Economia

Le venerande istituzioni stanno mettendo in atto una guerra ad alzo zero contro noi cittadini, visti esclusivamente come contribuenti da spennare e poi gettare come  relitti improduttivi
CREDITORI E DEBITORI

Le venerande istituzioni stanno mettendo in atto una guerra ad alzo zero contro noi cittadini, visti esclusivamente come contribuenti da spennare e poi gettare come  relitti improduttivi
CREDITORI E DEBITORI

Ho avuto modo di constatare che la puntata di Report di domenica scorsa ha sconvolto parecchia gente; persino chi ha spesso considerato discorsi come i miei su banche e denaro dal nulla alla stregua di divagazioni “naif”.

Bene, ora abbiamo potuto vedere come trattano noi tutti, senza eccezioni, le nostre “istituzioni”, tanto elogiate nei discorsi ampollosi dei politici, in quanto stanno lì a garanzia dei loro vergognosi privilegi, con l’aggravante, rispetto alle banche, che non hanno finalità di lucro ma di pubblico servizio.

Le venerande istituzioni, dunque, stanno mettendo in atto una guerra ad alzo zero contro noi cittadini, visti esclusivamente come contribuenti da spennare e poi gettare come  relitti improduttivi. Il metodo è identico a quello dei malavitosi: se ti do dieci ne voglio in cambio venti. Se non ce la fai, invece di venirti incontro, aggravio ancor più il tuo debito, elevando gli interessi, anzi moltiplicandoli quanto più insolvente diventerai. La malavita chiude il conto incaprettandoti, il fisco spogliandoti “legalmente” di ogni avere. Un contribuente in meno; un peso per la società in più.

A ben guardare, tuttavia, il crescente incattivimento degli organi “delle entrate” non è sconnesso dagli appetiti del circuito bancario transnazionale. Vediamo perché.

Se gli attuali insolventi, in numeri che la crisi non ha fatto che accrescere, sono soprattutto i piccoli imprenditori, che hanno dovuto attingere e dar davvero fondo ai propri fondi per barcamenarsi nelle acque procellose della tempesta perfetta, tuttora in pieno corso, i prossimi saranno gli Stati. E ciò proprio grazie alla loro miope politica vessatoria che sta trasformando i loro cittadini da contribuenti a nullatenenti o, peggio, cassintegrati ed usufruttuari di sussidi statali. Insomma, i prossimi “contribuenti” (insolventi) non saranno più solo i cittadini, ma gli stessi Stati, dissanguati dagli interessi crescenti che verranno richiesti dalle banche e dagli investitori esteri per il collocamento dei loro “pagherò”: i vari BOT, CCT, BTP et sim. E le varie Agenzie delle Entrate cambieranno il cartello in Agenzie delle Uscite. La logica dei prestiti, d’altronde, è la stessa del gioco d’azzardo: meno credenziali hai e più alto l’interesse; più bassa la probabilità di vincita, più alto il premio pagato. E il pagamento del premio ha priorità su ogni altro, pena il declassamento delle agenzie di rating, e quindi interessi maggiori.

L’elenco degli Stati già insolventi o prossimi ad esserlo si allunga mese dopo mese, perché la crisi taglia il lavoro, i consumi privati, e quindi gli introiti fiscali. Il che dovrebbe suggerire agli Stati di comportarsi alla pari dei cittadini ai quali chiedono sacrifici,  e cioè di ridurre gli sprechi, i privilegi, le attività “mangiasoldi” (a cominciare dalle varie “missioni di pace” per ostentare un vano prestigio internazionale). Ma questa è l’ultima cosa che le classi politiche sono disposte a fare, reggendosi di fatto sulle elargizioni mirate verso coloro che sperano le manterranno al potere, non importa se su Paesi sempre più alla deriva verso la mera sopravvivenza. Anzi, forse meglio, così saranno tutti ancora più ricattabili, dietro il miraggio di un posto di lavoro, di un favore, di un’elemosina.  

L’accanimento del fisco verso i cittadini denota la totale assenza di comprensione della straordinaria gravità della crisi attuale, che comincia a colpire gli stessi Stati che, attanagliati da un lievitante debito pubblico verso le banche, tentano di rifarsi infierendo sui cittadini, col risultato di impedir loro di lavorare e quindi di sostentare se stessi e gli Stati: basta contare quante serrande commerciali e cancelli di fabbriche sono stati chiusi e stanno chiudendo per “palpare” la situazione reale, per capire dove stia affondando i denti la cieca e spietata burocrazia esattoriale.

La Grecia è solo l’anello più debole della catena che salta. Probabilmente non riuscirà a far fronte al debito che l’angaria e uscirà dall’euro. La qual cosa è vista da tutti come la massima disgrazia; mentre potrebbe essere un cammino verso una più sobria libertà: quella di poter svalutare la propria moneta, dopo aver rifiutato di pagare –stavo per dire “onorare”- i suoi debiti verso il sistema bancario. Una via d’uscita preclusa, finché si resta nell’area euro e si dipende da decisioni prese a Basilea o a Francoforte.

