Commento al 7° Mottetto [da “Le Occasioni] di Eugenio Montale

Il saliscendi bianco e nero dei
balestrucci dal palo
del telegrafo al mare
non conforta i tuoi crucci su lo scalo
né ti riporta dove più non sei.

Già profuma il sambuco fitto su
lo sterrato; il piovasco si dilegua.
Se il chiarore è una tregua,
la tua cara minaccia la consuma.

Colpisce l’uso estremo dei due enjambement che pausano rispettivamente il primo verso dopo la preposizione articolata “dei”, e il sesto dopo la preposizione semplice “su”.
Ciò suggerisce come vi sia una forte esigenza da parte dell’autore di far prevalere gli endecasillabi, che alla fine saranno 7 mentre si conteranno solo 2 settenari.
Questi ultimi, tuttavia, essendo posizionati di seguito e parti di un medesimo concetto, possono essere intesi come un unico verso alessandrino.
Infatti anche in questo caso si ha un concetto che si completa solo col verso successivo, sebbene si tratti di un enjambement più morbido degli altri due.
L’inusuale accapo di “dei”, è funzionale evidentemente anche alla rima con “sei”, in finale di strofa.

Di nuovo Montale ricrea un’immagine di commiato.
Lei, Irma, sta andandosene.
E’ già al porto (lo scalo), e il fatto di essere crucciata per la partenza, non è pròdromo perché possa tornare.
I balestrucci vanno e tornano, come impone la loro natura di uccelli migratori. Ma qui, quasi a rappresentare un microcosmo, vanno dal palo del telegrafo al mare e da questo, a ritroso, fino di nuovo al palo del telegrafo.
Per lei la prospettiva non è questa. Non ci sono le condizioni materiali perché accada.
Ora finalmente capiamo la scelta di fare di un verso alessandrino due settenari: creare quell’enjambement che permette di calcare sull’idea di telegrafo e di mostrarcelo come quell’elemento materiale che permette a un altro filo impalpabile ma reale, una continuità comunicativa oltre il mare.
In questo contesto i balestrucci sono gli inutili alleati del poeta, e ci commuovono come ci commuove sempre un dono inutile.Essi si danno da fare per proporre ad Irma una via d’uscita, una sorta di salvifico filo d’Arianna: suppliscono alle parole con il loro andirivieni dal palo del telegrafo al mare.
Si fanno guardare in questo percorso volutamente stereotipato, continuato, per essere sicuri tramite la ridondanza della loro danza, che il messaggio venga recepito.
Non è un caso che “palo” e “scalo” rimino tra loro: sono i capolinea del “saliscendi”, e la rima lo rimarca.
I balestrucci, queste piccole, agilissime rondini, volano con allegria, con convinzione, quasi con dedizione, ma non può bastare il rimedio che suggeriscono. E’ generoso, ma vano.
Il loro è un  mescolarsi vivace in un apparente contrasto tra quelli che scendono verso il mare mostrando il dorso nero, e quelli che dal mare salgono fino al palo del telegrafo, mostrando il petto bianco.
Dicono: “C’è un filo del telegrafo che attraversa il mare: accorgitene! aggrappatici!”
E’ un invito che il poeta vede distintamente, ma altrettanto distintamente vede che sarà senza esito.
Il sambuco profuma fitto. “Fitto” può essere inteso come verbo, e allora significherà radicato; o come aggettivo. In questo secondo caso si aprono due possibilità: che sia il sambuco ad essere folto, o che sia il profumo che emana ad essere intenso.
Non si va per forza ad esclusione. Anzi. La pregnanza del termine in questo contesto supporta benissimo che si voglia dire di una pianta la quale in sineddoche sta a rappresentarne un gruppo di altre, che lì hanno messo radici e che, tante, tanto profumano intorno.
Resta che inevitabilmente il sambuco ha radici “sullo sterrato”, e giù invece c’è il mare, che è un’altra cosa, che porta lontano, ad altri luoghi; figura di ciò che si muove e come un nomade radici non ne ha. 
Il sambuco “già profuma”: è presumibile ormai un maggio inoltrato.
“Il piovasco (la pioggia può essere anche allegra, ma il piovasco no: è tedioso sempre) si dilegua”. Il tutto crea un chiarore beneaugurante, ma di corto respiro: sarà sufficiente che il poeta ripensi all’amata e il suo animo verrà di nuovo invaso da quel senso opprimente che per un breve intervallo una natura temporaneamente madre aveva allontanato.
La lirica è la constatazione di una sconfitta, o per meglio dire della vittoria dello sconforto su uno squarcio di speranza.
Costruita sulla simmetria, in essa la prima strofa si incentra su Irma.
I balestrucci che scendono al mare e poi risalgono fino al palo del telegrafo, è a lei che vogliono evitare l’addio definitivo. Un’esortazione che “non conforta i tuoi crucci su lo scalo”.
Parallelamente, la seconda strofa si incentra sull’io lirico, il quale ha presso di sé il sambuco che “già profuma”; ma nella sua mente la “cara minaccia” già vanifica quella mitigazione concessa dalla natura e la “consuma”.
L’explicit è dunque nel segno della disillusione, rassegnandosi alla quale tuttavia non vi è lenimento.
Uno stato d’animo comunque che Montale condivide con molti altri poeti del passato.
Uno di loro tra i più grandi scriveva:

