Ebbene sì, demonizzo il privato

Ebbene sì, demonizzo il privato

Ebbene sì, demonizzo il privato

 Ci sono frasi fatte, ripetute fino alla banalità, come mantra, al punto da perdere un qualsiasi significato, tipo il famoso e mai sufficientemente lodato “conciliare lavoro e ambiente”.

O meglio, un significato ce l’hanno, di solito molto diverso da quello letterale e molto sottinteso. Per i pochi intimi che si preoccupano di cercarlo. Per gli altri basta lo slogan.

Un’altra frase che si sente spesso, è che non bisogna “demonizzare il privato”.  Quasi che i contrari alla svendita dei beni pubblici fossero esorcisti invasati dediti a formule di scongiuro e oscuri riti catartici, superstiziosi e ignoranti fanatici che non sentono ragione.

La frase si accompagna di solito, garbata, con: “non sono a favore del privato, ma non bisogna neppure demonizzarlo”.

Che vuol dire? Niente. Appunto. Perché più che demonizzare, di solito ci si riferisce a dati di fatto concreti. Altro che.

Altrettanto famoso e ricorrente è: “io sono per il pubblico, ma…”

Analogo a non sono razzista ma, non sono maschilista ma… eccetera eccetera.

Quel “ma” è il trionfo dell’ipocrisia.  Irrita e prende in giro più di qualunque cosa.


Il forno crematorio di Savona che sta per essere privatizzato 

Signori miei, visto che già avete deciso, per ideologia vostra, o molto più banalmente per convenienza politica e non, per accordi e appoggi elettorali, di lobby e consorterie, di spalancare le porte ai privati, almeno abbiate la decenza di non fingervi paladini del pubblico, tristi e riluttanti a tradirlo. Plaudo, in questo senso, (per modo di dire) all’assessore Montaldo: almeno lui ha espresso chiaramente la propria intenzione di privatizzare la cremazione senza eufemismi, distinguo, giri di parole. Ma è stato l’unico.

Caratteristica tutta italica e principalmente portata in voga dal centrodestra berlusconiano: proclamare una cosa per fare il contrario, sbandierare idee più o meno nobili, (spesso meno), accarezzare la pancia dei propri elettori ammiccando, e nascondere crude porcherie, banalità, incapacità di governo.

La Lega è maestra in questo. A Savona hanno fatto da traino al centrodestra per la vittoria elettorale, proclamando cambiamenti, pulizia in Comune, rinnovamento in Ata, difesa dei beni pubblici… E guarda un po’. Ora tutti buoni, orecchie basse e rassegnazione, a continuare, virando al peggio, la politica di centrodestrasinistra, stessa salsa privati e cemento e uso discutibile dei fondi pubblici, con in più infarciture ideologiche pericolose, e depurata dal sociale.

Idea, quella del fumo negli occhi, dei programmi di sinistra e delle opere di destra, fatta propria anche dal PD. Solo che loro, contrariamente agli altri che ci marciano, si fanno sgamare più facilmente dall’elettorato. Non hanno abbastanza allenamento.

Anni fa, molti anni fa, in pieno berlusconismo, ben prima dell’avvento di Grillo e seguaci e del discorso su pidielle-pidimenoelle, ben prima delle leggi elettorali per limitare la democrazia, ben prima delle larghe intese, ci fu un teorico di sinistra che scrisse un libro, che destò scalpore. Mentre non era che una anticipazione della realtà.


Cosa disse, in sostanza, il personaggio di cui mi duole non ricordare né il nome né il libro? Disse che in Italia ormai c’erano due destre, una più populista, quella berlusconiana, una più liberista, gli eredi del PCI.

Entrambe dedite comunque a svendite di beni pubblici e privatizzazioni.  Lo stesso studioso descrisse un altro concetto che dovrebbe essere ovvio per tutti, ma tale, a quanto pare, non è.

Un servizio affidato ai privati non potrà mai, per intrinseche caratteristiche, essere migliore di un pubblico efficiente.  Una questione matematica.  Il pubblico con tasse e tariffe deve arrivare al pareggio con i costi, il privato deve avere un margine di profitto. Di solito il più ampio possibile, per giustificare lo sbattimento con gli azionisti.

I fautori del liberismo vi spiegheranno che lo ottiene con mirabolanti effetti speciali che il pubblico non ha. Mitizzeranno le capacità organizzative e manageriali. Cosa che può dire solo chi non conosce come funzioni nelle grandi aziende. Chiunque abbia vissuto e lavorato in una struttura di quel tipo risponderà con una omerica risata. Vi diranno che il pubblico non potrà mai essere efficiente, che sprechi e burocrazie sono connaturati ad esso.

Ma nei fatti, è vero, questo?

Alcuni servizi pubblici gestiti in modo responsabile hanno dimostrato di poter funzionare e, importante,  di rispettare la dignità e i diritti di chi ne usufruisce.  Il pubblico, in teoria, è dalla parte del cittadino, è il cittadino stesso, e questo dovrebbe voler dire tutela.

