Economia e sviluppo, non ambiente

Economia e sviluppo, non ambiente
Il vero realismo è inseguire l’utopia

Economia e sviluppo, non ambiente
Il vero realismo è inseguire l’utopia
  

Provocano una grande stanchezza le obiezioni ripetute e stantie, disinformate o in malafede, espresse per slogan.

Quelle di chi è pronto a etichettare. Ambientalisti, pantofolai, arretrati, quelli delle candele e del carretto, quelli del no…

Occorrerebbe una buona volta rovesciare la prospettiva. Dire chiaro e forte che NOI siamo quelli delle proposte, del progresso, del futuro. I veri arretrati sono gli altri, quelli che si crogiolano in progetti devastanti e obsoleti solo perché sono soldi facili per qualcuno. Solo perché sono comodi, tranquilli, sperimentati, non richiedono grossi sforzi di pensiero, né trasformazioni progettuali, si inseriscono nel solco del passato, quando tutto era lecito, bastava avere i capitali e volerli impiegare. 

Anzi no, peggio, perché ora preferibilmente o circolano capitali di origini non così chiare, oppure si vuol realizzare tutto e arricchirsi sfruttando finanziamenti pubblici.

Soldi dei cittadini, cioè nostri. Magari utilizzando anche beni demaniali. 

Nel frattempo, i danni dei progetti di un tempo, dell’industria pesante, del carbone, delle scorie, dell’inquinamento, ci sono rimasti tutti, mentre l’industria stessa, che almeno dava posti di lavoro, se ne è andata da tempo, colpita dalla crisi. Sono rimasti solo pericolosi cascami ad altissimo impatto e bassissima utilità occupazionale e sociale. 

Come minimo, le uniche trovate di chi ci governa, della politica e dell’economia sono volte a resuscitare quel passato, come una sorta di zombi.

E proprio come lo zombi non è che immagine raccapricciante di un vivente, questi nuovi progetti sono simulacri di occupazione e sviluppo, caricature degne degli Addams di ciò che un tempo, almeno, aveva una sua dignità, per quanto pesante per il territorio.

Oppure somigliano a malati terminali tenuti in vita con le macchine. Come i due gruppi obsoleti della centrale di Vado.

Progetti nati già vecchi, già sovradimensionati, fuori tempo massimo, come la piattaforma Maersk. 

Sui quali si insiste con ostinazione.

Da quando ci sono state le prime avvisaglie della crisi internazionale, fino allo scoppio vero e proprio, nulla è cambiato, nei discorsi, nei propositi, nella strategia.

Al massimo qualcuno si è spinti a dire che se si investe ora in certe grandi opere, si sarà pronti per quando la crisi sarà passata, e tutto, i traffici, l’economia, i consumi, riprenderà a correre felice.

Ma davvero sarà così? Davvero possiamo illuderci di essere in presenza di un malessere temporaneo, dell’ inciampo momentaneo di un meccanismo?

Tutti gli indizi, tutti i fattori, per chi voglia guardare a fondo, indicano che non è così, che questa crisi è strutturale e profonda. Perché un sistema basato sulla crescita illimitata in un mondo dalle risorse limitate, sul mercato che si automodera quando sappiamo bene che, se si tratta di avidità di potere e guadagno l’essere umano che già ha, non si modera affatto, non può essere un sistema stabile e destinato a durare e prosperare.

Un filo invisibile lega le proteste in Grecia, le rivolte in Nord Africa, la crisi in Irlanda, Islanda, Spagna e prossimamente Italia, i salvataggi delle banche, le bolle immobiliari, i rincari dei beni di prima necessità, le speculazioni internazionali…

Persino molti autorevoli economisti, anche nell’Occidente ultra liberista, cominciano a contestare le sacre dottrine del capitalismo trionfante. Con gli strumenti stessi dello studio economico.

Dunque non si tratta di illusi, utopisti, no global, ambentalisti eccetera, ma di esperti del settore, interni al settore e al sistema, che lanciano l’allarme.

Perciò ci sentiamo autorizzati a dire che un mondo che basa tutto sul PIL, sulla crescita, non può funzionare né portare a sviluppo, progresso, miglioramento diffuso delle condizioni e della qualità di vita. Per sua stessa natura il PIL cresce quando ci sono guerre e calamità naturali (le famose risate degli imprenditori per il terremoto dell’Aquila).

Può avere senso questo? Già Bob Kennedy lo denunciava. Magari non è stato ucciso per caso.

Noi ci sentiamo autorizzati a dire che siamo a un bivio: o un mondo sempre più fuori controllo, disumanizzato, con divario spaventevole fra ricchi e poveri, con enormi masse di disoccupati o di schiavi del lavoro, con guerre “programmate” e rivolte, con un ambiente irreversibilmente devastato, con le risorse dilapidate, un’eredità insopportabile per le generazioni a venire, o un cambio di rotta immediato, maggiore consapevolezza, partecipazione, investimenti su tecnologie, informazione, cultura, creazione di un modello di vita ed economia più a misura d’uomo, di comunità, di ambiente.

 E allora, non è per nostalgie passatiste, illusioni, velleità ingenue che diciamo NO ai tanti devastanti progetti che coinvolgono e circondano la nostra città, e SI’ alle ipotesi di sviluppo alternative, più faticose forse, più impegnative, più a lungo termine, ma le uniche che possano portarci fuori dal guado. 

Nel disastro economico che ha coinvolto la nostra zona con la chiusura delle grandi fabbriche, la crisi delle imprese statali e parastatali, una opportunità c’è, se vogliamo: abbiamo subìto in anticipo i contraccolpi più grossi, possiamo impegnarci a cambiare strada.

 Perché siamo sicuri che i progetti perseguiti dalla classe politica più miope e squallida della storia, vecchia di età e di spirito, dilapidino risorse economiche e naturali, siano clamorosi errori strategici che ci portano sempre più lontano da qualsiasi obiettivo di ripresa durevole e positiva.

 Ha senso investire sempre più in strade e parcheggi, quando il petrolio non è illimitato, quando l’inquinamento da traffico è alle stelle, quando già ora il mercato dell’auto è a saturazione, quando la crisi spinge a limitare gli spostamenti?

 Non sarebbe meglio razionalizzare i trasporti e investire in quella tecnologia che consente di lavorare e produrre senza tragitti inutili?

 Ha senso investire in centri commerciali, costruire dappertutto, quando la vera ricchezza del futuro sarà il territorio? Quando i centri commerciali portano lavoro precario e spersonalizzato, uccidendo il tessuto cittadino?

 Ha senso svendere il patrimonio pubblico e utilizzare il ricavato per le spese correnti? Non sarebbe meglio razionalizzare e risparmiare?

 Il futuro si può costruire giorno per giorno, con tante piccole scelte. Oppure, si può far finta che non ci sia, che non abbia importanza. Ma andiamo a raccontarlo ai nostri figli, ai nostri nipoti, che ci guardano negli occhi e che erediteranno ciò che noi gli lasceremo.

  

Milena Debenedetti   candidata Sindaco per il… movimento 5 stelle 

La Stampa censura l’Unione Cittadini e Comitati di Savona!

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