Emanuele Brignole e i diseredati. L’Albergo dei Poveri: una soluzione a confronto con le non-soluzioni odierne.

Che cos’è questo superbo monumento? La sua struttura, la sua altezza, le sue dimensioni, la sua magnificenza mi stordiscono! È un ospedale. Lo chiamano albergo de poveri. Bisognava chiamarlo il palazzo dei poveri. Come mi urtano queste colonne di marmo, questi pilastri di marmo, tutti questi ornamenti di marmo! Ognuna di queste colonne occupa il posto di numerose persone. Si è voluto restituire ai poveri, in un solo palazzo, la parte che appartiene loro in tutti i palazzi? (Charles Dupaty, giurista francese, 1746 – 1788)

L’8 gennaio 1678 si spegne Emanuele Brignole e il suo Corpo fatto Cadavere, vuole, che s’interri nella Chiesa Parrocchiale del Nuovo Albergo de’ Poveri, posto in Carbonara; cioè presso l’Altar Maggiore, nella parte, dove sogliono scendere i Poveri del Salone alle loro devozioni, affinché il suo Cadavere giaccia sempre sotto i piedi de’ Poveri, che grandemente amò in vita[1].

Emanuele Brignole, dipinto di Giovanni Bernardo Carbone.

Per la maggior parte di noi Emanuele Brignole è un puro e semplice nome. Il nome a cui è intitolato il piazzale antistante l’Albergo dei Poveri. A 345 anni dalla scomparsa non sembra che si terranno le commemorazioni ufficiali di un uomo poco noto del quale, nondimeno, rimane una tra le maggiori istituzioni genovesi. La maggior parte delle notizie facilmente reperibili su di lui si trovano nel sito https://www.albergodeipoveri.com/, che riporta ampi riferimenti bibliografici.
Risalendo la valle del Rio Carbonara lo sguardo è catturato dall’imponente facciata dell’Albergo dei Poveri. Il Rio non si vede più: non scorre più all’aperto da quando fu tombato per costruire l’edificio destinato a: poveri vecchi e donne vecchie, figliuoli spersi, orfani e abbandonati, le adultere, male maritate e penitenti, le donne gravide povere, gli uomini bestiali, i mendichi poverelli, disturbatori per lo più nelle chiese… (Emanuele Brignole).

L’Albergo dei Poveri di Genova

L’Albergo dei Poveri fu in origine istituzione di carità e reclusorio e venne concepito nella sua struttura secondo il modello dell’ospedale Maggiore di Milano del Filarete.

Pianta dell’Ospedale disegnata da Antonio di Pietro Averlino, detto Filarete

Edificato “vicino alla città ed insieme appartato, fuori di mano ma non fuori da li occhi…abbellendo la città senza occuparla, e generando negli animi di chi l’ammira un’altissima stima della provvidenza, generosità e carità genovese” (Massimiliano Deza). Costruzione imponente e maestosa, a testimonianza della Gloria di Dio e della magnificenza della Repubblica, aveva la funzione di redimere gli ospiti e generare meraviglia e consenso nei cittadini.
La struttura quadrangolare è ripartita all’interno da quattro corridoi disposti a croce greca. Al centro della croce si innalza la chiesa, intitolata, come voto al termine della pestilenza, alla Vergine Immacolata. L’Altare è ornato da una pregevolissima statua, raffigurante la Madre del Signore, commissionata dallo stesso Brignole allo scultore marsigliese Pierre Puget.

Pierre Puget, la Vergine Immacolata,

La costruzione dell’edificio monumentale ebbe avvio nel periodo della pestilenza del 1656 e per questa fu presto interrotta… la moria falcidiò migliaia di cittadini e molti (sembra 10.000) furono inumati negli scavi delle fondamenta.
Durante la vita di Emanuele Brignole l’Italia fu percossa dalla peste per due volte: nel 1630 (la peste “manzoniana” che risparmiò Genova a dispetto della vicinanza con Milano) e nel 1656.
Non mancarono, allora come oggi, le resistenze alle misure di contenimento: A Genova, intanto, si parlava molto della pestilenza. Su proposta del Magistrato della Sanità erano stati adottati particolari provvedimenti intesi a diminuire le probabilità di contagio, ma la maggioranza della popolazione aveva reagito negativamente, come se non esistessero queste misure, comportando esse una riduzione o, quanto meno, un inevitabile rallentamento dei traffici. Era specialmente dai quartieri più poveri e più popolati che si manifestava la maggior resistenza: proprio da quei quartieri che avrebbero dovuto temere di più le conseguenze di un contagio, ma i cui abitanti alla eventualità di una peste contrapponevano la certezza immediata, concreta e non meno temibile, della fame[2].

