CULTURA DELLO STUPRO E DINTORNI (Prima parte)
“La cultura dello stupro non ha niente a che vedere con le battute goliardiche o da caserma di un innocuo maschilismo contro il quale si sta scatenando tutto il sistema dell’informazione che non perde occasione di creare obiettivi di comodo”. Questa affermazione, apodittica e polemica nel medesimo tempo, esemplifica come meglio non si potrebbe il persistere della cultura dello stupro anche in chi assume di stigmatizzarla in base a stereotipi maschilisti tutt’altro che innocui. E dire che basterebbe un minimo di documentazione sull’argomento per non incorrere negli svarioni più grossolani come quelli così bene rappresentati nella frase citata, vero prototipo di quella mentalità di cui si nutre la cultura dello stupro correttamente intesa. Che cosa dobbiamo intendere, quindi, con l’espressione “cultura dello stupro”? Una definizione precisa la troviamo, ad esempio, nel saggio Transforming a Rape Culture delle studiose statunitensi Emilie Buchwald, Pamela Fletcher e Martha Roht (1993): “…un complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne.
Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come ‘normale’ il terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale sia ‘un fatto della vita’, inevitabile come la morte…”. L’espressione “cultura dello stupro” non si riferisce dunque soltanto alla violenza sessuale agita ma comprende anche atteggiamenti usuali e comportamenti verbali misogini come il cosiddetto slut- shaming , cioè la stigmatizzazione morale per il modo di vestire provocante o per una sessualità femminile libera o giudicata deviante rispetto ai desideri maschili e, nei casi estremi, la colpevolizzazione delle vittime di molestie e abusi, come è accaduto recentemente persino in tribunale a Roma per la “palpata breve” di un bidello nei confronti di una alunna e nei vari casi di maschilismo giudiziario come l’incredibile sentenza emessa a Firenze nel 2021 che ha mandato assolti sette imputati di stupro e che ha provocato la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Fa sicuramente parte della cultura dello stupro quello che è accaduto a Rimini nei tre giorni dell’adunata degli alpini nel maggio del 2022 quando, secondo le segnalazioni pervenute a diverse associazioni che si occupano della difesa dei diritti di genere, molte donne sono state molestate. In tre giorni sono state raccolte più di 150 testimonianze di atteggiamenti sessisti, molestie, violenza di genere, discriminazioni omofobe, per non parlare dei comportamenti razzisti e inneggianti al fascismo. Altro che goliardia! Appartengono alla cultura dello stupro a pieno titolo anche i commenti sessisti scambiati tra il telecronista di Rai Sport Lorenzo Leonarduzzi e il collaboratore tecnico Massimiliano Mazzucchi durante la diretta della finale del trampolino sincrono femminile ai mondiali di nuoto a Fukuoka, in Giappone; idem per le tirate misogine di personaggi pubblici come l’onnipresente Vittorio Sgarbi, giornalisti politicamente scorretti come Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Filippo Facci, Pietro Senaldi, Nicola Porro e di politici (o ex politici) come l’attore comico Beppe Grillo, sparito giustamente dai radar della politica attiva e persino politici di lungo corso come Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato.
