Chiude il Cinema Ondina di Finale Ligure

Finale Ligure
L’ULTIMO CINEMA

Finale Ligure
L’ULTIMO CINEMA

Il Cinema Ondina di Finale Ligure, sia sala che arena, ha chiuso i battenti. Dai tre cinema originali ci siamo ridotti a zero. Come mai? La risposta suona ormai come un disco rotto: non ci sono soldi. Meno che meno per ogni forma di attività culturale, quale il cinema è.  

Nel numero di Trucioli del 3 aprile scorso ho approfondito il tema del debito pubblico, che viene spacciato per tale, anche se le “autorità” si sforzano (neanche tanto, visto il generale disinteresse verso i temi economici, considerati “difficili”) di darcene per scontata l’esistenza e l’immane portata.

Quando i media ci parlano di debito pubblico, lo fanno sempre in riferimento al PIL. Mettono il PIL al denominatore; e al nominatore mettono il debito pubblico, accumulato negli anni, o il deficit, ossia il debito dell’anno precedente. Poi enfatizzano che, poiché debito e deficit crescono ogni anno (grazie agli interessi mostruosi che lo Stato sborsa annualmente ai suoi principali creditori: Bankitalia e BCE), bisogna incidere sul denominatore, sul PIL. Ci vuole cioè una sua robusta “crescita” per rendere meno drammaticamente alto il rapporto deficit/PIL. A tale scopo si sottolinea che per “crescere” bisogna aumentare la produttività, l’innovazione, l’esportazione. Altro disco rotto.

Constatato come in Italia tali fattori crescano troppo debolmente, il Ministro del Tesoro sceglie allora di diminuire il valore a numeratore: il debito. Conseguenza: tagli su tutti i servizi pubblici essenziali, che non sto ad enumerare, tanto sono tristemente noti.

A questo punto è interessante soffermarsi sulla natura del PIL (Prodotto Interno Lordo). Lordo vuol dire che include le tasse (più salgono, più sale il PIL!) e non tiene conto degli ammortamenti dei beni non deperibili. Sono in molti a chiedere che al suo posto si consideri il PIN, Prodotto Interno Netto.  Differenza non di poco conto. Vediamo.

Per la crescita del PIL si richiede che la nazione rinnovi, ed anzi accresca, ogni anno la sua spesa, non solo per prodotti deperibili, come gli alimentari, ma anche per quelli non deperibili. In altri termini, se Caio ha acquistato un’auto quest’anno dovrebbe acquistarne un’altra l’anno venturo. E non basta: deve essere anche più grande, se no che crescita è? Se ha comprato un televisore, un frigorifero, un computer, un cappotto quest’anno, altrettanto dovrebbe fare, anzi di più, l’anno venturo. Insomma, per l’economia incentrata sul PIL, una nazione dovrebbe “rottamare” di anno in anno tutto ciò che ha acquistato, rinnovando i suoi beni con altri, meglio se più cari, con un plauso tanto maggiore quanto più alta la spesa rispetto all’anno prima. La crescita è vista come un valore in sé, e viene assimilata allo “sviluppo”, al “progresso”: tutti termini coniati a partire dalla rivoluzione industriale che ha sostituito ai processi ciclici naturali quelli lineari, caratterizzati da un’entropia crescente (ossia più disordine, rifiuti, inquinamento).

Questo criterio si applica sia all’industria meccanica che a quella edilizia, nonché a tutte le industrie loro collaterali. È evidente l’assurdità di questo sistema, che, rincorrendo una crescita illimitata del PIL per stare alla pari di un presunto debito pubblico crescente, ha finito col riempire l’Italia di fabbriche e dei loro prodotti: automobili e cemento soprattutto. Non solo, ma i grossi impianti, così come i mastodontici macchinari, ad es. di movimento terra, oltre a crescere di numero, devono essere continuamente impiegati, per “ammortizzarsi”: non possono restare inattivi! Quindi, sempre nuove case, sempre nuove auto, sempre nuovo tutto; se no fabbriche e macchine non lavorano più. Tutto ciò che è razionalmente virtuoso diventa un disvalore se visto attraverso le lenti del PIL: risparmiare, soldi o cose, rallenta la crescita, perché è una spesa in meno, non alimenta il PIL né il prelievo fiscale. Estremizzando il discorso, la vera bestia nera sarebbe il baratto, in quanto privo di ricorso al denaro, e quindi non imponibile, non tracciabile, non sanzionabile (Stato ed enti pubblici vivono ormai in buona parte di sanzioni, ossia di usura legalizzata).

