FORZA RUSSIA

I putiniani d’Italia stanno preparando un partito pacifista filorusso”. Quand’anche questa notizia comparsa in prima pagina su il Giornale del 6 giugno 2022 fosse inventata di sana pianta, non per questo sarebbe inverosimile: alla buonora! Finalmente i russofili putiniani italiani, se il progetto andasse in porto, avrebbero una casa; mi sembra giusto! Ad ogni buon conto “Forza Russia” (questo il suo nome) è già sotto i riflettori del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, con grave scandalo dei difensori del libero pensiero e della democrazia de iure e de facto, da Mario Giordano a Piero Sansonetti a Nicola Porro a Francesco Borgonovo a Marco Travaglio ad Antonio Padellaro è tutta una geremiade sulla libertà di stampa violata e vilipesa.

Sennonché: “Più che filoputiniani – chiosa il Giornale – i politici e gli intellettuali che sostengono le ragioni di Mosca, sembrano essere semplicemente alla ricerca del proprio minuto di visibilità. In molti escono dal cono d’ombra e discettano in tv e sui media di questioni geopolitiche. Per altri (Michele Santoro) è l’occasione per abbandonare il lungo esilio dalla tv italiana. Ora sognano addirittura una lista elettorale. Forse con Alessandro Di Battista leader. Forza Russia è un partito trasversale: va dall’ex grillino Vito Rosario Petroselli al sindacalista Giorgio Cremaschi”. Intanto il Corriere della Sera ha fatto nomi e cognomi di alcuni “presunti” (sia chiaro!) putiniani italiani e anticipa un’indagine, poi smentita, del Copasir sui tanti putiniani ospiti assidui dei talk show di tutte le reti tv italiche.. Secondo le giornaliste Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini il Copasir starebbe indagando “Sulle forme di disinformazione e di ingerenza straniera, anche con riferimento alle minacce ibride e di natura cibernetica”. Nelle carte dell’intelligence italiana (quindi non del Copasir) sarebbero finiti i nomi di blogger e opinionisti considerati putiniani e anche i canali e gli apparati tramite i quali agisce la disinformazione e la propaganda orchestrata dal Cremlino.
Tra i nomi pubblicati, con tanto di foto segnaletica, in prima pagina dal Corriere ritorna quello del fotografo e giornalista freelance Giorgio Bianchi, seguitissimo su Telegram, dove il suo blog Giubbe Rosse può contare su oltre centomila followers; l’ospite ormai fisso a Carta Bianca, il discusso professore di sociologia del terrorismo Alessandro Orsini; l’economista, giornalista , scrittore (?) ed ex combattente nel Donbass Alberto Fazolo, segnalatosi quale fiero accusatore dei neonazisti presenti nei ranghi dell’esercito ucraino e soprattutto nel famoso (o, meglio, famigerato) battaglione Azof, insinuando che non ha tutti torti Putin nel voler “denazificare” l’Ucraina, a cominciare dal presidente Zelensky; il noto giornalista e seguitissimo blogger filorusso Cesare Sacchetti. Nella lista figurano anche giornalisti e reporter inviati sul campo a raccontare la guerra per le tv italiane, come Maurizio Vezzosi, sostenitore nei suoi post degli avversari ucraini di Zelensky; segnalata anche la giornalista freelance Laura Ruggeri che scrive sulla rivista filorussa “Strategie Culture Foundation” ed è promotrice di una campagna contro le sanzioni alla Russia; il putiniano dichiarato Claudio Giordanengo, odontoiatra, che nel 2019 si candidò per la Lega al comune di Saluzzo, noto per i suoi attacchi sui social a Draghi, Speranza e Biden. Un caso a sé è quello dell’ ottantaquattrenne geografo Manlio Dinucci, promotore del comitato “No Guerra No Nato”, sostenitore della tesi del presunto attacco angloamericano alla Russia pianificato nel 2019 che circola sui canali filorussi, mentore dell’Orsini e del Vezzosi.

