ECONOMIA, POLITICA E CLIENTELISMO Riflessioni di un Imprenditore (parte terza)

Come già significato nel precedente articolo la degenerazione della spesa pubblica è avvenuta a partire dagli anni ‘80 ed è esplosa in coincidenza col fenomeno della globalizzazione.

Prima dell’apertura graduale delle frontiere ai prodotti  finiti provenienti dai Paesi dell’estremo oriente, con l’abbattimento parziale dei dazi sulle importazioni, in Italia si verificava un fenomeno socialmente perverso ma economicamente equilibrato, e cioè: il Nord produttivo, con l’ausilio preponderante della forza lavoro proveniente dalla Italia meridionale, produceva la ricchezza, che poi veniva in buona parte distribuita attraverso la spesa pubblica al Sud, sotto forma di sussidi di ogni tipo, come pensioni di invalidità, lavoro pubblico inutile, investimenti farlocchi e migliaia di altri rivoli di spese considerate – o considerabili – alla stregua di “ammortizzatori sociali”,  che purtroppo erano spesso governate dalle mafie locali.
Dal punto di vista economico, il sistema testé descritto era a suo modo equilibrato, in quanto quei soldi del Nord che erano stati distribuiti al Sud, per la maggior parte ritornavano al Nord attraverso gli acquisti di merce prodotta in Padania; in poche parole il Nord produceva mentre il Sud, grazie ai sussidi ricevuti, consumava beni prodotti al Nord, cosicché i flussi finanziari che alimentavano questo circuito economico rimanevano all’interno del Paese, il quale se ne giovava.

Tale sistema – a suo modo perfetto – veniva perturbato con l’abbattimento della tariffe doganali e l’apertura delle frontiere alle merci delle c.d. economie emergenti (i famosi Paesi BRIC),  per cui i quattrini distribuiti al Sud ad un certo punto hanno smesso di ritornare al Nord nella misura di prima, ma in parte hanno cominciato a venire spesi per acquistare prodotti provenienti dall’estero, con il conseguente impoverimento dell’economia padana, vale a dire quella parte dell’economia nazionale che fino a quel momento aveva creato pressoché in toto la ricchezza necessaria per il sostegno dell’economia terziaria di tutto il Paese, grazie alla quale nelle leggi finanziarie di quegli anni gli scostamenti di bilancio erano minimi.
A partire dagli anni ottanta pertanto, sempre più italiani iniziano ad acquistare  beni prodotti dalle manifatture straniere,  che in genere costano meno poiché di qualità inferiore, ma soprattutto perché le industrie ubicate in quei lontani Paesi avevano – e tutt’ora hanno – di gran lunga meno costi di tipo contributivo, fiscale ed ambientale rispetto a quelli che devono sostenere le imprese Italiane.

Molti produttori nazionali, subendo così una concorrenza molto meno tassata, hanno iniziato a cessare la propria attività, oppure l’hanno delocalizzata in Paesi dove il clima è più friendly alle imprese: in poche parole, o hanno chiuso i battenti, o hanno portato armi e bagagli all’estero. Questo fenomeno ha inevitabilmente provocato una caduta vertiginosa dei contributi versati al sistema di welfare nazionale e, contemporaneamente, il terziario assistenziale ha iniziato a chiedere molte più risorse per aiutare coloro che si sono trovati dalla parte sbagliata della globalizzazione, cosicché lo Stato, per poter continuare ad alimentare il terziario, ha continuato incessantemente ad indebitarsi, con incremento astronomico gli interessi, il cui pagamento richiede ulteriore debito; insomma, si è venuta a creare una spirale viziosa senza fine.

Si assiste inoltre ad un effetto collaterale perverso, per il quale le sempre minori risorse a disposizione dello Stato vengono sempre più stornate al favore della spesa sociale, a scapito degli   investimenti nelle infrastrutture e nella ricerca, settori indispensabili a supportare le economie produttive, cosicché chi crea ricchezza si trova ad essere sempre più penalizzato.
Da recenti fonti ufficiali dell’Inps, risulta che oggi nel Centro Sud, contro 6 milioni di lavoratori attivi per lo più dipendenti del pubblico impiego, i pensionati sono 7,2 milioni, ai quali dobbiamo aggiungere i redditi di cittadinanza e il sistema della c.d. “accoglienza” – che cubano ulteriormente per un totale di 15 miliardi l’anno – per cui vi è una parte preponderante del Paese totalmente a carico dell’economia primaria, creata principalmente nelle regioni dell’area padana.

