COME DON GIOVANNI SGARBI NON SI PENTE

E perché dovrebbe pentirsi? E di che cosa? Di sentirsi come il Don Giovanni di Da Ponte-Mozart? Di identificarsi nel personaggio divenuto simbolo universale del libertinismo che si erge fino alla fine contro la morale politicamente corretta e prude dei mediocri ultimi uomini sbeffeggiati da Nietzsche? Non sia mai più detto!

Don Giovanni e Sgarbi

Allora, su questa china, dovrebbe pentirsi anche per gli insulti, le ingiurie, le diffamazioni pubbliche a mezzo stampa o tramite televisione contro colleghi, giornalisti, magistrati o chiunque osasse contraddirlo di cui è costellata la sua carriera di critico d’arte, di politico e di showman? Insomma: perché mai Sgarbi dovrebbe pentirsi di essere Sgarbi – tanto più se, malgrado quelle che lui chiama intemperanze, continua a godere del favore e dell’ammirazione di larga parte del pubblico televisivo e dell’opinione pubblica italiana? Quanto al turpiloquio in politica e quindi in televisione, è stato da tempo sdoganato; basti ricordare certi comizi di Umberto Bossi o di Mario Borghezio o di Beppe Grillo, ormai il linguaggio scurrile non scandalizza più nessuno (o quasi)anche di Sgarbi, senza contare le piacevolezze che girano nei social.

Morgan e Sgarbi

E tuttavia la performance di Sgarbi con Morgan la sera del 21 giugno al Maxxi su invito del presidente Alessandro Giuli ha provocato l’ indignazione di una parte cospicua dei dipendenti, o meglio, delle dipendenti del museo romano d’arte contemporanea – ma non del pubblico presente in sala – che hanno scritto una lettera di rimostranze all’imbarazzatissimo Giuli, sotto i cui occhi e le cui orecchie è avvenuta quella scena da molti considerata oscena. In seguito al richiamo formale del ministro Sangiuliano, Sgarbi ha affermato a sua giustificazione che “quello era uno spettacolo: lì il sottosegretario non c’era, c’era Vittorio Sgarbi, che Giuli e Morgan hanno voluto come attore”. Dunque il turpiloquio, gli insulti all’Amadeus dell’Ariston, gli aneddoti sessisti e l’elenco delle sue conquiste femminili erano una sorta di copione teatrale. “Nelle mie funzioni di sottosegretario, la mia dottrina e il mio ruolo sono contegnosi – spiega Sgarbi – non ero lì ad inaugurare una mostra, ma a fare un discorso in un luogo che è il centro della dissacrazione, perché l’arte contemporanea è dissacrazione”. Polemiche strumentali, assicura il critico d’arte, che ha risposto a una divertente provocazione di Morgan come risponde un futurista.

Sangiuliano e Sgarbi

E siccome Sangiuliano è un grande ammiratore del futurismo, sa bene cosa voglio dire” (da La Stampa del 3 luglio 2023). Che cosa c’entri il futurismo in una risposta-confessione di Sgarbi a Morgan la sera del 21 giugno 2023, nella quale il critico d’arte nonché novello Don Giovanni parla del suo cancro alla prostata e del suo trascorso iperattivismo sessuale sulla falsariga del catalogo letto, anzi cantato, da Leporello rivolto a Donna Elvira, nel quale vengono enumerate le conquiste femminili, con la predilezione per le giovani principianti, del suo insaziabile padrone nei vari paesi in cui è passato, è ancora tutto da capire.

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Ma in quella risposta a Morgan non c’è solo una esibizione vagamente dannunziana di virilità, c’è anche un’ idea, se non di poetica, certamente di cultura: “Ora, in uno degli spazi di quel laboratorio (il Maxxi appunto) – scrive la giornalista e scrittrice Simonetta Sciandivasci – Vittorio Sgarbi, da artista autoproclamatosi quale è, la sera del 21 giugno, ha forgiato un’idea di cultura sulla quale è il caso di ragionare. Ha detto, parlando del ‘cazzo’ (scusate, m’è scappato, colpa del Mozart che è in me), che esso è ‘organo di penetrazione, cioè di comprensione’. Molto poetico. Tanto poetico quanto sbagliato. Penetrare non significa capire, penetrare significa intrufolarsi, sospingere, distruggere il margine. Penetrare sì che è cancel culture , almeno nella declinazione sbadata che in questo Paese si dà della cancel culture Un movimento di pensiero che, per esistete, cancella il resto. Penetrano le trivelle, penetrano i colonialisti, penetrano i violenti”. Per Simonetta Sciandivasci capire è guardare, non penetrare. E qui, se non altro, si apre una questione tutt’altro che banale e cioè: è sufficiente guardare per capire? In prima battuta possiamo dire che, se non è sufficiente, è però necessario: senza guardare, anzi senza guardare bene e con la massima attenzione, non si può conoscere nulla, tanto più in ambito estetico-artistico. “Per capire che la serata del Maxxi sarebbe finita maluccio, del resto, sarebbe bastato uno sguardo superficiale: tutti maschi, su un palco, 2023, tutti amici, tutti concordi, tutti dalla stessa parte, proprio come s’è detto che ha fatto per anni la sinistra, presidiando e anzi occupando gli spazi del confronto, della libertà, della democrazia. Ma che dico presidiando: penetrandoli”(La Stampa del 3 luglio 2023). La risposta di Sgarbi non si è fatta attendere: “Il titolo del suo commento chiarisce le sue riserve: ‘Capire è guardare, non penetrare’. Vero, ma il mio strumento essenziale di conoscenza sono gli occhi, con i quali da anni leggo, interpreto, penetro le immagini. Che occorra guardare mi è non solo chiaro ma vitale, necessario; e, quando leggo: per capire, si deve guardare dove nessuno guarda mai: in superficie…Ma gli occhi, rispetto a una lettura, come si dice, superficiale, ci consentono, se educati, rispetto ad occhi che sfiorano senza comprendere, di andare oltre, in profondità, ovvero ‘intelligere’ che vuol dire ‘leggere dentro’, cioè penetrare”. Giusto; ma allora che cosa c’entra il cazzo? Sgarbi spiega che, in quel contesto preciso, cioè su un palcoscenico, ha voluto citare una frase di un’orazione universitaria di Houellebecq “sulla sua (e mia) malattia: ‘il mio cazzo come il suo’”. Mah, se questa vi pare una giustificazione…Piuttosto, a favore di Sgarbi gioca il ritardo con cui è deflagrata questa tempesta mediatica, ritardo che lo stesso sottosegretario alla cultura non ha mancato di sottolineare: “E, a vedere bene, io non ero stato chiamato dal Presidente Giuli, che infatti mi ha introdotto a parlare non come Sottosegretario ma come comprimario di Morgan.

E io benevolmente e umilmente ho accettato. Come Leporello, dunque, e l’ho detto e l’ho dichiarato, per la singolare coincidenza imposta dalla domanda di Morgan, non perché mi senta Mozart e non certamente riferendomi (non potendo prevedere le postume strumentali polemiche di dieci giorni dopo, senza nessuna reazione all’impronta) al ‘no, che non mi pento’. Questo posso dirlo ora e, per logica, sentendomi Don Giovanni non Mozart”(La Stampa del 4 luglio 2023). E ci mancava pure che si sentisse Mozart.

Fulvio Sguerso

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