Naturalmente si sono levate alte le proteste contro la “lista di proscrizione” diffusa dal più autorevole quotidiano italiano, soprattutto da parte di testate o “equidistanti” come “Il Fatto Quotidiano”, o addirittura putiniane come “La Verità” (chissà, forse Travaglio e Belpietro si sono offesi perché non inclusi in quella lista?). Quanto a “Forza Russia”, notizia vera o falsa che sia, fa già parlare molto di sé, il suo (presunto?) portavoce, interpellato da Adnkronos, lamenta “che ormai nel nostro Paese c’è un maccartismo dilagante che continua a crescere e non credo si fermerà. Non è una novità. Dal giorno in cui ho votato contro la risoluzione del governo sull’invio delle armi in Ucraina è sempre stato così. Non mi sorprende. E’ un clima che non mi piace, un neomaccartismo, appunto, e non credo finirà. Una lista pacifista? Io non escludo nulla al cento per cento, ma allo stato attuale non mi riconosco in nulla. Del resto lo avevo detto anche a Conte che non avevo intenzione di tentare una nuova candidatura parlamentare, per me il terzo mandato era fuori luogo. Preferirei fare altro, lavorare nel contesto delle relazioni internazionali”. Nell’ipotetico partito “Forza Russia”, l’ex presidente della commissione Esteri del Senato, espulso dal suo partito per quell’ improvvida genialata di scrivere “liberaZione” alludendo al simbolo delle operazioni militari russe in Ucraina nella ricorrenza del 25 aprile, sarebbe in buona compagnia: con il solito Alessandro Orsini, con il giornalista Fulvio Grimaldi, con gli storici Luciano Canfora ed Angelo d’Orsi e il filosofo Diego Fusaro. Tessera d’onore a Michele Santoro, magari a sua insaputa. Tuttavia, al di là degli aspetti farseschi da commedia all’italiana di questo progetto e della credibilità dei suoi sostenitori, la questione sollevata dai putitaliani (copyright Massimiliano Panarari) è tutt’altro che banale: può dirsi veramente democratico un regime in cui il dissenso viene marginalizzato, silenziato o addirittura censurato? E’ la stessa questione sollevata a suo tempo dai no vax (molti dei quali, infatti, li ritroviamo tra i sostenitori delle ragioni di Putin) con la differenza che questi ultimi non nuocciono alla salute pubblica; fino a prova contraria, finora la loro funzione è quella di seminare zizzania tra connazionali, di animare il dibattito nei salotti televisivi e quindi di far salire l’audience dei medesimi, esattamente come accadeva con le ospitate dei no vax, no mask, no pass più irriducibili nei salotti buoni della tv italiana. Con una differenza: oggi c’è una guerra in corso che riguarda direttamente l’Ucraina e la Russia, ma indirettamente l’Unione Europea, il Regno Unito e gli Usa, e, a ben guardare, tutto il mondo; basti pensare agli effetti sull’economia in generale e dei Paesi poveri di materie prime e dipendenti dall’Ucraina per le risorse alimentari come frumento, mais, foraggio per gli animali in particolare e alle conseguenti ondate migratorie dovute alla carestia prossima ventura.

Ragione per cui siamo in una di quelle situazioni che, come diceva Gramsci, non consentono l’indifferenza: o si sta con gli uni o con gli altri, tertium non datur, anche perché se io non prendo posizione ci sarà sempre qualcuno che la prenderà per me. Questa guerra di cui non se ne intravede la fine appare ogni giorno sempre più foriera di discordie interne tra italiani divisi tra le ragioni degli ucraini e quelle dei russi in una misura che non ha l’eguale in Occidente. Come si spiega? Come mai l’Italia si è rivelata più permeabile di altri Paesi alla propaganda russa? Ci sono in campo almeno tre diverse diagnosi di questa anomalia italiana: una eticopolitica, una psicosociale e una massmediologica. Vediamo la prima, proposta da Fabrizio Baldi su ItaliaOggi.it del 21 aprile 2022: “A questo punto è essenziale capire come mai il putinismo sia penetrato in Italia più che in altri Paesi occidentali. Può e deve far riflettere a questo proposito una mappa pubblicata dalla rivista geopolitica di geopolitica Limes, dove l’Italia viene presentata come Paese quasi amico della Russia, in compagnia di Bielorussia, Serbia, Grecia e Cipro. Comprensibile la cosa per questi ultimi (tutti di cultura ortodossa), molto meno per l’Italia. Una possibile spiegazione deve tener conto di certe nostre non commendevoli caratteristiche: livelli di corruzione elevati, una macchina statale pervasiva, asfissiante e clientelare, una reciproca sfiducia tra cittadini e istituzioni, una democrazia a lungo bloccata , l’assenza di anticorpi autenticamente liberali, possono aver crato le condizioni per una certa qual popolarità di Vladimir Putin; il duro che non deve chiedere mai e sfida il nuovo ordine mondiale a torso nudo…Se a tutto ciò aggiungiamo un paio di partiti al governo (Lega e Movimento 5 Stelle) con precedenti russofili, ecco che abbiamo una cornice un po’ più completa per inquadrare il fenomeno. A dirla tutta già da qualche anno sui social si moltiplicano attacchi da destra e da sinistra al liberalismo ed alla democrazia liberale, visti come strumenti dell’alta finanza per soggiogare il mondo. Questa visione si salda col rifiuto in chiave identitaria e se vogliamo nazionalista, dell’ideologia woke, quella per intenderci dedita a sputare su tutto quanto è occidentale, imponendo a europei e nordamericani un senso di colpa da espiare con il rifiuto delle proprie tradizioni e del proprio patrimonio storico culturale. Il refrain comune è che non vale la pena morire per questo Occidente.