Il Cinema Ondina

I signori del denaro, e i loro servitori politici, vogliono che i cittadini svolgano perlopiù attività costose e multabili: meglio un motociclista di un ciclista, meglio chi compra qualcosa che chi pratica il faidate, meglio un lavoratore che un volontario, meglio chi usa l’auto che chi usa il treno o il tram, meglio chi fa incidenti stradali che chi non ne ha mai fatti, meglio usare medicine e fitofarmaci chimici che naturali, e così via. Insomma, evviva il consumismo, e pazienza se inquina, poi si disinquina a costi multipli, ma sale in parallelo il fatturato, e quindi il PIL.

La popolazione italiana dagli anni ’50 è cresciuta di un 20%, più o meno. Ma la valanga di cose che sono andate ad aggiungersi alle precedenti è incalcolabile: basta guardare le vie cittadine o un panorama ex-naturale per rendersene conto. È aumentato di pari passo anche il benessere? C’è ancora chi sarebbe disposto a sostenerlo?  

Tra le tante –e crescenti- vittime di questo progresso a favore di pochi c’è anche il nostro cinema Ondina. L’Ondina godeva di una modesta sovvenzione comunale, ma il debito pubblico cresce e Tremonti quei soldi li deve dare alle banche perché non ha il coraggio, che in passato altri ebbero, e che anche oggi altri hanno, di dare un calcio ai falsi prestasoldi e incaricare la zecca di Stato di stampare valuta propria. E il “rigore” imposto alle banche nei prestiti privati si riduce all’obbligo che abbiano a patrimonio un misero 7-8% di ciò che pretendono di “prestare” ai cittadini. Il resto è comunque aria fritta.

Discorso di sinistra? Niente affatto: il PD, ammesso che si voglia ancora spacciarlo per sinistra (a considerarlo tale è rimasto solo il Berlusca), pullula di uomini fidati dei banchieri; ma neppure alla loro sinistra c’è qualcuno che faccia della lotta al signoraggio bancario la sua ragion d’essere. Per colmo d’ironia, l’unica denuncia del signoraggio viene da un dittatore di estrema destra, il presidente iraniano Ahmadinejad. Perché odia l’Occidente. E sotto questo profilo, se si riconosce che il sistema monetario attuale è un connotato fondante dell’attuale Occidente, lo odio anch’io. È davvero il colmo che idee che Marx aveva già in parte affrontate non siano entrate nel corredo mentale delle sinistre; e siano invece le destre a dare oggi pur timidi segnali di consapevolezza. Eppure, furono proprio di destra le uniche nazioni che ebbero l’ardire di cacciare i banchieri* e riprendersi l’autorità di emettere moneta di Stato: la Germania e il Giappone degli anni ’30, in cui conobbero una prosperità senza precedenti, mentre il mondo “democratico” era in piena depressione. E si attirarono con ciò la collera di quel mondo; e poi la criminalizzazione, con l’enfatizzare la parte negativa di quei sistemi e l’offuscare quella positiva. Ma furono osannati i loro vincitori, che pure ricorsero a due bombe atomiche su città inermi per terminare la guerra. Di poi imponendo al mondo intero il sistema economico in stile Wall Street, fatto di debiti e truffe. Chi si oppone al signoraggio va eliminato: se sono oppositori interni al sistema, con l’assassinio (Lincoln, Kennedy), se sono nazioni, con una guerra (ieri Germania, Giappone, Italia; oggi Iraq e in prospettiva Iran). 

Quanto agli inermi cittadini, dovranno inchinarsi all’irresistibile ascesa della globalizzazione; e i tanti cinema Ondina saranno considerati sopravvivenze da estirpare, relitti culturali del passato. Meglio un volgo plasmato dalle TV e ossequiente delle regole di mansueta sudditanza che un popolo consapevole dei suoi diritti e della sua forza.

 

* Vedi: http://www.riflessioni.it/scienze/insostenibile-scalata-sociale.htm circa l’utilità sociale dei banchieri, e non solo.

  

Marco Giacinto Pellifroni                                                     8 maggio 2011

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