Economia

DAL BARATTO AL DENARO
 AL NULLA AL GIOGO PLANETARIO

DAL BARATTO AL DENARO
 AL NULLA AL GIOGO PLANETARIO

Nel libro “Il partito mediatico” che andrò a presentare il 28 aprile prossimo assieme al suo autore, prof. Giorgio Girard, c’è un capitolo intitolato “Il linguaggio della borsa valori”, che conclude così: “Il baratto esprime la sostanza che il mercato, il denaro e la Borsa non hanno. Il valore d’uso è sostanziale, quello di scambio è effimero nella sua [pretesa] onnipotenza.”

Vediamo di estrarre da queste sintetiche affermazioni i loro più espliciti significati per via di esempi.

Se io ho 4 sedie e le scambio alla pari con un tuo tavolo non si ha aggiunta alcuna di ricchezza al patrimonio della nazione in cui entrambi viviamo. Si è avuto solo uno scambio di valore d’uso, da un soggetto a un altro, per meglio soddisfare le reciproche esigenze. La produzione di ricchezza, solida, si è avuta solo all’atto della fabbricazione dei due tipi di beni, creandone con ciò stesso il rispettivo valore d’uso.

In casi come questo le esigenze di entrambi i soggetti sono contemporanee, e i soggetti stessi hanno riconosciuto, senza passare per l’astrattezza dei numeri, l’equivalenza di valore delle merci barattate. (È ben nota la barzelletta dello scambio di un cane da un milione con due gatti da mezzo milione).

Naturalmente i casi della vita non sono riducibili a scambi così corrispondenti e immediati; e nasce pertanto la necessità di ricorrere all’attribuzione di valori, che possono non essere multipli l’uno dell’altro, e cioè divisibili. Prendiamo l’esempio dello scambio di una casa, il cui valore non è divisibile ed ha un valore assai maggiore della quantità, diciamo, di grano, di cui il cessionario ha bisogno. Ovvero pensiamo allo scambio di sostanze disponibili in tempi diversi e quindi necessitanti di forme di pegno a garanzia del debito/credito tra le parti: esempio calzante è quello dell’agricoltore che necessita di un aratro per dissodare il campo e prepararlo alla semina oggi, con la conseguente capacità di scambiarlo col grano che maturerà solo a mesi di distanza.

Nasce allora l’esigenza di quantificare numericamente, secondo multipli di una sostanza base prefissata, il valore dei beni scambiati. Questa sostanza ha avuto molteplici vesti nell’antichità, e doveva corrispondere a beni di utilità il più possibile generalizzata: ad es. il sale o vari metalli, che poi assunsero carattere di monete.

L’esigenza della moneta nasce quindi con l’espandersi della gamma dei beni e con la loro disponibilità in epoche diverse dell’anno, nel caso tipico delle derrate alimentari, o in anni successivi, nel caso di beni strumentali o di fruizione stabile (ad es. materiale edile).

È molto istruttivo leggere quanto Aristotele ebbe a dire a proposito del denaro.

Il denaro, per essere “buono”, deve avere cinque qualità: essere durevole e divisibile, essere solido e maneggevole, e infine avere valore intrinseco. L’unica sostanza che possiede tutte queste qualità è l’oro; l’argento viene secondo, essendo corrodibile e con valore intrinseco di 1/60 rispetto all’oro, quindi meno pratico per grosse transazioni. Terzo in classifica viene il rame, ancora più “vile” dell’argento.

Qualità comune a tutti questi metalli, comunque, è quella di essere sostanza e quindi di non essere riproducibile ad libitum. Tenendo fermo l’imperativo di possedere, in maggiore o minor grado, le cinque qualità indicate da Aristotele, le monete coniate in quei metalli rispondono dunque in maniera soddisfacente all’esigenza di sostituire lo scomodo baratto con il denaro. Ciò salva quest’ultimo dall’arbitrio di chi si ammanta del diritto di emetterne secondo i suoi sogni di onnipotenza, ponendovi un limite fisico ben preciso.