Massimiliano Panarari

Quello che i fan di Putin propongono, alla fine, è un buttare via il bambino con l’acqua sporca, come conseguenza di una diagnosi corretta (le pulsioni autodistruttive dell’Occidente) fanno seguire una terapia così sbagliata (il culto dell’uomo forte venuto dall’est che riempirà di nuovo le chiese anziché trasformarle in moschee o centri commerciali) da rischiare di uccidere il malato”. La seconda diagnosi è quella stilata da Massimiliano Panarari su La Stampa del 6 aprile 2022: “Attualmente un certo numero di nostri concittadini vive convintamente nella fiction della negazione della realtà e della mancata attribuzione delle responsabilità (L’aggressore è stato ‘provocato’ dall’aggredito), rivendicando una sorta di ‘sovranismo psichico’(e sempre più ‘psichiatrico’…) grazie al quale avrebbe compreso l’esistenza di un ‘Truman show’ permanente che nasconde la ‘verità’. Di qui, l’alternanza ciclotimica di vittimismo e sindrome persecutoria e di piglio ‘superomistico’ della battaglia ‘anticonformista’ e ‘divergente’ contro le soverchianti forze del ‘Sistema’ giacché a loro ‘non la si fa’.

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Siamo evidentemente al cospetto di forme di dissociazione e di metaversi edificati dalla disinformazia attraverso cui i tanti putiliani si immergono in una dimensione parallela imbevuta di complottismo, e pulsioni antisistemiche, e pure di un ritorno di fiamma dell’esoterismo (sempre più diffuso tra no-Pass e no-vax). Altrettanti segni di quella che, guardando ai precedenti nella storia europea, ha tutta l’aria di una ‘crisi di civiltà’. E oggi potremmo dire di trovarci di fronte alla crisi del postmodernismo ‘opportuno’ (quello del pluralismo della convivenza delle verità con la ‘v’ minuscola), e al trionfo di quello ‘pericoloso’(in dissoluzione del dato di fatto affogato in un relativismo senza limiti). Una parabola che vediamo consumarsi in maniera esemplare nelle tesi del debordiano Carlo Freccero, l’intellettuale televisivo per antonomasia, passato dalla sessantottina lotta continua alla performance infinita, all’insegna della costante del voler épater les bourgeois. Eccolo allora, in compagnia degli altri DuPre, tuffarsi senza più alcun freno nella fossa delle Marianne delle cosiddette ‘verità alternative’ del pan-cospirazionismo che tira un filo rossobruno dal Covid sino alla ‘fiction’ di Mariupol, descritta come una messa in scena popolata di attrici incinte e bombe false. Ed eccolo teorizzare la guerra in Ucraina come un serial dove i veri cattivi coinciderebbero con Zelensky e i suoi comunicatori, tutti impegnati non a difendersi dalla violenza belluina degli invasori, ma a manipolare la ‘narrazione’ del conflitto, producendo ‘simulacri’ per ingannare l’opinione pubblica. Un giustificazionismo parossistico e un repertorio di postveità che si salda con la disinformazione e il dispotismo orientale 2.0 del neo zar, alimentando ulteriormente quello Stige internettiano in cui sguazzano i neonegazionisti della strage di Bucha (e delle altre di cui stanno emergendo via via le orribili evidenze). I putiliani, giustappunto, scaturiti da un complesso di frustrazioni psicologiche e socioeconomiche individuali, dalla rincorsa spasmodica di qualsivoglia antagonismo distruttivo e dalla triste efficacia della guerra ibrida scatenata da parecchio tempo dalle ambasciate e dai servizi di Vlad l’impalatore della verità”.