Viceversa, di privati che funzionino bene mantenendo tariffe e servizi adeguati, trovatemene uno. E non parliamo solo dell’Italia, eh…  Dopo le ondate di privatizzazione della iperliberista Tatcher, la Gran Bretagna riscontrò così tanti disastri che fu costretta a fare in parte retromarcia.

E stiamo parlando della civile Albione, non della caotica e corrotta nostra penisola.

Di solito la privatizzazione come avviene? Tramite gara pubblica o meccanismi ancora più diretti il privato acquisisce, a prezzo di solito molto molto conveniente per lui, (sarebbe il caso di dire si impadronisce di) un bene o servizio pubblico.


 In Italia va di moda la privatizzazione a metà: ossia le clausole contrattuali prevedono spesso che la gestione delle reti e la manutenzione siano a carico pubblico totale o parziale.  Gli utili, ovviamente, no.

Il privato ha interesse a massimizzare i guadagni e minimizzare le spese.  Se investe, sarà solo dove lo ritiene particolarmente conveniente. I servizi di nicchia saranno trascurati e ridotti, alla faccia di chi ne ha bisogno.

Il contenimento dei costi, oltre che con il taglio di cui sopra, potrà avvenire minimizzando le manutenzioni a suo carico, tagliando e taglieggiando il personale, ridotto e con minori tutele contrattuali, peggiorando la qualità del servizio secondario per infiocchettare i servizi “privilegiati”, diminuendo le specifiche, risparmiando sul materiale.

L’attenzione al profitto comporterà quasi sicuramente un aumento delle tariffe, a parità o peggioramento di servizio.

E un’occhiatina, di sfuggita perché non interessa mai a nessuno, all’aspetto ecologico e sostenibile. Vi pare che un privato, che più consumi più guadagna, si preoccuperà di farti risparmiare acqua, luce, energia eccetera, per questioni ambientali? Metterà tariffe che premiano il risparmio, oppure tenderà a incoraggiarti a incrementare, con offerte bonus, massimali convenienti, prendi due paghi uno eccetera?

Chi ci guadagna, da una situazione del genere? Il cittadino, che prima si è visto defraudato di qualcosa che comunque era suo, godrà in ogni caso dei benefici, vedrà dei miglioramenti?

La risposta è quasi certamente, tranne rare eccezioni, no.  Nella pratica, almeno, poi sulle teorie si può discutere, ma è la pratica che vediamo tutti i giorni.

Guardate che mi baso su storie pregresse, su dati di fatto, non ipotesi astratte.


 Fatevi dire, da qualcuno che è stato in USA per esempio, come funziona la sanità privata con assicurazione.  Ascolterete storie allucinanti. Gente che muore perché non può curarsi.

Eppure, da tutti i fautori del “sono per il pubblico ma”, ci sentiamo accusare di essere “ideologici”, come ha detto il consigliere Martino nell’ultima inutile Commissione Prima (a cose già decise da mesi, spreco di energie, soldi e tempo).

Dei grillini accusati di essere ideologici, è comico a sentirsi.

A costoro ricordiamo che chiediamo solo il rispetto della volontà calpestata degli italiani, che con un referendum hanno espresso una chiara maggioranza a favore dei servizi pubblici.

È “ideologico” chiedere che sia rispettata la volontà della maggioranza, dai partiti che in teoria dovrebbero rappresentarla, o è pura e dimenticata democrazia?

Per quanto ancora il giochetto che basti dirsi a parole fautori del pubblico, per fare tutto il contrario, procurerà voti e consensi? Per quanto ci cascheranno ancora gli elettori?

Eppure finora capita ancora di sentir difendere l’efficienza privata non dai pochi privilegiati che comunque vada se la cavano, ma da tanti, troppi, che hanno e avrebbero solo da perdere.

Dovremo arrivare a toccare con mano il disastro, nei trasporti pubblici, nei servizi essenziali, nella sanità, nella scuola, prima di ricrederci?

Certo, di anno in anno, per politiche venute dall’alto, dettami europei e precise volontà allo strangolamento degli organi locali, è diventato sempre più difficile far quadrare le cose e garantire i cittadini.

Difficile, ma non impossibile, ci sono realtà che lo dimostrano. Basta volerlo, non far finta di volerlo. Impegnarsi a razionalizzare risorse e risanare per davvero i bilanci.

Si chiama amministrare, e in teoria si sarebbe stati votati per quello, non per fare passerelle, far da passivi passacarte di decisioni già prese in altri luoghi, trovare facili e disastrose scorciatoie, presentare ordini del giorno sui massimi sistemi, fomentare polemichette da cortile, traguardare carriere politiche più o meno probabili.

Almeno, in teoria. Per chi ha una visione “ideologica” e superata.

Milena Debenedetti  Consigliera del Movimento 5 stelle

 

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