In altri termini, se il signore di turno non largheggia troppo nel cosiddetto “signoraggio”, ossia nell’attribuire un valore troppo superiore alla moneta rispetto al valore intrinseco del metallo di cui è composta, e se non “bara” mescolandola in lega con metalli meno pregiati, il pericolo di inflazione, ossia di perdita del potere d’acquisto della moneta, non si pone. Gli ultimi secoli dell’impero romano furono invece caratterizzati dal valore sempre più vile dei metalli usati per il conio, proprio nel tentativo di barare coi numeri, rispecchiando nella qualità della moneta quella delle finanze imperiali, sempre più traballanti per la disparità tra ricchezza prodotta e fasti di corte e, soprattutto, spese militari per imporre alle popolazioni sottomesse il pagamento di tributi sempre più insostenibili.


Il ‘900 è riuscito nella disinvolta impresa di portare la frazione del signoraggio vicino al 100%, ossia togliendo alla moneta la sua sostanza, il suo valore intrinseco, venendo meno ad uno dei cinque punti fermi aristotelici, col sostituire ai metalli più o meno pregiati della semplice carta (le banconote) o addirittura dei numeri elettronici su un computer o una carta di credito. In tal modo, l’aristocrazia finanziaria ha raggiunto il suo obbiettivo ultimo: creare denaro secondo i suoi capricci, dimenticando che esso dovrebbe rappresentare il valore della ricchezza prodotta da una nazione, e non un euro, dollaro o altra divisa, di più.

Questo sistema ha introdotto, in maniera quasi naturale e celandone i pericoli, la natura di debito all’interno del denaro. Debito su scala privata e deficit su scala pubblica: prelevare soldi da un’ipotetica ricchezza prodotta in futuro e spacciarla come presente già oggi. L’indebitamento può persino protendersi verso generazioni future, con la stessa leggerezza che l’uomo moderno ha adottato anche in ambito fisico, prelevando a iosa risorse naturali non rinnovabili, di fatto sottraendole al godimento dei posteri.

Per rendere ancora più lampante il concetto, pensiamo ad una centrale termoelettrica. L’elettricità che produce è istantanea e deve essere consumata subito, o venire accumulata sotto diversa forma (chimica, meccanica, gravitazionale). Ma non si può consumare adesso l’energia elettrica che sarà prodotta domani. In natura non si può mangiare oggi un frutto che maturerà l’estate prossima. Questo è invece quello che oggi ci si illude di fare a livello sia privato che pubblico. Ciò che permette questa anticipazione del futuro è il denaro, che può essere creato e speso in esubero rispetto alla ricchezza effettivamente prodotta, fingendo che rappresenti quella futura. I sacerdoti di questo miracolo contro natura sono i banchieri, con la complicità dei governanti. La funzione di questi ultimi è quella di imporre per legge che i crediti pubblici o privati possano essere quietanzati mediante la corresponsione di denaro cartaceo, scritturale od elettronico, anche se privo di solida garanzia (il sottostante che l’emittente di obbligazioni è tenuto invece a specificare).

Chi detiene il potere di emettere, a suo insindacabile arbitrio, queste diverse forme di denaro, senza che sia verificabile la sua copertura in ricchezza reale, ha in pugno l’intera nazione, compresa la classe politica, che può permettersi di comprare.

Tenendo a mente l’esempio della centrale termoelettrica, che non può barare con i kwh prodotti, aggiungendo oggi quelli che produrrà forse domani, trasferiamoci in una Borsa valori. “Nell’annullamento del tempo –scrive Girard- in Borsa tutto è anticipato, vi si registra come già accaduto quanto ancora deve avvenire.”