Domenico Fiasella, La peste flagella Genova

Il secolo XVII fu molto difficile per l’Europa, attraversata da guerre[3], carestie, epidemie, freddo, denatalità e miseria. L’Italia soffrì un arretramento economico e demografico di drammatiche proporzioni. Le città europee si riempirono di schiere di diseredati provenienti dalle campagne sempre meno coltivate, sempre più improduttive. Le rese agricole crollarono per la pratica della monocoltura dei cereali, per la scarsità di letame da allevamento e per le razzie degli eserciti. Vi fu anche un abbassamento delle temperature noto come “piccola glaciazione del Seicento”.

Pieter Bruegel il Vecchio, paesaggio invernale con pattinatori

Il facoltoso patrizio genovese, nato nel 1617, attraversò la parte centrale di un secolo impressionante. Educato ai valori del cattolicesimo tridentino e della pietà barocca, fu contemporaneo dell’altra grande figura genovese di benefattrice, Virginia Centurione Bracelli (1587 – 1651, che volle «servire Dio nei suoi poveri»). Egli la sostenne costantemente con generosità, tanto che ancor oggi le Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario portano il nome di “Suore Brignoline”.
L’impegno con cui Emanuele Brignole condusse l’impresa principale della sua vita gli costò seri problemi di salute per lo stress e per gli attacchi personali a cui fu sottoposto. Nel 1674 una denuncia anonima nei suoi confronti fu presentata al Senato. Le critiche gli erano rivolte in gran parte per l’eccessiva onerosità dell’opera, le cui spese gravavano sulla magistratura statale dell’Ufficio dei Poveri.
Il giudizio negativo colpiva anche la concezione ideale che ispirava l’opera: quella del “grande internamento[4]” degli sbandati, criminali, mendichi, malati di mente, inabili al lavoro. Le polemiche riguardarono altresì il carattere obbligatorio delle attività rieducative e la loro scarsa efficacia rispetto allo scopo. I mendicanti e le prostitute, accomunati nello stigma della pericolosità sociale, non dovevano essere soltanto oggetto di correzione morale, ma dovevano, nondimeno, essere allontanati dalle vie cittadine ed isolati.
All’interno dei reclusori, i poveri erano inseriti in programmi di rieducazione e di redenzione, basati sul lavoro e sulla partecipazione ai culti. I ricoverati, suddivisi per genere ed età, avrebbero trascorso i propri giorni intenti ai mestieri manuali e alla preghiera. Con le attività produttive gli ospiti avrebbero concorso al mantenimento dell’Albergo, alleggerendo gli oneri a carico dello Stato. All’utile spirituale si univa quello materiale.

Giovanni Battista Carlone (Genova 1603 – 1677) “La compagnia dei mendicanti”

Il patrizio genovese già molto provato per le fatiche e per le critiche ebbe un tracollo dopo la denuncia anonima. Quattro anni più tardi, l’8 gennaio del 1678 si spense.
Negli ultimi anni egli aveva rinunciato agli agi propri della sua posizione sociale, per vivere in un modesto appartamento. Le sue ultime volontà furono quelle di essere inumato all’interno della chiesa dell’Albergo, in una tomba priva di nome, come egli stesso dispose, povero tra i poveri, per essere calpestato dai loro piedi e vestito della loro stessa divisa.
L’epoca di Emanuele Brignole appare molto lontana e differente dalla nostra, ma è accomunabile ai nostri nostri giorni per almeno quattro motivi: le migrazioni dei poveri, la guerra in Europa, la pandemia e la crisi climatica.
In uno Stato poco attrezzato e poco efficiente quale fu la Repubblica di Genova nel secolo XVII, fu pensata e posta in essere una risposta improntata agli ideali della carità barocca. Si tratta di una mentalità molto distante dalla nostra, tuttavia colpisce la volontà di affrontare una questione pressante, costruendo una soluzione istituzionale. Colpiscono anche, ma in maniera opposta, le non-soluzioni del nostro tempo di fronte al medesimo problema, quello delle migrazioni dei poveri.

PUBBLICITA’

[1] Giuseppe Banchero, Genova e le due Riviere, p. 9. Pellas Editore, Genova 1846.

[2] Danilo Presotto: Genova 1656-1657 Cronache di una pestilenza, pp. 319-320, Società Ligure di Storia Patria.

[3] In particolare, la Guerra dei trent’anni, che si protrasse dal 1618 al 1648.

[4] Le politiche di internamento furono particolarmente estese in Francia: Le XVIIIe siècle a connu le grand renfermement. Les fous, les criminels, les déviants sexuels, les mendiants, les vagabonds, les malades incurables, tout le ban de la société était enfermé à l’Hôpital general. Le Monde. Mathurin Maillet. Mis en ligne le 11 février 2021.

Savona, 3 Gennaio 2023

Fabio Tanghetti Democrazia Solidale, Demos  Liguria   

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One thought on “Emanuele Brignole e i diseredati. L’Albergo dei Poveri: una soluzione a confronto con le non-soluzioni odierne.”

  1. L’ autore è una persona molto sensibile e scrive in maniera coinvolgente e stimolante!
    Un ringraziamento per la divulgazione e la cultura !!!

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