Da “Satura”, Xenia II: 6, 7 , 8

Xenia 6

Il vinattiere ti versava un poco
d’Inferno. E tu, atterrita: “Devo berlo? Non basta
esserci stati dentro a lento fuoco?”.

 

Xenia 7

“Non sono mai stato certo di essere al mondo”.
“Bella scoperta, m’hai risposto, e io?”.
“Oh il mondo tu l’hai mordicchiato, se anche
in dosi omeopatiche. Ma io…”.

 

Xenia 8

“E il Paradiso? Esiste un paradiso?”.
“Credo di sì, signora, ma i vini dolci
non li vuole più nessuno”.

Salta agli occhi il legame tra Xenion 6 e Xenion 8. Di tre versi entrambi, in realtà trasmettono proprio l’impressione di  un dialogo spezzato dal “mondo” che si interpone tra Inferno e Paradiso  con Xenion 7.
Sulle prime parrebbe di dover parlare di una coppia, perché il legame con Xenion 7 non risulta affatto immediato; ma poi, per paradosso, la presenza di un “intruso” è tanto ingombrante, che ci convinciamo come esso sia lì per una precisa e ragionata scelta del poeta e non, per esempio, per rispettare la cronologia di composizione.
Perciò alla fine si può parlare di una triade, la composizione centrale della quale deve per forza avere forti legami con gli altri due componimenti.
Legami più nascosti di quelli che essi hanno tra loro, ma ugualmente certi. Anzi, così importanti che passa in secondo piano, pur di inserirli in quella posizione, il rischio di spezzare la continuità dell’occasione-aneddoto poetico relativo al breve dialogo intercorso tra Mosca, il vinattiere e Montale.
Un dialogo speciale, perché ha la caratteristica di non chiarire, forse di proposito, la parte che in esso hanno gli attori.
Infatti in Xenia 6, quando l’oste versa il vino, provoca due domande a Mosca, ma non si sa se lei le stia indirizzando al vinattiere o a se stessa, e perciò a voce alta o bassa; ma potrebbe essere che siano rivolte al poeta.
Si nota la rima poco-fuoco, francamente un po’ forzata, perché verrebbe spontaneo dire “a fuoco lento” in quanto gruppo di parole che, radicato e sdoganato dall’uso, è considerato ormai una locuzione e come tale riconosciuto grammaticalmente. Insomma si sente la ricerca poco naturale della rima a tutti i costi, sicché fa capolino il sospetto che Montale non abbia riferito le parole della moglie nell’ordine in cui lei le avrebbe pronunciate.
Per vedere la cosa in tutti i suoi aspetti, bisogna però aggiungere che è anche possibile che proprio in quanto “a fuoco lento” è un’espressione fissa, sia stata alterata al fine di eliminare l’eventuale impressione di poca profondità poetica di qualcosa di “preso a prestito”, mentre col dire “a lento fuoco”, ribaltandone l’ordine dimostrerebbe che c’è stata l’esigenza di affidarsi ad un concetto più originale a esprimere un sentimento di sofferenza protratta.
Stabilito che la frase di Mosca non si sa bene a chi sia rivolta, nulla vieta (anzi…) che possa esserlo a più persone, cioè al poeta, a se stessa, al vinattiere oltreché, eventualmente, a quella specie di San Pietro sprovveduto di cui il vinattiere senza rendersene conto recita la parte.
Ciò che comunque risulta è che tale frase se prende un indirizzo preciso ed univoco, lo fa a seconda di chi era stato l’attore della scena precedente (e per patto narrativo sottintesa), ovvero quella in cui qualcuno decide di ordinare del vino.
Lì gli interessati sono solo due, limitandosi, com’è ovvio, il gestore a ricevere l’ordine, non  a darselo.
E siccome Mosca resta sorpresa da quello che le viene servito, sembra scontato che sia stato il poeta a fare l’ordinazione, e di conseguenza che a lui vengano poste le domande: “Devo berlo? Non basta esserci stati dentro a lento fuoco?”.
In effetti se egli fosse stato preciso nella scelta, al riguardo ci sarebbero pochi dubbi. Ma se invece egli avesse genericamente ordinato del vino (come è assai più probabile visto che Mosca si comporta come se non si aspettasse proprio quel tipo di bottiglia), o un po’ meno genericamente, per esempio, del vino rosso, allora la scelta di portare l'”Inferno” l’avrebbe fatta, a sua discrezione, il vinattiere. E’ dunque a quest’ultimo che Mosca si rivolge?
Di nuovo, per quanto apparentemente incanalati su questa via, se vogliamo ragionare in termini di probabilità, no. Perché è altamente improbabile che Mosca riveli con due sole brevi battute (dietro il cui punto interrogativo si nascondono altrettante esclamazioni), i suoi dubbi esistenziali e una componente essenziale della sua storia interiore, al vinattiere.