Ciò spiega l’isterico fluttuare delle quotazioni di un’azienda, trasformandola dalla cosa concreta che è in un suo simulacro, in un “titolo” il cui valore varia di minuto in minuto a seconda degli umori, delle notizie –vere o artefatte- e dell’eterno conflitto degli investitori tra avidità e paura. In Borsa vige allo stato puro il valore di scambio, con la mortificazione totale del valore d’uso. L’esempio più emblematico sono i futures, ossia gli acquisti oggi di merci al loro valore presunto di qui a qualche mese. La loro natura eterea è documentata dal fatto che il 97% di questi acquisti sono virtuali, volatili scommesse sul futuro, come sul punto di arresto della pallina nella roulette.
L’errore dell’epoca moderna, osserva acutamente un economista monetario americano, Dough Casey, è quello di scambiare per denaro quello che in realtà è debito. Tutto il denaro in circolazione è nato come debito di qualcuno –privato o entità pubblica- verso qualcun altro. Che guarda caso, è il sistema bancario, che ha emesso all’origine tutto il denaro circolante come debito verso se stesso, grazie alla libertà di stampare banconote o concedere mutui, nell’assunzione che il loro corrispettivo, ossia il prodotto del lavoro necessario a ripagare la banca per il sedicente prestito accordato, fosse opera dello stesso sistema bancario. A dimostrazione che la pietra filosofale esiste veramente con i banchieri come moderni alchimisti! Dough Casey ironizza che essi sono riusciti a far credere alla gente che le sia possibile fare ciò che in effetti fanno solo loro: avere qualcosa in cambio di niente, quando la realtà è esattamente all’opposto, come stanno accorgendosi a proprie spese tutti coloro, a cominciare da enti pubblici comunali, provinciali e regionali, che si sono affidati ai pelosi consigli delle grandi banche d’affari indebitandosi nei derivati. Oggi siamo al paradosso che l’anno scorso, per la prima volta dal 1988, le banche centrali hanno smesso di vendere oro e ne sono anzi diventate acquirenti, in volumi che non si vedevano dal 1964 (+425 ton). Quei banchieri centrali che, mentre hanno sempre svilito l’oro come un relitto del passato, si sono messi a farne shopping (in primis Cina, India e Russia), lasciando trapelare quanta scarsa fiducia abbiano ormai nel denaro creato dal nulla, cioè da loro stessi! (Ciò mentre i normali investitori hanno smesso in buona parte di comprarne, illudendosi che la crisi sia finita: – 26% l’Eagle americano e -80% la filarmonica austriaca, anno su anno). Coerenti con questi improvvisi acquisti, Cina e Russia premono perché nel paniere delle varie divise entri a pieno titolo anche l’oro, rappresentato da una moneta “apolide”, mostrata da Medvedev al G8 dell’Aquila, per ridimensionare il ruolo del dollaro nelle transazioni internazionali, petrolio in testa.

È in base a questi madornali equivoci su cosa abbia realmente sostanza che siamo giunti alla crisi monetaria tuttora in pieno svolgimento, accentuata dalla sudditanza dei vari governi al cartello bancario sovranazionale, con epicentro nella BIS (Bank of International Settlements) a Basilea. Una sudditanza che li ha portati ad abdicare alla facoltà di emettere moneta pubblica secondo il criterio del buon paterfamilias, in proporzione alla creazione di vera ricchezza, con ciò concedendo a un gruppo di banchieri privati lo scettro del potere sui popoli. Altro che rispetto della Costituzione, qui si sono macchiati di alto tradimento tutti i governi che hanno abboccato a questo insidioso amo, dapprima su scala nazionale, poi sovranazionale. Il varo dell’euro, cui tutti si sono svenati per aderire, è stato il capolavoro di quelle forze che trescano per portarci verso una moneta unica mondiale, e quindi verso il Nuovo Ordine Mondiale, sogno massimo dei tiranni e dittatori di ogni tempo. La globalizzazione finanziaria non è che il primo passo verso questo traguardo, lungo una strada disseminata di crisi economiche senza precedenti e probabili guerre su scala planetaria per affermare la primazia ora di questo ora di quel potentato.

  Marco Giacinto Pellifroni                                                        21 marzo 2010  

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