Così com’è la sinistra in Italia non governerà mai da sola
Bisogna farcene una ragione:
così com’è la sinistra in Italia non
governerà mai da sola
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Bisogna farcene una ragione:
così com’è la sinistra in Italia non governerà mai da sola.
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Inutile ripercorre qui gli ultimi eventi che ben si conoscono.
Sarebbe una inutile riproduzione di fatti noti sui quali legittimamente ognuno potrebbe sostenere la propria idea, ognuno potrebbe dare la lettura che ritiene più giusta, ognuno avrebbe la sua verità.
In fondo la politica – di destra o di sinistra che sia o anche “movimentista”- è l’organizzazione del consenso e su questa si misura, provando a catalizzare sulle proprie linee di visione della società il maggior numero di persone che condividono la sua stessa prospettiva.
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Ma nei tempi nostri, quelli che viviamo adesso nel nostro paese, è proprio la politica che segna il passo, appare sperduta, inadeguata e persa nel convulso susseguirsi degli eventi.
Una politica travolta dalla propria inadeguatezza e dall’improvvisazione che l’ha contraddistinta anche ultimamente esplodendo nelle questioni note da febbraio ad oggi, fatti che a rotta di collo si sovrappongono gli uni agli altri, in una valanga di disagio che sembrerebbe difficile da fermare. Povertà sempre più diffusa spesso nascosta nell’orgoglio famigliare, lavoro che manca sempre di più, soldi per andare avanti decentemente che scarseggiano oramai a ritmo inarrestabile, privilegi spudorati che non si riesce ad arginare o non si vuole arginare, familismo diffuso sbattuto in faccia a chi si trova fuori dai cerchi di amicizie convenienti, scarsa considerazione del mondo giovanile che sta sprofondando nella depressione, formazione di gruppi di potere che ovunque riescono a dirigere la società sfruttando la scarsa autorevolezza in cui è precipitata la politica, e poi razzismo, femminicidio, xenofobia e via dicendo. Insomma un lungo elenco che per quanto puntuale sarebbe sempre lacunoso e che ognuno potrebbe facilmente integrare. Di fronte a questa situazione si dice da più parti – e con qualche ragione – che nel nostro paese una grande colpa sia da addebitarsi alle formazioni della destra conservatrice che per molti anni hanno governato l’Italia e anche l’Europa, processo tutt’ora in corso. Questo è senz’altro fuori di dubbio e sono i fatti che lo raccontano, ed è stupefacente come oggi la stessa destra protesti e voglia cambiare cose che lei stessa ha prodotto negli anni. Ma come diceva qualcuno, il male trionfa quando il bene sta fermo e non si muove. Quindi se tale è la situazione attuale con certezza di responsabilità è altrettanto stupido negare che se a tale punto si è arrivati qualche colpa sia da ricercarsi anche nella parte opposta, cioè bisognerebbe guardare un pò a cosa è successo anche a sinistra, o almeno da quelle parti che si definiscono tali, in quel mondo che si riconosce e gravita li intorno. Non credo serva ripercorrere anni di lavorio demolitorio a sinistra. Piuttosto bisogna chiederci, per chi ci crede, se la sinistra italiana sia in grado alle condizioni attuali di adeguare la sua storica rotta ideale.
