DAMNATIO MEMORIAE

 

DAMNATIO MEMORIAE

I monumenti si chiamano così perché derivano dal verbo latino monere che significa “far ricordare”. Normalmente si erigono monumenti a uomini e a donne illustri che hanno meritato la riconoscenza e la gratitudine dei loro concittadini in quanto benefattori dell’umanità: grandi scienziati o grandi artisti, grandi musicisti o grandi poeti. Altri monumenti ricordano invece i caduti in guerra, questi non mancano in nessuno dei nostri paesi e, spesso, recano scolpiti sul loro basamento i nomi dei giovani che sono morti perché non morissero altri giovani in altre guerre, e hanno appunto la funzione di non farci dimenticare il passato, recente o meno recente che esso sia. Anche le tombe, con le loro lapidi, hanno questa funzione e, come ben sapeva Ugo Foscolo, “Sol chi non lascia eredità d’affetti / poca gioia ha dell’urna…”. Ma sto divagando, o forse non tanto, perché in questa Italia dalla memoria storica (quando c’è) non ancora condivisa, ci sono figure degne di essere ricordate con monumenti e sacrari e altre di essere lasciate “alle otiche di deserta gleba”. Nelle città e in molti piccoli paesi, soprattutto nel centro-nord, d’Italia possiamo ammirare molti monumenti al partigiano ma nessun monumento alla camicia nera fascista del generale Rodolfo Graziani. Come mai? Ci sarà pure una ragione. E che motivo mai avrà spinto la giunta comunale di Affile a spendere 130.000 euro per erigere un sacrario al “macellaio del Fezzan” (teste lo storico Angelo Del Boca)? Macellaio non solo del Fezzan ma anche, da Vicerè d’Etiopia, tramite il fido generale Pietro Maletti (padre di Gianadelio, ex numero due dei servizi segreti (SID) tuttora latitante in Sudafrica, onde sfuggire alla condanna di due anni per depistaggio riguardo ai neofascisti accusati della strage di Piazza Fontana, a Milano), dei monaci copti sospettati di aver ispirato l’attentato di Addis Abeba del 17 febbraio 1937, durante la cerimonia per celebrare la nascita del primogenito di Umberto II, Vittorio Emanuele, che fece sette morti e una cinquantina di feriti tra i quali lo stesso Graziani. La rappresaglia durò diversi mesi, e culminò con l’uccisione di tutti i monaci della città santa di Dubrà Libanòs. La mattanza terminò il 26 maggio con la fucilazione di centoventisei diaconi che in un primo tempo erano stati risparmiati. E che sarà mai? Si sa che la guerra è guerra. Certo, senza guerra non ci sarebbero nemmeno i criminali di guerra. Ma Graziani non è stato l’unico, lo è stato anche il suo collega e rivale Pietro Badoglio, lo sono stati anche tanti altri che hanno ordinato stragi, lo è stato anche il francese generale Juin e il garibaldino Nino Bixio, che ha represso nel sangue la rivolta dei contadini a Bronte, nell’agosto del 1860; perché tanto accanimento contro il sindaco di Affile, Ercole Viri, che ha solo voluto onorare il suo più illustre concittadino (per la verità Graziani era nato a Filettino nel frusinate, ma si era poi stabilito ad Affile con la famiglia, prima di trasferirsi a Roma dove morirà 1955) e per questo è stato condannato dal tribunale di Tivoli a otto mesi per apologia di fascismo. Chi glielo ha fatto fare? Il giornalista Mauro Favale di Repubblica.it gli ha chiesto se fosse pentito.
“Macché pentito.E’ tutta colpa del Tribunale di Tivoli. Abbiamo gettato la spugna dopo che hanno assolto tre ragazzi colti in flagranza di reato mentre imbrattavano il monumento. I giudici scrissero che il fatto non sussiste”.
Quei ragazzi avevano lasciato la scritta: “Chiamate eroe un assassino”.
“Sì, e i giudici li hanno assolti. Era chiaro che ci avrebbero condannati”.
Graziani è un criminale di guerra, ha usato gas nervini, ha bombardato ospedali della Croce Rossa: ancora convinto che meriti un monumento?
“Ma è un affilano e un museo dedicato ai soldati qui non poteva che essere intitolato a lui. Se l’avessimo intitolato a Badoglio avrei capito, ma lui è il maresciallo d’Italia, l’affilano più famoso, pluridecorato”
Ma è un criminale di guerra.
“Questo non lo so . Non cadiamo in questa cosa che dicono i partigiani. Lui era già un colonnello italiano prima del fascismo, partiamo da questo”.
Di Graziani si ricordano le mattanze che ordinò in Africa.
“Io so solo che è il più grande condottiero affilano”.
Quindi il monumento continuerà a essere intitolato a lui? “E’ chiaro. Guardi che questa è una condanna provvisoria. L’appello ci scagionerà. Stravinceremo. Basta lasciare Tivoli”.
Cosa pensano i suoi concittadini di avere un sindaco condannato per apologia di fascismo? “Dopo la storia del monumento ho preso il 70% alle elezioni. Ad aprile mi ripresento, prenderò l’80%”
E lei del fascismo che cosa pensa?
“Sono nato nel 1960 e la penso come quel sant’uomo del sindaco di Predappio: la storia non va condannata, va rivisitata, va vista sotto tutte le sue sfaccettature. Il fascismo è morto settanta anni fa. Interessa all’onorevole Fiano. A noi sa quanto ce ne frega?” (08 novembre 2017)
Infatti, “della morte ce ne freghiamo”, cantavano i fascisti. E così questa danza macabra continua. Ovviamente per colpa della sinistra che occupa il sacro suolo della Patria. Meno male che Affile e Predappio resistono serbando divisa la memoria storica degli italiani. 

Fulvio Sguerso

 

 

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