DEBITO PUBBLICO?
DEBITO PUBBLICO? MA PER PIACERE! |
DEBITO PUBBLICO? MA PER PIACERE! |
Domenica scorsa c’è stato il mio discorso, l’ennesimo, sul debito: pubblico e privato. Titolo: Rimetti a noi i nostri debiti. (Vedi locandina). Titolo che, mi sono poi reso conto, può risultare fuorviante, in quanto si può fare la remissione di un debito se questo esiste. Ma nel caso di debiti bancari, sia che i presunti debitori siano privati, aziende o lo Stato stesso, il debito in realtà non c’è. |
È un’invenzione dei banchieri, con la fattiva e complice collaborazione dei politici, che ai banchieri hanno concesso, anno dopo anno, tutti i privilegi di cui ora essi spocchiosamente si ammantano. Privilegi concordati in gran segreto sulla testa di tutti noi, che abbiamo eletto i politici ma neppure uno dei signori del denaro, che oggi spadroneggiano col frutto del nostro lavoro a Roma (Bankitalia), a Francoforte (BCE) e a Basilea (BIS, Banca dei Regolamenti Internazionali) per quanto concerne l’asserito debito dello Stato; e nelle centinaia di filiali bancarie commerciali che costellano il Paese. Hanno cominciato alla grande nel 1944, con la firma degli accordi di Bretton Woods, legando tutte le monete al dollaro USA, garantito però da oro. Poi, nel 1971, gli stessi USA hanno sganciato il dollaro dall’oro, dando avvio alla stampa illimitata di dollari e quindi all’inflazione mondiale crescente. Negli anni seguenti, e fino ai giorni nostri, s’è radicato il sistema delle porte girevoli tra Tesoro e Bankitalia e la conseguente confusione tra pubblico e privato, quasi fossero la stessa cosa l’interesse dei cittadini e quello dei privati banchieri. Ma perché privati? Perché poco alla volta, sempre con la massima discrezione, Bankitalia diventava privata grazie alla graduale privatizzazione delle banche commerciali di interesse pubblico che di Bankitalia erano e rimasero proprietarie. In tal modo, in maniera “soft” e senza che nessuno di noi se ne rendesse conto, la Banca d’Italia, pur mantenendo l’insegna di Istituto di Diritto Pubblico, quale era stata decretata nel 1936, era diventata un Istituto di Diritto Privato; e quindi d’Italia non era più. Con la conseguenza che anche la sua riserva aurea (la terza al mondo) e la moneta che ha continuato ad emettere, e quindi i frutti del signoraggio, finivano non più nelle casse dell’Erario, bensì in quelle di banche private, con destinazione ignota (o forse fin troppo nota). Ciò era contrario allo stesso Statuto di Bankitalia, che imponeva essere le azioni della stessa a maggioranza pubblica; cosa che non impensierì minimamente chi avrebbe dovuto vigilare, e cioè il Ministero del Tesoro. La situazione si trascinò indisturbata per anni, finché la segretezza del sistema, gelosamente custodita da quanti ne traevano vantaggio (politici e banchieri), cominciò a mostrare le prime crepe. Nel 2003, infatti, con disappunto dei custodi del vaso di Pandora, l’indagine di uno zelante direttore dell’ufficio studi di Mediobanca, scoprì accidentalmente il segreto, che apparì per la prima volta in forma divulgativa su Famiglia Cristiana nel 2004. Politici e banchieri, tuttavia, proseguirono imperturbabili a mantenere una Banca Centrale totalmente in contrasto col suo proprio statuto, sollevando ripetute quanto blande critiche da parte di osservatori di ogni tendenza. |
Alla fine ci pensò Prodi, che di banche se ne intende, essendo stato anche consulente della Goldman-Sachs (come poi Mario Draghi e, dal 2007, Gianni Letta) a rimediare al fallo nel suo ultimo governo: nel dicembre 2006 promulgò una legge che modificava la clausola “scomoda” dello statuto e legalizzava l’illegalità. La legge ricevette senza obiezioni anche la firma del novello presidente della Repubblica Napolitano, assurto in seguito a “venerato padre della patria”, sulle orme del suo predecessore, l’ex-governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Diversi cittadini, me incluso, provarono a scrivergli affinché si accorgesse di aver firmato una legge iniqua, contraria all’interesse pubblico, ma senza risposta alcuna: sa bene quando gli è permesso alzare la voce e quando deve tacere e obbedire.
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E siamo così arrivati al presente: un oggi in cui l’invasività delle banche nella nostra vita è cresciuta a dismisura, con la moneta cartacea che cede il passo a tutte le forme elettroniche che il genio bancario ha saputo inventare per renderci sempre più suoi schiavi. Schiavi perché tutta la moneta in circolazione costituisce subdolamente un nostro debito verso la ragnatela bancaria, che lo crea a costo zero e ce lo fa pagare col nostro lavoro, pretendendo però che il lavoro –di cui nessun banchiere s’è mai sporcato- sia il loro. Non c’è un solo euro in circolazione che non sia nato come un debito dei cittadini o dello Stato verso le banche, che, dopo averci usurpato anche l’oro di riserva, continuano ad appropriarsi delle nostre fatiche, con il grazioso beneplacito dei vertici politici. Che sanno, ma, con gli stipendi e privilegi annessi che arraffano, si guardano bene dal denunciare e contrastare il raggiro. Nessuno escluso, destra, sinistra e centro. In campo monetario s’è verificato il miracolo dell’unanimità. Persino i sindacati, cui dovrebbe stare a cuore la massima occupazione, non sanno o non denunciano la grave truffa che si nasconde dietro il progressivo impoverimento di chi lavora e, ancor peggio, di chi non lavora più. S’è mai visto uno sciopero contro Bankitalia, la BCE e il signoraggio? Se lo Stato non riconoscesse come vero il fasullo debito pubblico verso la banca centrale sarebbe ampiamente in avanzo; e quindi non sarebbe costretto a fare i tagli indecenti su tutti i servizi essenziali, né si indebiterebbe per realizzare le opere pubbliche indilazionabili, prima tra tutte la salvaguardia e il riassetto del nostro dissestato territorio; e neppure sarebbe costretto a svendere, alla pari di tanti enti locali, il patrimonio di tutti, ultimo in ordine di tempo la Villa Reale di Monza. O le aree ex Piaggio e Ghigliazza di Finale alla speculazione, che i soldi per costruire seconde case li trova sempre, mentre faticano a trovarli le industrie nostrane che vogliono impiegarli per investimenti produttivi, col risultato di svendersi allo straniero.* Dopo il lungo medioevo monetario, privati e aziende potrebbero vivere un secondo rinascimento, reso possibile dagli avanzamenti scientifici e tecnologici degli ultimi decenni. I cui frutti sono invece inghiottiti per pagare, tramite un fisco vorace, il “servizio del debito” al dorato mondo della finanza bancaria: 80-90 miliardi l’anno. Più che sufficienti a risollevare l’Italia dalla palude in cui la combutta politico-bancaria l’ha trascinata.
* Vedi: “ La Francia che si mangia l’Italia”, in dissonanza col ritornello che “gli stranieri non vengono a investire in Italia”! http://www.la7.it/programmi/exit/economia/video-i401096. Vedi anche: “La finanza monca dell’Italia in vendita” su http://marcodellaluna.info/sito/
Marco Giacinto Pellifroni 3 aprile 2011
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