Chi scrive crede che sia necessario adeguarsi, anzi obbligatorio, perché cosi com’è la sinistra italiana non governerà mai ne l’Italia ne l’Europa, e perderà il consenso in molte delle Amministrazioni locali. E non sarà sufficiente procedere a rottamazioni per compiacere le piazze perché spesso dovrebbero essere i proponenti ad essere messi da parte, specialmente tutti quelli che cambiano idea da un giorno all’altro cercando di trovarsi sulla scialuppa giusta in vista di un possibile naufragio. Bisognerebbe porre e porsi alcune domande, per esempio cosa intendiamo per sinistra, dando per scontato che al contrario di ciò che alcuni propugnano, una rivoluzione non sia possibile e francamente neppure auspicabile nei termini in cui viene lanciata con messaggi pericolosi sparati con leggerezza incosciente sui nuovi strumenti di comunicazione di massa, sul web. Ma un’altra rivoluzione è invece possibile? E se si di che tipo? L’unica rivoluzione possibile che trascinerà il resto non può essere altro che quella culturale che non è per nulla meno potente e decisiva, senza una cultura poggiata saldamente sulla moralità e sul senso delle Istituzioni le derive pericolose sono possibili e possono diventare non prevedibili negli sviluppi sociali. Possono trasformare l’autodistruzione in distruzione collettiva. Alla sinistra manca la cultura di governo, che non significa affatto non saper governare un territorio, tanto è vero che in molte regioni, province e comuni le amministrazioni hanno una chiara matrice di sinistra, con consenso rinnovato da anni, almeno fino ad oggi. Ma quando si arriva a un passo, quando arriva a portata di mano il governo del Paese qualcosa si inceppa sempre, o meglio qualcuno getta sabbia nel meccanismo che si grippa e si blocca. Cultura di governo significa avere una visione del cambiamento della società in evoluzione che ci sta travolgendo, con i suoi cambiamenti, con i nuovi lavori, con nuovi diritti, con i nuovi assetti comunicativi, con le sue nuove prospettive internazionali.
La sinistra deve cambiare e rivisitare i suoi programmi e le sue prospettive, deve farlo anche a costo di rivedere certezze storicamente ancorate alla sua sponda. E deve farlo in fretta. In fondo la sinistra è nata proprio per questo, per cambiare non per conservare. E’ bello ricordare simboli che hanno fatto del nostro paese un paese libero, ma è sciocco pensare che debbano restare gli unici e intoccabili. Questo vuol dire che le idee di emancipazione e di giustizia sociale, di dignità del lavoro, debbano venire meno? Assolutamente no, anzi l’adeguare ai cambiamenti sociali la sua linea ideale è per la sinistra la ragione stessa della sua esistenza, se non lo farà non esisterà più. Le frammentazioni che da molti anni l’hanno lacerata sono la dimostrazione palese che una parte di essa non ha capito cosa stava succedendo e si è progressivamente allontanata da quella funzione storica che tanto ha dato al nostro paese e non solo al nostro. Una frammentazione così estesa che in nessun paese al mondo si riscontra in questi termini, e una frammentazione che non ha diviso la parte più protesa al cambiamento dalla parte più radicale formando due blocchi distinti che si confrontano, ma una divisione che ha creato in moltissimi gruppuscoli la cui influenza è pari a zero. Questo è uno dei drammi della sinistra italiana e una delle cause che l’ha portata fino a qui trascinando stancamente una massa di elettori sempre più dispersi e disaffezionati. Che fare dunque? Come riprendere il bandolo e rimettere la sinistra in campo come merita?
I giovani sono certamente una risorsa su cui puntare a condizione che non vengano visti come mano d’opera per gli illuminati giocando sulla loro foglia di fare.
Le tanti sedi del PD occupate dopo l’incomprensione nota sui fatti di governo e del PD stesso sono a dimostrare che finalmente vogliono farsi valere, anche se non è ben comprensibile se non come atto dimostrativo perchè si occupa casa propria.
Di solito si occupavano le fabbriche, le Università ma comunque il segnale è stato lanciato.
Intanto bisognerebbe che esistesse un luogo dove le molte idee possano ritrovarsi, dove trovare assieme ad altri delle soluzioni, dove condividere battaglie sociali, un luogo dove sia ferma la condanna dell’illegalità e degli intrecci che spesso avvolgono la politica e le Istituzioni. Questo luogo si chiama Partito. Ma un partito non è solo questo, e non è neppure un mezzo per trasportare a destinazione le proprie ambizioni personali, Un partito non è una borsa piena di affari propri, Un partito non è un ufficio per collocare parenti e amici. Un partito è un luogo dove appunto si organizza il consenso attorno a linee politiche definite in una sintesi discussa e condivisa. Ma un partito è soprattutto il luogo dove si ascoltano i dispiaceri, dove puoi trovare una parola e dove avviene la decantazione della rabbia. Questo manca alla sinistra oltre a una nuova e aggiornata visione della società. Mancano i luoghi dove ci si possa riconoscere senza strani amalgami irrealizzabili e senza “ma-anchismo”.
Maglio Domenico
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