luna Park al pari di un impianto di risalita devono invece essere al riparo da quel margine di rischio per il motivo semplice che le loro condizioni di esercizio sono in toto sotto controllo, purché, s’intende, controllo ci sia. Mi è toccato di leggere che in fondo si è trattato di un incidente e che, statistiche alla mano, rimane comunque più pericoloso attraversare la strada; mi spiace che a scriverlo sia stato il direttore di un giornale al quale sono affezionato. E ad aggravare il peso morale dei distinguo, degli aspettiamo gli esiti delle perizie per giudicare, dei lasciamo lavorare i magistrati, sento l’esultanza collettiva per la condanna dei Riva, senza che nessuno si prenda la briga di informarci su che cosa i padroni dell’Ilva avrebbero dovuto fare e non hanno fatto. Per non dire del perché non si sia esibito uno straccio di documentazione epidemiologica che accertasse non solo l’evidenza di maggiore incidenza di tumori rispetto alla media nazionale ma che escludesse la presenza nell’area di altri fattori di rischio. Indagini che ci si aspetterebbe venissero fuori nella rossa Toscana, dove da decine di anni le concerie continuano a sversare rifiuti tossici sicuramente cancerogeni sotto la luce del sole. Pesi e misure diversi, criteri costruiti ad hoc, strumenti di valutazione di gomma: è l’Italia scivolata nel terzo mondo.
Poi la scarcerazione di Brusca, di fronte alla quale la politica insorge: ma com’è possibile, ha sciolto un bambino nell’acido, ha premuto il pulsante che ha azionato la bomba che fatto saltare in aria Falcone e la sua scorta, ha confessato un centinaio di omicidi… Tutto giusto se non fosse che gli stessi che si lagnano sono gli stessi che da anni si battono per l’eliminazione dell’ergastolo, guardano con ammirazione a quanti in Europa vorrebbero abbassare a 25 anni il massimo della pena e non perdono occasione per rivendicare la funzione rieducativa della pena. Il dottrinario perde di vista la realtà, che a tempo debito gli presenta il conto e nella fattispecie l’idea buonista di ascendenza cattolica della redenzione del reo e la concezione rieducativa della pensa vanno a sbattere contro i principi che reggono l’impianto sociale, contro l’evidenza fattuale e contro il comune sentire. Se si prendesse sul serio il buonismo cattolico, ora cattocomunista, si potrebbe tranquillamente buttare nel cesso il codice penale: se l’autore dei più efferati delitti si apre al confessore, si piange addosso e si percuote il petto non resta altro che confidare nell’infinita bontà del padreterno, abbracciarlo, consolarlo e accompagnarlo per mano verso una nuova vita. Non funziona così: chi sbaglia paga e il costo lo stabilisce la legge, perché il reato non è il peccato e confonderli significa mescolare pubblico e privato.
Se il reo avverte la componente etica della sua trasgressione e se ne pente meglio per lui, forse vivrà in pace con la propria coscienza ma sarebbe assurdo che il suo pentimento dovesse accorciargli la pena allo stesso modo che il mancato pentimento – e chissà con quale strumento si può stabilire dov’è un vero pentimento – la dovesse allungare. Una legge elastica è la cosa peggiore che si possa immaginare, soprattutto nelle mani di una magistratura come la nostra. Dura lex, sed lex: è questa l’unica garanzia. E la legge ha stabilito che Brusca, per quanto colpevole, non merita l’ergastolo perché come collaboratore di giustizia ha reso un servizio allo Stato. Non perché “pentito” ma perché – come il padre del piccolo Matteo che lui stesso aveva punito come infame, delatore, spia – ha rivelato ai giudici qualcosa della organizzazione criminale della quale faceva parte. Che poi questo “qualcosa” fosse poca cosa questo è un altro discorso: da mezzo secolo leggiamo di colpi mortai inferti a quella che chiamano la criminalità organizzata, la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta ma a morire è stata solo la credibilità delle istituzioni. E allora la politica, sostenuta dal codazzo dei giornali amici, invece di fingere di scandalizzarsi se Brusca è ora un uomo libero mantenuto a spese della collettività pensi a rivedere la legislazione sui collaboratori di giustizia e a costringere gli inquirenti ad usare alte vie, più difficili ma più efficaci, per estirpare il male alla radice. Per riguardo verso l’Italia repubblicana non sto a ricordare che in altri tempi la mafia siciliana era stata costretta a riparare armi e bagagli al di là dell’oceano e che il fenomeno mafioso alligna dove lo Stato è assente.
I compagni “storici” avevano bisogno di poveri per giustificare la loro esistenza; i compagni attuali hanno assoluta necessità di razzisti, omofobi e, ovviamente, fascisti. Da qui una caccia forsennata a qualunque episodio di cronaca che si presti alla bisogna e, se non ce ne sono, si inventano, soprattutto in momenti in cui la politica lo chiede. E la politica, per i compagni, è essenzialmente esercizio del potere, minacciato dalla presenza di Salvini nel governo che dovrebbe essere di unità nazionale. Accade che un ragazzo si tolga la vita; un evento tragico ma purtroppo non eccezionale: la depressione è una brutta bestia e predilige gli adolescenti. Ma il ragazzo è nero, anche se italiano, figlio adottivo di una coppia di italiani ma nero e tanto basta per far drizzare le orecchie ai compagni e allertare i loro lacchè della carta stampata e del piccolo schermo, che scovano un vecchio post in cui il ragazzo lamenta di sentirsi diverso. Ce n’è abbastanza per le prime pagine, il post diventa un biglietto d’addio e un atto di accusa, la prova provata del razzismo strisciante nel Paese alimentato, ovviamente, da Salvini e dalla Lega. Ottima occasione per rilanciare lo ius soli, che non c’entra nulla ma non importa, e spingere per l’approvazione della legge Zan. I genitori del ragazzo rivendicano il diritto al loro privato dolore, a mantenere il segreto della sofferenza del figlio, protestano contro le speculazioni politiche e giornalistiche. Niente da fare: per giorni interi la campagna antirazzista sulla pelle del povero Seid continua finché una velina non intima di piantarla per evitare un boomerang.
Ciliegina sulla torta della disinformatja: giusta la risonanza data alla morte della studentessa torinese dopo l’iniezione del vaccino Astrazeneca; prime pagine, titoli cubitali, pensose riflessioni. Ma perché con il governo giallorosso – in realtà più rosso che giallo – le morti per trombosi seguite alla somministrazione del vaccino anglo svedese venivano comunicate in ritardo, confinate in un trafiletto e seguite da recriminazioni sulla opportunità di divulgare la notizia? Ma i nostri giornalisti soffrono tutti di amnesia o pensano che ne soffrano gli italiani? Esilarante il giornale del capo putativo dei grillini, l’accanito sostenitore del governo Conte 2, quello che aveva fatto incetta di Astazeneca: era un toccasana e guai a sollevare qualche dubbio. Ora a leggere il titolo: Camilla vittima numero 1, chi chiede scusa? è diventata una pozione mortale Ma non è lo stesso AZ dei militari e dell’insegnante che l’anno scorso ci hanno lasciato la vita e non è ancora al suo posto quello Speranza che negava l’evidenza?