Si consideri che l’euro, tanto ardentemente voluto dai vari padri della patria, Ciampi in testa, ha portato a casa nostra un’inflazione  galoppante, col raddoppio e più dei prezzi di merci e servizi nel giro di 7-8 anni, mentre stipendi, salari e pensioni sono rimasti vincolati a un cambio fatto su misura per la vera moneta unica europea: il marco tedesco; dimezzando ipso facto il potere d’acquisto generale.

Dopo la Grecia, altri Stati saranno costretti a seguirne l’esempio, ripudiando il pagamento dei debiti ai vari organismi internazionali, IMF in primis. Se una persona non è in grado di pagare non paga. E ne affronta le conseguenze. Un usuraio le spezzerà le gambe; uno Stato le pignorerà ogni cosa. Ma anche uno Stato, se non può pagare, non paga. E nessuno comprerà più i suoi Buoni del Tesoro, mentre la sua divisa si svaluterà. Quante volte è stata svalutata la lira? Col risultato, nel breve, di dare fiato alle nostre esportazioni, limitare le importazioni e i viaggi all’estero. Fino alla prossima svalutazione. In questo gioco erano i creditori a perderci, se i debiti non erano attualizzati. Oggi questo gioco al ribasso lo stanno facendo persino Stati un tempo in avanzo, come gli USA, composti di 50 Stati, oggi tutti in disavanzo, tranne uno: il North Dakota, non a caso l’unico a disporre di una sua propria banca pubblica.

Le cifre del debito pubblico ed estero americano, che crescono giorno per giorno, anche a causa delle costosissime guerre che gli USA conducono in varie plaghe (mentre le infrastrutture a casa loro si sgretolano), sono talmente astronomiche che è difficile tenerne un conto aggiornato. L’ordine di grandezza è di decine di trilioni di dollari. Come mai, allora, la Grecia si trova a un passo dal fallimento e gli USA no? La differenza la fa il rispettivo peso finanziario: come nel caso delle banche, si lasciano fallire quelle più piccole e si salvano quelle too big to fail. Finora gli USA si sono salvati dal crac proprio grazie al fatto di essere debitori troppo grossi perché i loro creditori (gli Stati che detengono montagne dei loro Titoli di Stato, come Cina e Giappone) abbiano interesse a metterli in default, ritrovandosi con montagne di carta straccia. (Tuttavia, le aste dei Treasuries  americani sono gradualmente disertate da chi ha finora sostenuto le abbuffate consumistiche d’oltre Atlantico, preferendo rimpinguare con oro anziché dollari i propri forzieri; e i tassi dei Treasuries, con la rarefazione dei compratori, stanno risalendo).

Diverso è il discorso per i “piccoli”. Si veda l’elenco dei più malmessi nel grafico che illustra il calo del PIL anno su anno nel 4° trimestre 2009. Calo del PIL che significa meno produzione, meno entrate fiscali, maggiori spese sociali; o, in alternativa, più tasse e meno spese sociali, ossia proprio le misure richieste dai soliti enti sopranazionali per ridurre le nazioni nell’indigenza perenne. 

Calo del PIL nel 4° trimestre 2009 anno su anno

Naturalmente la falcidie degli Stati sovrani, causata dai loro debiti inesigibili, comincerà dai più deboli, come quelli elencati, e poi toccherà via via a quelli più grandi. Quando la stessa sorte si prospetterà per i pesi massimi, quelli cioè che hanno sinora dettate le regole, questi tenteranno di metterne in campo qualcuna che li salvi, come accadde nel 1971 allorché Nixon sganciò il dollaro dall’oro. Faranno anche loro quello che avranno fatto i piccoli: svaluteranno selvaggiamente la propria divisa. Se non ci saranno forze creditrici capaci di contrastarli validamente, la cosa finirà lì. Se invece si profileranno forze altrettanto formidabili, e non più disposte a finanziare le loro follie accettando i loro Titoli di Stato, le cose prenderanno la solita piega: una guerra a tutto campo per la supremazia in un mondo nel frattempo in accelerato ritiro dal “paradiso” globalizzato in cui siamo stati trascinati nell’ultimo ventennio.

Se qualcuno nutrisse dubbi sull’eventualità di bancarotte sovrane a catena, si veda il grafico di fonte IMF, che ne fa il conto dai primi anni del secolo scorso: niente di così nuovo sotto il sole.

Gli unici a non preoccuparsi più di tanto sono i nostri governanti, tutti presi dalle “riforme” costituzionali ed elettorali, nonché dalle ricorrenti leggi a salvaguardia del loro Numero Uno. E nessun patema per gli stuoli dei senza lavoro; né una parola o un provvedimento per placare le vessazioni degli uffici esattoriali: stanno lavorando per loro (e per le banche). C’è da capirli. Del resto, chi gliela fa fare? La gente continua a votarli.

Boom dei fallimenti sovrani per aree geografiche

Marco Giacinto Pellifroni                                                                    18 aprile 2010

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