Il primo ha immortalato nel suo video in difesa del figlio Ciro accusato di aver stuprato, insieme a tre amici nella sua villa in Sardegna, una ragazza italo-svedese dopo averle fatto bere mezza bottiglia di vodka, “la quintessenza della cultura dello stupro” (copyright Michela Marzano); il secondo ha calcato le orme di Grillo in una nota diffusa subito dopo la diffusione a mezzo stampa della notizia dell’inchiesta che coinvolge il figlio Leonardo Apache, anch’egli accusato di stupro da una ragazza ventiduenne, già sua compagna di liceo. “ ‘Io credo a mio figlio’, ha dichiarato a distanza di un anno il Presidente del Senato, prendendo le difese del figlio Leonardo Apache indagato per stupro, sottolineando con forza quelle che, per lui, erano le incongruenze del racconto della vittima agli inquirenti: è strano denunciare dopo quaranta giorni, no? È credibile una che si droga? Poco importa, allora, l’esatta collocazione politica di questi due padri – sebbene con La Russa ci sia l’aggravante supplementare che a parlare sia la seconda carica dello Stato – il risultato è sempre lo stesso: tirar fuori la quintessenza di tutti quei pregiudizi e di tutte quelle abitudini malsane che, ancora oggi, spingono alcune persone a tollerare (e talvolta anche a legittimare) le molestie sessuali e le violenze contro le donne. Perché la vittima, se è davvero vittima, non denuncia subito? Perché aspettare? Può essere vittima una persona che fa uso di alcol o di cocaina? Che è poi l’essenza stessa di quella ‘cultura dello stupro’ che colpevolizza le vittime, stigmatizzandole e oggettivandole: ha provocato lei, se non ha provocato, ci è comunque stata; e se anche all’inizio non ci fosse stata, poi si è comunque divertita” (Michela Marzano su lo “Specchio” di domenica 23 luglio 2023). Al “Non è vero niente” di Beppe Grillo fa eco “Io credo a mio figlio” di Ignazio La Russa; entrambi i padri, negando la colpevolezza dei loro figli, addossano di conseguenza tutta la responsabilità del presunto stupro alle vittime considerate tutt’altro che innocenti! Questi due casi sembrano fatti apposta per suffragare la tesi della scrittrice e attivista statunitense Susan Brownmiller secondo la quale lo stupro è più una questione di sottomissione delle donne al potere maschile che non di sessualità violenta e sfrenata.
E infatti: possibile che tanto Ciro Grillo quanto Leonardo Apache La Russa avessero bisogno di estorcere un rapporto sessuale da ragazze in stato di incoscienza per alcol o droga solo per soddisfare la loro libido coeundi ? Non potevano “possedere” ragazze più che consenzienti senza la minima forzatura (data anche la loro posizione sociale privilegiata)? Secondo la Brownmiller, agli uomini viene instillato dal costume e dalla tradizione sessista prevalente nella società occidentale l’uso dello stupro come strumento per incutere paura nelle donne, e le donne imparano così a temere gli uomini, come è evidente in situazioni di guerra ma non solo di guerra. Nel documentario intitolato Rape culture del 1975 la regista Margaret Lazarus documenta le varie rappresentazioni dello stupro nella letteratura, nelle arti, nella musica e nel cinema. Un esempio di scuola è l’Ars amatoria di Ovidio dove leggiamo la frase celebre “Grata est vis ista puellis” , da cui la locuzione “Vis grata puellae”, ancora recentemente usata nella giurisprudenza sulla violenza sessuale.
D’altronde si può dire che lo stupro è di casa in letteratura, a cominciare dal ratto delle Sabine narrato da Plutarco nella vita di Romolo per finire con La ciociara di Moravia, passando per Francesca da Rimini nell’Inferno, Pia de’Tolomei nel Purgatorio e Piccarda Donati nel Paradiso della Commedia dantesca; e poi, nell’Ottocento, per il romanzo Beatrice Cenci del Guerrazzi, per la cruda novella verista ‘Tentazione’, di Giovanni Verga, e, nel Novecento, per La figlia di Jorio di Gabriele D’Annunzio, di Paesi tuoi di Cesare Pavese, di Artemisia di Anna Banti, per rimanere solo in ambito italiano. Una forte denuncia della tuttora viva e dominante cultura dello stupro è venuta, nell’ambito dell’arte contemporanea, dalla cosiddetta Body art , la corrente artistica diffusasi negli Stati Uniti e in Europa negli anni Sessanta, sfociata successivamente nella Performance art , l’attività artistica teorizzata da Allan Kaprow nel 1959, che fece del gesto dell’artista l’opera stessa, con il coinvolgimento del pubblico. (Continua)
L’analisi precisa e puntuale che ci regala Fulvio Sguerso rende, senza ombra di dubbio, la gravità del problema che per un paese civile non dovrebbe rappresentare “un problema”!!
Non si capisce perchè un problema così grave debba sempre essere cacciato in politica con a sinistra i buoni e a destra i violenti. Lo stupro è una questione di educazione e di rispetto verso le donne che la maggioranza degli uomini di tutti gli schieramenti politici non hanno.
Personalmente non ravviso nelle parole di Fulvio Sguerso un intento manicheo (inevitabilmente riduttivo) con ricadute sulla politica di destra e di sinistra. Non mi sembra quello il contesto entro cui collocare osservazioni miranti, direi, a fare luce senza pregiudizi su una questione giustamente definita “di educazione e di rispetto”.