[…]
Ridono i prati, e ‘l ciel si rasserena;
Giove s’allegra di mirar sua figlia;
l’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
ogni animal d’amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso, tornano i più gravi
sospiri, che del cor profondo tragge
quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
[…]

[ Lirica CCCX del “Rerum vulgarium fragmenta” ( Il Canzoniere ) di Francesco Petrarca]

FULVIO BALDOINO

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2 thoughts on “Commento al 7° Mottetto [da “Le Occasioni] di Eugenio Montale”

  1. Anche questo originale commento di un mottetto montaliano che puntualmente ci offre il prof. Baldoino, è un’altra variazione sul tema dell’assenza dell’amata, assenza tanto più triste e sconsolata quanto più l’ora del tempo e il luogo (lo scalo) dove si trova il poeta, la stagione e la natura, il volo dei balestrucci come in un moto perpetuo di andata e ritorno, il dileguarsi del piovasco e il profumo che emana dalla folta e fitta macchia di sambuco in riva al mare da dove si parte e dove si arriva quando i venti sono propizi , parlano de lei, dell’amata lontana e che non intende ritornare come invece ritornano i balestrucci. Tutto questo tripudio primaverile è però vanificato dalla “cara minaccia” dell’amata che, anche se assente e lontana, non è mano amata né meno cara. Questa minaccia tuttavia non toglie niente alla perfezione dell’idillio (paesaggio) dipinto a rapidi tocchi dal poeta desolato.

  2. Questa è una lirica che lascia un certo spazio all’interpretazione. E’ per questo motivo che abbiamo potuto intendere la scenografia del mottetto in modo diverso. Infatti vedo che tu (legittimamente) immagini il poeta sullo scalo e Irma in America, mentre io li immagino rispettivamente il primo tra la vegetazione bassa della collina del telegrafo, e la seconda al porto ai piedi della stessa.
    Ciò in quanto ritengo che i balestrucci abbiano bisogno della presenza di lei al porto in procinto di partire, per consegnarle il loro analogico messaggio. Un po’ come il cane ha bisogno della presenza del padrone per spronarlo, in mancanza di parola, con la pantomima di andare da lui alla porta e dalla porta a lui, in modo insistito, per dirgli: “E’ l’ora di uscire”. Ecco, non il cane ma i balestrucci, le dicono: “Lascia il porto (la tua idea di partire), segui i fili che collegano il porto alla collina per ritornare in quel posto vuoto che hai lasciato”.

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