La terza diagnosi la troviamo ancora su La Stampa, firmata dallo psicoanalista Massimo Recalcati il 13 maggio 2022: “Non importa se a parlare del Covid venivano invitati giornalisti, attori, cantanti, comici in declino o professori, tutti in cerca spasmodica di visibilità mediatica, a farneticare , senza competenze adeguate, sulla pandemia, sulla validità della vaccinazione, sulle proprietà clinico-terapeutiche del vaccino, ecc. In quel modo è avvenuta la codificazione di un metodo che si sta riproponendo sul tema della guerra in forma integrale: sono le stesse facce che sostenevano le più improbabili tesi sulla pandemia e sui retroscena complottisti – con qualche aggiunta francamente farsesca – a girovagare sugli schermi televisivi teorizzando in funzione filo-russa e anti-Nato. La constatazione cinica è la stessa: funziona. Il meccanismo del conflitto agonico tra tesi contrapposte sollecita un’attrazione irresistibile. In termini psicoanalitici si tratta di una proiezione inconscia dell’aggressività degli spettatori. E’ in piccolo quello che accade in grande con la guerra. Esiste una torbida attraine umana per lo scontro, la violenza, il conflitto, la lotta a morte, la contrapposizione bellica. L’aspetto preoccupante è che sempre più la nostra televisione si presta ad alimentare questa logica primitiva facendo molto spesso scivolare dietro le quinte i contenuti del dibattito. Ma essa non dovrebbe informare, favorire, favorire, favorire la formazione delle libere opinioni? ‘E’ proprio quello che intendiamo strenuamente difendere!’, rispondono allarmati i conduttori dei talk show invocando il conflitto delle interpretazioni come anima della democrazia di cui la televisione dovrebbe garantire l’esercizio, pena il ripristino autoritario e inaccettabile della censura. Dunque, secondo questo ragionamento, sarebbe corretto invitare a un dibattito sulla pedofilia un pedofilo praticante? Sulla Shoah uno storico negazionista? Sul futuro del nostro sistema solare un terrapiattista? Non si vede qui il confine che deve differenziare un dibattito democratico dalla mera propaganda ideologica? Consentire l’affermazione televisiva che il Covid è solo un’invenzione delle grandi case farmaceutiche o che l’Ucraina è un Paese nazista non significa avvalorare il conflitto delle interpretazioni, ma dare credito a mere falsificazioni ideologiche. Non si vede la differenza? Impedirne la visibilità mediatica sarebbe una forma di censura o il presidio della soglia simbolica che distingue le diverse interpretazioni dagli slogan della propaganda. Di fatto quello che sta accadendo è che nel nome del contrasto nei confronti del pensiero unico, del mainstream, ecc, si attribuisce autorevolezza e competenza a personaggi che solo l’apparizione televisiva abilita nel ruolo autorevole di opinionista. Per questa ragione la presa di parola anche per pochi secondi in talk show sempre più affollati e caotici, con ritmi di pensiero twitter, risulta vitale e da costoro perseguita con autentico spirito di abnegazione (sic!). Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore, invece, dare credito a giornalisti russi di regime o a sostenitori occidentali della tesi putiniana che l’Ucraina è un paese nazista che deve essere denazificato, espone quella tribuna a diventare essa stessa strumento letale di propaganda. Accadrebbe lo stesso se essa fosse affidata a un pedagogo pedofilo. Sebbene l’audience ne guadagnerebbe, naturalmente”. Cari eventuali lettori e autori putiniani, pacifisti o neneisti di “Trucioli savonesi”, messo vi ho innanzi. Si accettano smentite e confutazioni.

Fulvio Sguerso

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