E dunque? Dunque se cerchiamo di capire cosa sia accaduto nell’antecedente dell’episodio riportato e il significato dell’episodio medesimo, siamo indotti a pensare che l’oste, lasciato libero di portare un vino a sua scelta, abbia portato l’ “Inferno”. Solo a quel punto Mosca ha potuto rivolgere a Montale quelle domande così confidenziali, nelle quali si intravede una punta di amara ironia verso di lui giustificata dalla “colpa” di aver delegato la scelta al vinattiere, che la costringe all’occasione imprevista di saltare addirittura ad un piano escatologico (diversamente il termine “atterrita” sarebbe esagerato) e a un abbozzo di rimostranza indiretta verso il Padreterno.
Ironia, la sua, che ha un po’ l’intento dell’esorcismo. Lei, ad un aldilà (e ora sappiamo anche ad un aldilà che prevede l’Inferno), ci crede. Lo sappiamo per certo da un altro Xenion, il X della sezione I: “Pregava?”. “Sì, pregava Sant’Antonio / perché fa ritrovare / gli ombrelli smarriti e altri oggetti / del guardaroba di Sant’Ermete”. “Per questo solo?” “Anche per i suoi morti / e per me”. / “E’ sufficiente” disse il prete.
Una religiosità particolare e sorprendente, dunque, di questa donna colta e intelligente che, tuttavia, non disdegna affatto di aderire al sentire popolare, arrivando perfino a pregare il santo preposto tradizionalmente al ritrovamento degli oggetti smarriti affinché vengano recuperati dal proprietario, o almeno dai fedeli e conservati nel guardaroba della parrocchia di Sant’Ermete di Forte dei Marmi (città dove lei e Montale trascorrevano le vacanze estive) prima di essere venduti a scopo benefico alla sagra annuale del paese.
Ritornando, dopo questa parentesi, a Xenia 6, c’è nei primi due versi una coppia di lettere che si ripete: er. Essa sembra avere la funzione si sottolineare i termini più semanticamente pregnanti della terzina, il cui senso si potrebbe infatti nella sostanza comprendere anche senza la presenza degli altri: Vinattiere versava /  Inferno. Atterrita: “Berlo?”.
Coppia che si ritrova in Xenia 7, facendo così intuire che tale quartina solo all’apparenza, come si diceva, sia estranea ed interrompa il filo del discorso di Xenia 6 con Xenia 8: “Non sono mai stato certo di essere al mondo”. “Bella scoperta, m’hai risposto, e io?”.
E’ un suggerimento che dall’aspetto formale ci guida all’aspetto contenutistico, nel senso che ci fa leggere Xenia 7 come il termine di passaggio che permette, ovviamente al modo e nei tempi di un’ ironia bonsai, di fare il verso alla struttura della “Commedia”.
Inferno, Paradiso, e in mezzo il Purgatorio, sotto forma quest’ultimo di faticosa infinita indagine conoscitiva, che se si esplicita come incertezza di essere al mondo, ma che potrebbe nondimeno esplicitarsi come incertezza sull’essere del mondo.   
In definitiva si può anche pensare che le dette allitterazioni siano un caso, o un calcolo, o, com’è tipico di tanti poeti, un calcolo subliminale, di quelli che neanche si sa di avere inserito con fine maestria nella tessitura del testo.
Fatto sta che assumono la funzione di guidarci verso un concetto importante, ovvero che per Mosca è certo di come l’Inferno sia già su questa terra, mentre per Montale l’Inferno è piuttosto il dubbio di essere (di esistere) a costituire l’Inferno, la mancanza ontologica di prove di non appartenere a una sorta di sogno, di non essere casomai “già morti senza saperlo”.
A questo punto, sempre secondo la ricostruzione che sembra più plausibile, Mosca, in Xenia 8, smette di parlare col poeta e si rivolge all’oste:
“E il Paradiso? Esiste un paradiso?”. Questi però rimane sul piano concreto della sua professione, vale a dire risponde senza tener conto dell’ambiguità del discorso, perché ne coglie solo l’aspetto pratico.
Secondo lui, come c’è un “Inferno”, dovrebbe esserci per logica simmetrica un “Paradiso”, naturalmente di sapore dolce, come lo avranno voluto i produttori per rimarcare la differenza.
Ma un Paradiso (che nel testo dopo sole tre parole viene scritto con la minuscola per evidenziare come i due interlocutori parlino linguaggi diversi) che non vuole più nessuno. Se ne potrebbe benissimo fare a meno.

FULVIO BALDOINO

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