E’ lecito allora domandarsi, come può l’economia produttiva reggere a lungo con un fardello così pesante?

Purtroppo le già ridotte risorse  destinate al settore terziario, anziché essere impiegate per la creazione di infrastrutture e incentivi allo sviluppo, sono sempre più destinate ad attività di puro assistenzialismo finalizzato alla ricerca di voti politici, che non porterà mai alla creazione di economia vera, ma  di anno in anno caricherà ulteriormente il proprio peso sull’economia reale del Paese, aumentandone ulteriormente i costi di produzione, insomma siamo in presenza del classico gatto che si mangia la coda.

La globalizzazione ha di fatto scombussolato un po’ tutti  i sistemi economici del mondo occidentale, perché da una parte ha razionalizzato le produzioni a livello globale, abbassando il costo dei prodotti finiti, peraltro anche attraverso lo sfruttamento delle popolazioni del terzo e quarto mondo, ma ha altresì penalizzato le imprese occidentali più soggette a imposizioni ambientali e fiscali di gran lunga più gravose, soprattutto in Italia.
In questa situazione il nostro Paese si ritrova ad essere sempre più vulnerabile, e chi produce ricchezza si ritrova sempre più debole nei confronti della concorrenza proveniente dall’estero, dove con meno vincoli burocratici e con inferiori costi sociali i Governi locali possono investire in  infrastrutture e in ricerca più di noi.

In questa situazione cosa fa la politica?

Giorgio Gaber – Il potere dei più buoni

Intanto la politica, al contrario di quella postbellica di Alcide De Gasperi, che mirava al bene futuro del Paese, pensa a come sopravvivere alle prossime elezioni e pone i rispettivi partiti in difesa delle categorie di riferimento, che sono per i partiti di sinistra principalmente i lavoratori e i beneficiari dell’economia del terziario; il PD in particolare è il riferimento di quella enorme macchina che gestisce i poveri (il potere dei più buoni), mentre le 5 Cinque Stelle sono il riferimento dei poveri e dei finti poveri. Al contrario, i partiti di centrodestra, consapevoli della reale situazione e meno irresponsabili dei primi, hanno come riferimento le categorie dell’economia dei settori produttivi (primario e secondario) che non ce la fanno più a tirare il carro (o meglio il carrozzone!).

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In poche parole i partiti di centrosinistra invocano più tasse mentre quelli di centrodestra meno sprechi, quelli di sinistra più Stato controllore, quelli di centrodestra meno laccioli e più libertà di produrre ricchezza per creare occupazione produttiva, che è la vera economia.

E’ bizzarro che il vero partito delle tasse, cioè il PD, in questi giorni polemizzi per il ripristino delle accise sui carburanti di 18 centesimi al litro – abbassate temporaneamente dal Governo Draghi per l’elevato prezzo che aveva raggiunto la benzina a Marzo – quando le sinistre col il Governo Monti le avevano aumentate addirittura di 102 centesimi, per cui questi 18 centesimi oggi ripristinati li avevano messi proprio loro nel 2012!
“La Repubblica siamo tutti noi nel senso civico di chi paga le tasse” richiama il Presidente della Repubblica Mattarella, perché pagare le tasse serve a fare funzionare l’Italia. Il nostro Presidente però si dimentica che i settori Primario e Secondario possono operare a pari armi se hanno una tassazione giusta, una Giustizia efficiente, una scuola efficace e delle infrastrutture all’altezza delle sfide che dobbiamo affrontare: ma soprattutto meno sprechi, cosa che nel nostro Paese non avviene.

G.Andreotti

A tal proposito, da fonti ministeriali risulta che in Italia vi sia un’evasione fiscale effettiva di 100 miliardi all’anno, per lo più di IVA, rilevata specialmente in certe zone del Paese, e contemporaneamente vi sono sprechi per un importo di 250 miliardi, di cui molto spesso ci si dimentica.
A questo punto domando ai lettori: dobbiamo continuare a campare con il motto di Andreotti “finché la barca va” o dobbiamo sperare che si cambi filosofia?
In questi ultimi anni certamente la filosofia di Andreotti non è cambiata. Non ci resta che sperare che il futuro possa essere diverso.
Chi vivrà vedrà: specialmente coloro che non hanno il prosciutto negli occhi o interessi intrinsechi giudicheranno.

Silvio Rossi (FEDERALISMO Sì)

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